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Porto Marghera: Ecco Dove ENI Seppellisce I Suoi Veleni – Parte seconda –

Venerdì 17 d’un triste anno qualsiasi. L’infido haker di Indymedia (Mr. Bean- Interceptor) decide di scendere l’Alpa Majo coi suoi sci a pedali brevettati da Tony Valeruz. Inciampa in un Dizionario Zingarelli e cade a terra: è la caduta d’ un mito. Come per il caso del bi-reattore dell’Ing. Mattei, la “sciagura” alimenta illazioni e sospetti.  L’Interceptor sci-munito (inteso come munito di sci), prima di passar a miglior vita, aveva appena fatto in tempo a raccogliere la tragica testimonianza d’un Emanuele Pistritto veneto che (non volendoselo portare seco nell’oltretomba), in punto di morte  gli rivelò un terribile segreto celato a lungo, affidandogli dettagliatissime mappe dei “tesori” interrati. “Ecco qui Venezia-Porto Marghera, e’ dove l’ENI m’ha fatto seppellire i suoi velENI. Che Geova Dio mi perdoni” svela l’escavatorista prima di schiattare (v. doc. pdf allegato n. 1).

Come narrato in questo nostro precedente articolo di Themis & Metis sui rifiuti dell’ENI interrati e nascosti in Sicilia, a  Priolo Gargallo, sta lentamente emergendo un tragico modus operandi,  sistematico e collaudato, di  far sparire certi velEni.

Stando quindi alla ‘gola profonda’ una micidiale bomba atomica ecologica sarebbe sopita da decenni sotto le viscere di Venezia, ed in tanti lo sapevano, ma per anni han fatto finta di niente.

Tonnellate di rifiuti targati ENI altamente cancerogeni e distruttivi per l’ambiente son sepolti di fronte la laguna veneta: cianuri, idrocarburi clorurati (anche radioattivi), composti policiclici aromatici, mercurio, arsenico, piombo, ammoniaca, ammine, cobalto, manganese, selenio, ed altre schifezze del petrolchimico. Molti sapevano ma si son guardati bene dal denunciarlo. Specie alcune Autorità di controllo del tempo.

Esprime tutta la sua (ben motivata) preoccupazione anche il Dott. Sergio Travisanato, assistente dell’Area Ecologia e Tutela del Territorio della Giunta Regionale della Regione Veneto, che il 12 agosto 1992 rompendo gli indugi invia una riservata ed allarmante missiva all’indirizzo di Enichem Anic (v. doc. pdf allegato n. 2):

Con note del 10.6.1992 e 29.6.1992 rispettivamente Prot. DIR 85/92 e DIR 93/92 codesta società inviava alla scrivente Amministrazione la relazione redatta dal Prof. L. D’Alpalos concernente lo studio del regime idraulico del Canale Bretella, nonché il progetto di massima relativo alla copertura del tratto finale del canale in oggetto… Tali sedimenti, la cui presenza così come risulta da un precedente studio eseguito dalla Montedipe è conseguenza degli sversamenti effettuati in tempi passati dall’insediamento industriale Petrolchimico, contengono, in concentrazioni significative, mercurio ed idrocarburi clorurati la cui diffusione in laguna è fenomeno senz’altro da evitare. Il progetto che codesta società presenta ora all’Amministrazione Regionale prevede, al fine di evitare il trasporto dei sedimenti di cui sopra, il rivestimento del Canale Brentella per un’estesa di circa 300 ml a mezzo di materassi tipo “Reno” bitumati. Tale soluzione … desta peraltro qualche perplessità nello scrivente; ci si riferisce in particolare alle garanzie di durabilità nel tempo che una siffatta modalità operativa può fornire, ma anche all’impatto che ne deriverebbe a livello di opinione pubblica dall’aver lasciato in loco, sotterrandolo, un materiale da classificarsi come tossico nocivo”.

L’Ing. Pietro Paoli dell’Enichem Anic, Gruppo Enimont (sfigata joint venture tra Motedison ed ENI) il 19 giugno 1996 ha il delicato ed ingrato compito di notiziare i colleghi della situazione estremamente drammatica. Lo comunica sotto forma di promemoria riservato che invia all’Ing. Caltabiano e all’Ing. Zerbo :

