Confesso di non avere mai visto trasmissioni come il Grande Fratello, L’Isola dei Famosi, Maria De Filippi, etc. etc. Qualche anno fa me ne vantavo con una mia amica, insegnante di uno dei più frequentati licei palermitani, spiegandole che per fortuna non ero dovuta arrivare a proibirne la visione ai miei figli.
Mi spiegò che non è per niente così. Trasmissioni dove l’idiozia è lampante fanno bene ai giovani perché suggeriscono i modelli negativi da non seguire. Ho così scoperto che se vedessimo soltanto i programmi tipo quelli di Alberto Angela, rischieremmo un’ondata di depressione collettiva per la proposta di modelli ritenuti irraggiungibili. Bene! Occorre dunque accettare che dalla giusta miscela di visione di programmi intelligenti e programmi demenziali i giovani sappiano accrescere il loro bagaglio e costruire la loro personalità.
L’altra sera, per fare una cortesia ad un mio amico che non poteva vedere né registrare un programma di attualità politica e sociale, sono stata costretta a sorbirmi ore e ore di una trasmissione ritenuta “impegnata”, per poi riferirgli i punti salienti.
Al di là degli eventi scelti, sono rimasta affascinata dalle modalità con cui veniva costruito lo spettacolo. Perché di questo si tratta, costruire uno spettacolo. In realtà di pessimo gusto. E non soltanto per le performances di una ex deputata, spalla del conduttore, che per darsi ragione urla più forte del suo interlocutore e, quando trova uno che non si piega, lo insulta attribuendogli opinioni fasulle e – extrema ratio – dandogli del pazzo.
Il sistema, appunto è quello di cavalcare a qualunque costo una tigre, purché sia quella vincente, e allora la si rende tale attraverso la superficialità di luoghi comuni e di slogan urlati. Diventa quindi una logorante guerra di nervi fra conduttore-giornalisti e il soggetto “debole” che viene utilizzato come nemico su cui scaricare tutto il male della terra.
Il conduttore, molto più moderato nelle espressioni, con voce suadente, intermezzando con misurate pause ad effetto, recitava le sue verità e tutti i presenti, collaboratori, ospiti e pubblico, ognuno secondo il proprio ruolo, doveva avallare le sue affermazioni. Eventuali voci fuori dal coro venivano sbeffeggiate e zittite con arroganza (maleducazione, avevo scritto prima).
Il clichè quindi è quello di esaltare la permanenza nel branco ed isolare i dissidenti. L’accanimento contro il malcapitato rafforza la veridicità di quanto sponsorizzato dalla trasmissione. Una volta separato dai buoni, costui può essere tranquillamente ricoperto di fango. Più ne getti, migliore è il risultato.
Ad un certo punto un ospite, sempre quello fuori dal coro, si è ribellato al fatto che il Festival di Sanremo sia considerato un programma culturale ed ha anche precisato che non rappresenta la totalità degli italiani, ma meno di un quarto. Apriti cielo! Il tutto per una canzone esclusa dalla competizione perché, secondo quanto si sosteneva, denunziava la pedofilia. Automaticamente chi non si indignava per tale esclusione era uno che preferiva che questa piaga restasse nell’ombra.
Potrei continuare a citare tanti altri particolari e atteggiamenti ma sarebbe ridondante.
Dalla TV spazzatura a quanto pare è facile difendersi perché il suo livello è talmente infimo che non può dare adito a dubbi circa la differenza fra positivo e negativo. O perlomeno ci sono tutti gli elementi affinché ciascuno possa valutare secondo la propria personalità, il bagaglio culturale acquisito, la sensibilità viscerale.
Ma chi ci difende da questa TV subdola che in modo subliminale spaccia per “cultura” qualcosa che non lo è per niente e non consentendo, di fatto, spazio all’opposizione?
Probabilmente non ho capito niente io, sono romanticamente attaccata ad un concetto di cultura desueto e superato.
Questa è la nuova CULTURA e quelli scurrili ed arroganti ne sono i degni sacerdoti.