L’incontro fra legge ed esigenze di pochi privilegiati garantita da pubblici ufficiali piegati al volere di pochi. Dalla ricostruzione di Valentina Vadalà, i piani messi a punto nella pubblica amministrazione, per evadere il terzo Art. della Costituzione italiana, quello che attribuisce ai cittadini pari dignità sociale. Garibaldi si arrese alla legge, gli attuali amministratori, lavorano solo per aggirarla.
La normativa che regolamenta la redazione di un piano regolatore viene definita come uno degli atti più democratici della nostra legislazione. Stando al significato letterale dei termini, significa che, essendo l’Italia una Repubblica fondata sulla sovranità popolare, garantisce ad ogni cittadino la partecipazione in piena uguaglianza all’esercizio del potere. Il PRG, ormai atto obbligatorio per ogni comune, è lo strumento che regola l’attività edificatoria all’interno del territorio comunale.
Tradotto in termini semplici, in nome del pubblico interesse e della prevalenza di questo su quello del singolo, i terreni di una città vengono destinati a varie funzioni, che sostanzialmente si dividono in due grandi categorie: aree edificabili ed aree non edificabili, generalmente intese come aree di verde agricolo, il tutto per garantire un corretto equilibrio all’assetto del territorio e al suo sviluppo che secondo le più recenti tendenze deve essere anche “sostenibile”.
Le aree edificabili hanno valenza diversa e comprendono, molto sinteticamente, quelle residenziali, industriali e per attrezzature (per lo più soggette ad esproprio). Un tempo questa diversificazione determinava un grosso divario nel valore dei terreni, che nel caso di esproprio era valutato in base al valore agricolo medio della zona pur trattandosi di terreni sui quali dovevano realizzarsi le indispensabili attrezzature a servizio delle circostanti aree edificabili pagate secondo il valore di mercato. Una sentenza della corte europea del 6 ottobre 2009 ha stabilito che le aree soggette ad esproprio vanno indennizzate secondo il valore commerciale delle stesse.
Avendo partecipato alla redazione del vigente strumento urbanistico e avendo dovuto analizzare e dedurre le 2.719 osservazioni/opposizioni pervenute, posso assicurare che ho avuto difficoltà a restare indifferente alle singole petizioni presentate, spesso drammatiche. Fra tutti i casi ricordo ancora un distinto signore che un giorno venne a perorare personalmente la sua causa: si era venduto la casa, aveva messo i mobili in un magazzino tutti i mobili e da due anni viveva con la famiglia ospite della suocera. Quando era finalmente pronto ad avviare le procedure per il rilascio della concessione edilizia, il piano aveva cambiato la destinazione del suo terreno.
Dall’analisi di quelle istanze ho imparato che tutti quelli che possiedono un terreno ne sostengono la evidente vocazione edificatoria a scopo edilizio residenziale; tutti sono convinti della necessità di costruire scuole e ospedali, parcheggi e giardini ma non nei loro terreni e mai vicino la propria casa. Per non parlare poi della tutela di edifici monumentali e tessuti storici che per la stragrande maggioranza meriterebbero solo di essere rasi al suolo per dare posto a moderni edifici.
La democraticità, dunque, non consiste nelle scelte progettuali del piano, ma piuttosto nella partecipazione alle fasi della sua approvazione, cioè nel dare ad ogni cittadino la possibilità di conoscere le previsioni del piano adottato prima della sua definitiva approvazione e di potere presentare osservazioni e/o opposizioni utili al miglioramento del piano le prime, e le seconde a fare valere i propri diritti (ritenuti lesi) circa particolari previsioni.
Osservazioni e opposizioni vengono valutate e respinte, se ritenute contrarie ai principi secondo cui è stato progettato il piano, o accolte se considerate valide, e quindi si procede alle conseguenti modifiche dello strumento urbanistico. Per quelle non accolte resta sempre la possibilità di ricorrere ad una decisione del tribunale.
Esiste sempre la possibilità di variare le previsioni urbanistiche, anche successivamente alle fasi di approvazione, così come codificato dalla norma, con tempi però assai lunghi, dovuti alle diverse fasi di adozione/approvazione e di pubblicità/partecipazione. Le varianti possono essere proposte dalla stessa Amministrazione o dai privati. Ai fini della legittimità di una variante è sufficiente una motivazione che contempli la sopravvenienza di mutate esigenze che impongono un diverso assetto della zona, oggetto della proposta di variante e, soprattutto, che soddisfino interessi pubblici di estremo rilievo.