Oggetto: Canale Lusore-Brentelle. Trasmetto una sintetica nota relativa alla riunione tenutasi il 18 giugno 1991 presso la Regione Veneto sull’argomento in oggetto; allego inoltre un Decreto della Regione, consegnatoci nell’occasione in via informale e riservata, che a mio avviso fa assumere a tutta la questione un nuovo aspetto. Nota. Canale Lusore-Brentelle, incontro del 18.6.1991presso Assessorato Lavori Pubblici della Regione Veneto. Alla riunione indetta da Ing, Carretta, Consorzio Bonifica Sinistra Media Brenta, hanno partecipato, Ing. Carretta (Consorzio Bonifica), Dott. Bocus, Ing. Carli e Ing. Dall’Asta (Assessorato Lavori Pubblici Regione Veneto), Ing. Cavagnin, Ing. Paoli (Enichem PM). Le riunione è stata convocata dall’Ing. Carretta in seguito al Decreto della Regione Veneto e al parere espresso dalla Commissione Tecnica Regionale nel marzo del ’91 sulla richiesta di variante del progetto di sistemazione idraulica del bacino Lusore-Brentelle presentata dal Consorzio Bonifica, in seguito al quale vengono stralciate le opere relative all’escavo dei fanghi del tratto di canale interno allo Stabilimento Petrolchimico (vedasi pag. 4 del parere della CTR allegato). L’intervento su questo tratto di canale viene definito di “risanamento ambientale” ritenuto urgente ai fini idraulici (può provocare ‘rigurgiti’ a monte fino a 20 cm ca. una volta terminati i lavori di ripristino di tutto il canale) e igienici (pericolo di inquinamento della laguna per asporto meccanico dei fanghi tossici depositati nella ipotesi di ‘strappo’ istantaneo). Il parere espresso dalla CTR sulla problematica Canale Bretelle, tratto interno dello stabilimento, costituisce una presa di posizione ufficiale della Pubblica Amministrazione (Regione – Provincia) che in qualsiasi momento può essere quindi denunciata alla Procura per omissione di atti d’ufficio. Per tale motivo il Decreto ci è stato consegnato solo oggi, in via informale; una trasmissione ufficiale avrebbe comportato richieste di impegni tassativi per Enichem… il problema relativo al risanamento del tratto del canale interno allo stabilimento và affrontato al più presto (entro un mese massimo) … la Regione è intenzionata a trasmettere gli atti alla Procura se entro detto periodo non verranno definiti con Enichem gli impegni e i programmi…”.

E’ a questo punto che accade l’imponderabile. L’ENI non riesce più a controllare agevolmente le preoccupazioni di tutti coloro che sono al corrente dello scempio ambientale e dei suoi segreti. Per decenni lo stabilimento petrolchimico ha sversato in laguna quantità industriali di velENI, nella pressoché totale (calcolata) indifferenza/inerzia degli organismi di controllo che ora stanno andando in fibrillazione. I rifiuti scaricati in laguna son così tanti che il tratto del canale che collega il petrolchimico con la laguna veneta (il Canale Lusore_Brentelle appunto) è ormai colmo e saturo di melme arsenicali. I bollettini d’analisi della società Aquater (società specializzata in analisi chimiche del Gruppo ENI) sono un vero bollettino di guerra. Tonnellate di questi micidiali composti son sedimentati sul fondale, ed i fanghi imbottiti del micidiale ArsENIco sul fondale misurano addirittura diversi metri di spessore. Per l’Eni una bonifica radicale è assolutamente impensabile ed improponibile. Avrebbe costi stratosferici. Ma è anche una questione d’immagine. Non si può bonificare alla luce del sole. Ci vorrebbero secoli. Per giunta darebbe troppo nell’occhio, dando il via ad inquietanti interrogativi da  parte dell’opinione pubblica che verrebbe a sapere dell’immane schifo perpetrato a scapito della salute dei cittadini. Con conseguenti cause miliardarie di risarcimento da parte delle vittime, i sopravvissuti, le maestranze.

Uno studio commissionato alla società BioTecnologica di Broni fa una prima stima dei danni e quantifica tra i 350 e i 680 milioni di lire il costo per ogni 500 m3 di terreno avvelenato da trattare. In questo frangente l’Eni, più che per i danni all’ambiente ed alle persone, è molto preoccupata per l’immagine del Gruppo. Deve assolutamente trovare una soluzione rapida ed indolore. Anche perché ogni giorno che passa diventa sempre più difficile riuscire a tenere sopito il pauroso stato dei luoghi. Che cosa fare?

Come recita un noto slogan aziendale tanto caro a Paolo Scaroni – ex Amministratore Delegato dell’Eni SPA – tutti i dipendenti ENI essendo votati alla causa ambientale, devono ricordare che “ogni azione ENI è caratterizzata dal forte impegno per lo sviluppo sostenibile, il rispetto dell’ambiente, mitigando i rischi del cambiamento climatico”. Essendo animati da questi nobili sentimenti le geniali menti degli uomini ENI concepiscono una soluzione immonda ed aberrante. Anzi due. Rimuovere l’italica merda da Porto Marghera per poi portarla lontano da lì in Nigeria. Per un po’ il business pare funzionare. Montedipe incarica all’uopo la società P.E.I. di Marghera e l’Agenzia Marittima Bonistalli di Livorno. L’arsenico dell’Eni vien infustato e sbolognato ai poveri cristi della società I.C.C. Ltd (con sede in Nigeria Ltd). I micidiali velENI made in Italy dalla laguna veneta finiranno abbandonati sulle spiagge di Lagos (in Nigeria) velENI che poi gli incazzatissimi nigeriani ci rispediranno nuovamente indietro, a nostre spese (v. doc. pdf allegato n. 3). Giusto per dire, come anche in questo frangente, non sia del tutto inappropriato parlare del bel tipo di “made in Italy” che esportiamo all’estero.

