Francesco Erspamer

Referendum Costituzionale: Si al taglio dei parlamentari. Oggi non rappresentanza ma clientele

La questione del numero dei parlamentari non mi è mai parsa rilevante e penso anzi che aver continuato a darle tanta importanza abbia costituito un vistoso limite del M5S, incapace di superare la retorica antipolitica che caratterizzò le sue origini. Eppure numerosi episodi, a cominciare dal caso Autostrade, avrebbero dovuto aprire gli occhi anche ai militanti più fondamentalisti: il problema dell’Italia e del mondo nell’età del liberismo trionfante sono le multinazionali e i miliardari, non lo Stato; che a volte è inefficiente e corrotto, certo, ma molto meno di quanto lo siano i sistemi dominati dai privati, in cui non si parla di corruzione perché è stata legalizzata (il lobbismo) né di inefficienza perché la fanno dipendere dal libero mercato (come a dire che l’efficienza la si deve pagare e chi non la può pagare non può aspettarsela). Per cui difendo il settore pubblico e persino la burocrazia e non mi indignano (anatema!) nemmeno i vitalizi dei parlamentari, piuttosto i guadagni milionari dei calciatori, dei conduttori televisivi, dei manager, degli speculatori finanziari, degli evasori.
Detto questo, il 29 marzo voterò sì al referendum costituzionale, dunque a favore del taglio dei parlamentari. Come mai? Perché in un sistema elettorale che non sia integralmente proporzionale, e cioè privo di soglie di sbarramento, di collegi uninominali e di premi di maggioranza, un più alto numero di membri del Parlamento non garantisce affatto il pluralismo e la democrazia ma soltanto la quantità di poltrone a disposizione di pochi partiti. Nella prima repubblica aveva senso che ci fossero 630 deputati, ciascuno di essi eletto da circa 80mila cittadini: non dopo il colpo di mano liberista di inizio anni novanta. Persino l’attuale legge elettorale, il Rosatellum (e molto peggio quelle precedenti), non consente a un gruppo di 100, 200 o 500mila italiani di essere rappresentato alla Camera: una soglia del 3% significa che servono almeno un milione di voti complessivi. Finché tale sbarramento permane (e nessuno lo vuole abolire), non fa alcuna differenza che i deputati siano 630 o 400, come prevede la nuova legge: a venire eletti saranno comunque solo i candidati dei partiti maggiori. Le minoranze politiche invece non sarebbero rappresentate neppure duplicando o triplicando il numero di deputati: mentre i grossi partiti avrebbero la possibilità di accontentare più ampie clientele.
Capisco che chi voglia diventare deputato o senatore, o restarlo, sia preoccupato: con la nuova legge ha un terzo di probabilità in meno di riuscirci. Ma mi importa molto poco di loro; avrebbero potuto pretendere e imporre il proporzionale puro: se non lo hanno fatto è perché è più facile ottenere una poltrona a rimorchio dei soliti partiti, una volta che a nuovi partiti sia impedito di nascere e affermarsi. Né mi impressionano i loro accorati appelli alla democrazia: perché sono stati loro ad assassinarla con il loro maggioritario e con i loro sbarramenti.

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