La prima legge urbanistica italiana è del 1942 fondata su criteri di espansione e nuova fondazione di città, secondo la politica fascista. Nel tempo ha subito una serie di modifiche ed integrazioni che hanno cercato di adeguarla alle nuove esigenze urbane senza però riflettere sulle odierne realtà fatte di città per le quali sarebbe decisamente più opportuno intervenire su fabbricati esistenti e aeree dismesse piuttosto che privilegiare incondizionatamente l’espansione, che comunque non ha i ritmi di 50 anni fa.
In poche parole ci vorrebbe una nuova legge, snella e moderna che garantisca una visione generale del territorio di un comune per poi potere valutare di volta in volta i vari piani di settore, quelli di urbanistica contrattata, gli interventi puntuali e le varianti. Una legge che soprattutto preveda adeguate tempistiche e non quelle lunghe procedure democratiche che oggi scoraggiano gli operatori del settore e, ahimè, invitano a prendere … le scorciatoie. Soluzione (sempre che tale possa correttamente definirsi) che sa di privilegio per pochi eletti.
E il comune di Palermo anche in questo caso riesce sempre a trovare geniali soluzioni. Infatti, memore delle tribolazioni che già a suo tempo impedirono a Garibaldi di vedere operativo il piano regolatore che aveva sognato per Palermo nel 1860 durante la reggenza della città (fu approvato nel 1885 dopo innumerevoli modifiche per adeguarlo agli interventi che nel frattempo ci si affrettava a realizzare prima che diventasse impossibile) per evitare ogni noiosa (e rischiosa) lungaggine burocratica agisce con rapidità ed efficienza sopraffina: per bypassare le procedure di adozione e pubblicità, accoglimento o recusazione di osservazioni/opposizioni, trasmissione alla Regione per la definitiva approvazione con decreto (può occorrere anche un anno, se tutto va bene) da qualche anno gestisce le varianti urbanistiche come dei banali scontati “errata corrige”.
Ad onor del vero il colpo di genio si deve alla precedente Amministrazione Cammarata che, con la aventiniana complicità dell’assessorato regionale al Territorio, consapevole di avere emesso un decreto di approvazione che rimandava a futuri approfondimenti il definitivo assetto di consistenti porzioni di territorio, nel 2004 (dopo 2 anni dall’avvenuta approvazione regionale) con una semplice presa d’atto del Consiglio Comunale stravolgeva il piano e continuava a stravolgerlo con le stesse modalità altre tre volte (2005, 2006, 2008) per dare legittimità ad ulteriori sostanziali variazioni di norme e destinazioni.Per non togliere nessun merito agli ideatori di siffatta strategia devo confessare che nel 2002, per effetto dello spoil system, ero stata trasferita ai Lavori Pubblici dall’Urbanistica, perché culturalmente inadatta al nuovo corso delle cose.
Non ho notizia di analoghe situazioni se non a Roma, dove sono state approvate alcune variazioni al piano come errata corrige, approvate in sede di Conferenza dei Servizi e avallate dal TAR Lazio (sentenza 4546/2010) che ne ha riconosciuto la legittimità in quanto modifiche che non alteravano la natura del piano vigente, per evitare un inutile aggravio di procedure.
La giunta Orlando, come sempre succede in questi casi, ha tenuto a sottolineare la propria diversa peculiarità politica e amministrativa annullando moltissime delle disposizioni assunte precedentemente alla sua elezione e però, in questo caso, non solo non ha proceduto a riportare a legittimità quanto finora fatto, ma ha continuato a risolvere noiosi ostacoli che insorgevano con gli errata corrige, in attesa dell’adozione della nuova variante generale in gestazione ormai da oltre 4 anni. Nel frattempo (che a quanto pare sarà lungo, molto lungo) – dunque – si continua impunemente ad alterare norme e previsioni del vigente strumento urbanistico, in spregio alla legge, consentendo di costruire con maggiore facilità e dando ad alcuni cittadini la possibilità di fare ciò che volevano.
Più democratico di cosi…