Valentina Vadalà

UNESCO: con la cultura si mangia ma non pensavamo alla pizza

Pizza riconosciuta da UNESCO bene da tutelare mentre il patrimonio storico legato all’arte e alla cultura italiana, viene abbandonato all’improvvisazione di ministri che si alternano peggiorando la condizione di un settore fortemente provato.

Aumenta il distacco con cui l’Italia primeggia sulle altre nazioni nella classifica dei beni patrimonio dell’umanità stilata dall’UNESCO. Il 7 dicembre 2017, infatti, la pizza ha conquistato il suo posto in questa prestigiosa graduatoria che conta all’incirca un migliaio di beni, fra culturali (78%), ambientali (19%) e misti (3%) individuati in ben 170 paesi. Dopo di noi Cina, Spagna e Grecia.

I beni italiani, con la nuova entrata, diventano 54 e costituiscono poco più del 5% del totale. Ad entrare in classifica per primi sono stati i siti rupestri della Val Camonica nel 1979, seguiti da vari centri storici, luoghi ambientali e singoli monumenti. La pizza è per l’Italia la prima nel suo genere. Segno del cambiamento di gusti?

E’ in quest’ottica, cioè di attento precursore dei tempi, di sensibile lettore dei fenomeni sociali globalizzati, che va letto il comportamento dello Stato Italiano verso il proprio patrimonio artistico? Perché altrimenti risulta difficile comprendere l’atteggiamento che il Ministero della Cultura assume in proposito. D’altronde un ministro dell’economia di qualche anno fa sosteneva che con la Cultura non si mangia, come se parlare semplicemente di Cultura, patrimonio intrinseco e irrinunciabile di un popolo, oggi assuma una valenza anacronistica dal sapore assai datato.

La Cultura, il complesso delle espressioni vitali di una nazione, non è altro che l’eredità storica che ci unisce all’interno del nostro gruppo sociale e definisce quest’ultimo rispetto agli altri gruppi. Sembra ormai che sia un concetto fuori moda e quindi allora perché stare lì a cavillare su quattro cosucce del passato?

Che siano proprio quattro cosucce non è vero, e ancora meno che non costituiscano vantaggio economico. E quindi poiché tutto deve essere riportato a dati, statistiche e profitto, proviamo a tradurre in numeri. L’Italia, anche se è indispensabile sfatare la legenda che vuole che almeno il 50% del patrimonio artistico mondiale si trovi sul suo territorio (torniamo a quel 5%, ma decisamente concentrato in un territorio assai ridotto), in realtà può vantare ancora un assoluto primato mondiale.

Secondo recenti studi, infatti, in Italia esistono 5.500 luoghi di attrazione culturale, suddivisi in 3.430 musei e 2.009 monumenti ed aree archeologiche, contro gli 8.100 negli Stati Uniti, 3.000 in Inghilterra, 2.300 in Spagna e 1.200 in Francia (che però vanta in Notre Dame il monumento più visitato al mondo con oltre 13,6 milioni di presenze all’anno). Abbiamo poi 24 parchi nazionali e 3.274 giardini storici (Francia rispettivamente 9 e 1650, Spagna 14 e 90).

Il business dell’economia turistica ed il settore culturale – dicono gli esperti – mediamente nei paesi europei costituisce il 14% del PIL nazionale. Ebbene l’Italia, nonostante il bel gruzzoletto artistico-monumentale, contribuisce ad abbassarne il livello con il suo 13%, che pur garantisce un gettito di circa 203 miliardi di euro, contro il 21% e 225 miliardi della Spagna.

Il RCA, un indice che analizza il ritorno economico degli asset culturali sui siti UNESCO, ha rilevato che gli Stati Uniti, con la metà dei siti rispetto l’Italia, hanno un ritorno commerciale pari a 16 volte quello italiano (basti pensare, sempre per riferire tutto a dati economici, che i bookshop dei musei italiani complessivamente raggiungono il 38% delle entrate del Metropolitan di New York).

E’ conclamato da tutti gli esperti del settore che la ricchezza italiana mostra un potenziale di crescita non ancora pienamente valorizzato, con vantaggiosi sviluppi anche nell’ambito agricolo, artigianale, infrastrutturale, industriale e dei servizi. Abbiamo quindi un patrimonio, notevole e sfaccettato, in attesa di venire messo a pieno regime non si sa bene quando e come visto che il Bilancio italiano è fondato sui tagli all’istruzione e alla cultura.

Non si bandiscono concorsi, non si assume personale, piuttosto si chiudono musei e siti archeologici o si ricorre all’affidamento alle cooperative per rincorrere un ribasso sui prezzi di gestione che può soltanto incidere negativamente sulla qualità dei servizi forniti e sulla dignità di chi lavora sottopagato. E in ultimo spuntano anche i volontari.

Il ministro Ornaghi (governo Monti) ha l’indiscutibile “merito” di avere fatto piazza pulita delle precedenti leggi in materia con una nuova legge (L. 97/2013,) che  – fra l’altro – estende a tutti i cittadini dell’Unione Europea la facoltà di fare la guida turistica sul territorio italiano, rimandando ad un regolamento le specifiche distinzioni e relative procedure, regolamento che – naturalmente –  ancora non esiste ma ha lasciato campo libero ad un pericoloso fai da te.  Anche l’attuale ministro, Dario Franceschini, continua a non prendere alcuna posizione lasciando pericolosamente scoperto lo scenario (o troppo affollato).

La legge quadro per il turismo (L. 217/83), invece definiva le guide turistiche come “chi per professione, accompagna persone singole o gruppi di persone nelle visite ad opere d’arte, a musei, a gallerie, a scavi archeologici, illustrando le attrattive storiche, artistiche, monumentali, paesaggistiche e naturali”.

Una legge, dunque, che riconosceva la forte matrice culturale della professione, legata al territorio. Oggi, attraverso vari passaggi legislativi, compreso il cosiddetto codice brambilliano dichiarato incostituzionale in ben 19 punti ( dal ministro del turismo di alcuni anni fa, Brambilla, compagno di bandiera del citato ministro dell’economia), la prestazione delle guide turistiche, non più professione nonostante l’esame abilitativo e l’iscrizione ad apposito albo, viene declassata a prestazioni di servizio di promozione turistica per la migliore fruizione dei viaggi e delle vacanze, anche sotto il profilo della conoscenza dei luoghi visitati.

Il ministro allora si era appellato alla dovuta necessità di adeguarsi ai principi deI trattato di Shengen che prevede la libera circolazione delle imprese e delle professioni nei paesi della comunità europea. Forse il ministro ha dimenticato che la libera circolazione deve avvenire nel rispetto delle leggi e delle norme vigenti nei singoli paesi. E allora nulla questio ad una guida albanese che viene ad illustrare le peculiarità del Colosseo, purché abbia fatto lo stesso esame che hanno sostenuto le 17.150 guide turistiche italiane abilitate.

Caro Ministro, se avessi un problema cardiaco, ti rivolgeresti ad un volontario pieno di passione o preferiresti un professionista abilitato che svolge con competenze da anni il suo mestiere? Sostieni anche a tu la nostra Cultura.