Salvini è un abile politico, decisamente superiore a qualsiasi piddino o berlusconiano, di oggi (facile facile) o degli scorsi decenni. Infatti piace agli italiani, anche se non quanto i sondaggisti prezzolati vorrebbero farci credere. Non ci fossero i pentastellati, sarebbe il padrone dell’Italia. È un astuto demagogo, in grado di percepire gli umori della gente e di dirle quello che vuole sentire, anche se poi non traduce le parole in fatti perché fare è molto più complicato che dire o più semplicemente per non irritare i poteri forti che lo sostengono mediaticamente. Vedi il caso dei rimpatri volontari, che da quando il ministro è lui sono meno di quando agli interni si stava Minniti, malgrado le roboanti promesse. Oppure il suo conclamato nazionalismo se non sovranismo, difficile da decifrare visto che convive con una ben democristiana sudditanza agli Stati Uniti e un ben liberista desiderio di più Europa.
Certo, da buon liberista Salvini sa che molti si accontentano di chiacchiere, altrimenti non si sarebbero tenuti per anni personaggi come Prodi, Berlusconi e Renzi, e sa bene che al di là della propensione psicologica a lasciarsi manipolare derivata dalla programmatica deregulation culturale e morale (il lavoro sporco realizzato dagli intellettuali liberal e uguali), c’è un normale, sano bisogno di ideologia, per cui anche io preferisco chi ruba ma dice che non bisogna rubare a chi apertamente afferma che si può rubare, perché il primo, se ha successo, crea una società più virtuosa di lui e che un giorno potrà ribellarsi, il secondo una società uguale a lui e dunque irredimibile.
Ma in quanto cavallo di razza Salvini è consapevole che le vittorie della Lega e sue personali sono contingenti e in gran parte dovute alla folle retorica garantista e terzomondista della sinistra e che se al posto di questa esistesse ancora un partito nazionale popolare e intransigente come il PCI, lui arriverebbe a stento al 5%. A quei livelli può peraltro crollare in qualsiasi momento: basterebbe che i confini tornassero tali, ossia che gli stranieri potessero entrare solo se con un visto, che sui prodotti esteri venisse applicato un dazio, che alle imprese che operano in Italia fosse proibito pagare le tasse altrove; o anche solo che di questi obiettivi si facesse carico, ma con chiarezza, un altro partito, per esempio il M5S. Prima o poi accadrà e Salvini teme che possa accadere troppo presto. Per questo sta intelligentemente forzando il gioco, alzando ogni giorno la posta; per lo più si tratta di minacce verbali, ma sufficienti in un mondo che per buona parte vive di virtualità, cioè di gossip e di culto delle celebrity.
Peccato che Salvini sia solo questo: un abile politico, capace di sfruttare le frustrazioni e paure di un popolo e la nuova superficialità voluta dal neocapitalismo. Non è un grande italiano, non un grande statista, non una grande persona, neppure un grande politico, capace di guidare quel popolo. Invece di usare il potere che ha conquistato per restituire al paese fiducia in sé stesso e un’identità, e così passare alla Storia, lo usa per mantenerlo. Càpita spesso, purtroppo, che lo scopo del potere diventi il potere, senza altre finalità e aspirazioni, e le conseguenze sono sempre negative. Oggi rischiano di essere tragiche, perché al di là di qualsiasi intervento cosmetico che i giornalisti effettueranno su ordine dei miliardari, la crisi ambientale e sociale esploderà, se non affrontata per tempo, dunque adesso. Come diceva Machiavelli, gli argini vanno costruiti quando il fiume è ancora tranquillo e se invece si fa finta di niente e si viene sorpresi dalla piena, non resta che lasciarsi travolgere e al massimo ce la si può prendere con le stelle come un eroe di Metastasio e il don Ferrante manzoniano. Speravo che Salvini fosse machiavellico; purtroppo è soltanto furbo.