Carmelo Carbone

Le strane avventure di Liggio e Provenzano

Quando Liggio nel 1970 era latitante nei pressi di Catania e si era attivato per
uccidere il questore Angelo Mangano ed il giornalista Giuseppe Fava. La nuova “reggenza” di cosa nostra nel palermitano, siamo
nel 1970, era composta da Gaetano Badalamenti, Luciano Liggio
e Stefano Bontade. Badalamenti, capo mafia di Cinisi convocò il
capomafia catanese Pippo Calderone. Lo invitò a Cinisi e durante
il pranzo gli disse tra l’altro di avere latitante in loco Liggio,
che però non poteva più tenerlo lì, gli chiese se era possibile che
se ne occupasse lui. Calderone accettò.
A Liggio si procurarono dei documenti falsi ed una casa. La
casa era in campagna.
In quella casa però, vi rimase pochi giorni. Ecco l’episodio
raccontato dal pentito Antonino Calderone:
“Volle andare via perché diceva di avere freddo. Era capriccioso
come un bambino. Era pieno di esigenze. Ci fece girare un
paio di province per trovargli l’acqua Ferrarelle, alrimenti non
beveva. l’acqua del rubinetto, diceva che gli faceva male perché
era stato operato alla prostata… Riuscimmo a trovargli una villetta
un po’ fuori in collina a San Giovanni La Punta (provincia di
Catania n.d.a). Era un posto carino dove si fermò per quasi due
anni. A lui si era unito Bernardo Provenzano anch’egli latitante.
In paese si presentavano come due commercianti di carni”.
Antonino Calderone racconta anche un curioso aneddoto. La
villetta aveva un terrazzino che dava sul lato interno dove non
c’erano costruzioni finite. Un bel giorno, Liggio si spogliò nudo
e si mise al sole, pensando che nessuno lo vedesse, ma ad una
certa distanza c’era un palazzo in costruzione, ormai quasi ultimato.
Poiché l’appaltatore doveva vendere gli appartamenti,
si trovava spesso ad accompagnare dei possibili compratori che
volevano visitarli e quando i clienti vedevano quest’uomo nudo
sul terrazzo, si impressionavano e non compravano.
Il costruttore infine andò dal maresciallo dei carabinieri a protestare
per la presenza di quell’uomo nudo che non gli faceva
vendere le case. Successe allora che i carabinieri andarono a bussare
alla porta della villetta di Liggio, lui li vide arrivare era con
i pantaloncini. Suonarono il campanello, era da solo in casa, Liggio aprì
la porta, i carabinieri gli dissero che c’era il maresciallo in caserma
che voleva parlargli, Liggio gli disse che per il momento
non era possibile in quanto aspettava il medico che doveva
togliergli il catetere, si abbassò i pantaloncini e fece vedere.
I carabinieri gli dissero che si sarebbe potuto presentare con
tranquillità nel pomeriggio. Si vestì scese in strada e da una
cabina telefonica telefonò a Pippo Calderone, al quale senza
dare spiegazioni chiese di recarsi da lui, non a casa, ma alla
fermata dell’autobus. Non appena giunto gli raccontò l’accaduto,
i due rimasero perplessi, non riuscivano a capire il perchè
di quella visita, era però evidente che gli agenti non nutrissero
alcun sospetto circa la reale identità di Liggio. Dopo un lungo
conciliabolo, Liggio decise che quel pomeriggio si sarebbe
presentato presso la locale stazione dei carabinieri. Nel frattempo
arrivò col treno da Palermo Bernardo Provenzano, gli
fu riferito l’episodio. Provenzano disse che sarebbe andato lui
dai carabinieri, adducendo come scusa, il fatto che l’uomo che
si sarebbe dovuto presentare stava male. Bernardo Provenzano,
venne accompagnato in auto nei pressi della piazza centrale
nelle cui vicinanze c’era la caserma. Liggio rimase in auto“era
nervoso e bestemmiava” racconta il pentito Antonino Calderone.
Provenzano usci dalla caserma, raggiunse l’auto e salì a
bordo. Tutto era andato per il meglio.
Una volta salito in auto, riferì, che il motivo della convocazione
di Liggio da parte del maresciallo dei carabinieri, era la
sua nudità sul terrazzino della villetta non passata inosservata,
al che Liggio esclamò: “Chi è questo cornuto che dice che io mi
metto nudo?”, e Provenzano: “Ho detto al maresciallo che sei
stato male che sei stato operato ed hai bisogno di sole. Lui mi
ha risposto che capisce, che si rende conto che noi siamo qui in
convalescenza e che basta che ti metti un costume da bagno, che
stai in abiti succinti e che tutto finisce lì”.

Nell’agosto del 1970 Liggio ormai si era perfettamente ambientato,
aveva stretto una “insana amicizia” con un certo Nino
“cori granni”, (letteralmente “cuore grande”, generoso), Liggio
gradiva molto la compagnia di questo giovane, di cui diceva:
“parla poco e fa i fatti”. “Cori granni” ricambiava l’alta considerazione
andandolo a trovare spesso presso l’abitazione di San
Giovanni La Punta. “Cori granni”, fu fidato compagno di spedizione
di Liggio, nella ricerca dell’allora vice questore Mangano.
Liggio era a conoscenza che Mangano era originario di Riposto,
un paese costiero della zona jonico – etnea a circa 25 chilometri
a nord di Catania. Il mafioso era sicuro che Mangano facesse
i bagni da quelle parti. Tutte le mattine e per l’intero mese di
agosto a bordo di una “Fiat 500”, armati di pistola e coltello, Liggio
e “cori granni” si recarono alla ricerca di Mangano, “niente
di meglio che ammazzarlo ora”, diceva Liggio e mimando col
coltello, l’atto di affondarlo sul corpo di Mangano, ripeteva: “
voglio fare così, così e così ”. Il vice questore Mangano andava
veramente da quelle parti a fare i bagni in estate. Ma i due non
riuscirono a trovarlo.

Liggio nel frattempo chiese informazioni circa le abitudini di
un’altra persona. La persona era il giornalista e scrittore Giuseppe
Fava, originario di Palazzolo Acreide in provincia di Siracusa
ma catanese d’adozione, reo a dire del mafioso di aver messo in
ridicolo i suoi occhi in un suo articolo. Siamo riusciti a rintracciare
l’articolo in questione, il quale era apparso su un numero
del quotidiano catanese “La Sicilia” nel 1966. Ecco il brano incriminato:
“…un giovane dal volto rotondo e molle, la piccola bocca carnosa,
gli occhi da orientale; era gracile, leggermente zoppo, con
la schiena serrata da un’armatura di gesso e di legno per una
deformazione infantile…”
Gli fu detto da Pippo Calderone, che non aveva senso prendersela
con un personaggio di quel livello. Alla fine, ne convenne
e desistette.
Liggio rimase a Catania sino al luglio 1971. Andò via perché
nel frattempo era stato arrestato Pippo Calderone, di conseguenza
era diventato troppo rischioso rimanere in quella zona.

Dal libro  “ANGELO MANGANO UN POLIZIOTTO
SCOMODO” EDIZIONI INDIPENDENTI – 2017

 

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