La prima spedizione è di 4440 fusti che vanno ad imbottire ben 60 container. Ben presto però ci si renderà conto degli esorbitanti costi d’export, nonché delle varie problematiche logistiche e d’altra natura connesse al business killer (i nigeriani si stancano presto di guadagnare solo pochi quattrini per prendersi tutti i velEni italiani). Non so se qualcuno ha ancora memoria delle famigerate navi dei veleni ”Dep sea Carrier” e “Karin B”. Ecco, siamo lì. Sopraggiunge però provvidenziale un secondo lampo di gENIo (l’italica fantasia di certe gENIali menti dell’Eni non finisce mai di stupirci).

Ma perché non asportare un bel niente? Fare come nei giochi di prestigio, “sim sala bim” e l’ecomostro potrebbe far sparire tutta la monneza. Detto fatto. Si tiene tutto lì in loco, sotto Porco Marghera, tutto ben nascosto e tombato (scusate il Porco Marghera era intenzionale … con tutta quella porcheria lì il “porco” non ci pare assolutamente fuori luogo). Bisogna solo riuscire ad inventare una soluzione tecnologica che permetta di farlo. Così gli ingegneri dell’Eni si mettono al lavoro e mettono a punto un sistema ipertecnologico per occultare sul fondale della laguna veneta i velENI dell’ENI. Il piano di “bonifica” che partoriscono è una vera diavoleria pazzesca alla Archimede Pitagorico. Realizzano speciali pannelli in kit da poter montare in serie e posare sul fondale inquinato dove son stoccate le sostanze tossiche, in modo che i fanghi mercuriali possano rimanere lì sul posto senza esser rimossi, sparendo dalla vista. Tombati in eterno. Una specie di controsoffitto al contrario che nasconde sul fondale milioni di tonnellate di fango infarcito d’arsENIco. Più che un’idea geniale, una folgorazione criminale. Come direbbe Interceptor  di Themis & Metis, made Italy demenziale, visto i costi esorbitanti di questa sciagurata operazione. Asportando fisicamente tutti i veleni dalla laguna sicuramente avrebbero speso molto meno.

La gENIale soluzione tecnico/progettuale dell’ENI lascia obiettivamente un po’ interdetti anche gli addetti ai lavori, nonché le maestranze. Difatti, neanche pochi giorni dopo fa subito seguito una preoccupata lettera della Pubblica Amministrazione. Il tam tam dell’originale ed ingegnoso progetto giunge agli orecchi dei funzionari del “Settore Ecologia” dell’Amministrazione della Provincia di Venezia. Che il 19 agosto 1992, per il tramite dell’Assessore all’Ecologia Rag. Luciano Mazzolin scrivono al Direttore dello Stabilimento Enichem-Anic:

Richiesta urgente di documentazione. Si prega di fornire al settore Ecologia di questa amministrazione copia del Progetto presentato alla Regione Veneto per l’approvazione, inerente il risanamento del canale Lusore-Brentella, comprensivo delle analisi dei fanghi e delle acque”.

Come per incanto, di colpo suona la sveglia anche per la Procura della Repubblica di Venezia. Il Pubblico Ministero dott. Antonio Liguori intuisce che si sta muovendo qualcosa di grosso sul versante ambientale. Il magistrato il 6 luglio 1992 scrive al Sindaco di Venezia, alla Provincia di Venezia, alla Regione Veneto e all’USL di Mestre:

come noto alla SV, all’esito di attività di osservazione sulle caratteristiche degli strati superficiali dell’area … nonché di campionamento ed analisi dei materiali interrati in situ (rinvenuti fortuitamente) il Settore Igiene Pubblica della ULSS 36 ha dato compitamente atto che gli stessi sono costituiti da residui derivati da cicli di produzione industriale smaltiti nel corso del tempo in modo incontrollato. I fanghi di cui constano, di colore nero, di aspetto simile alla creta, avente struttura fisica omogenea, di incerto spessore, interessanti l’intera sezione conosciuta degli scavi operati, sono caratterizzati da una matrice avente reazione fortemente alcalina e pertanto chimicamente attivi. Essi presentano valori di elevatissima concentrazione di composti policiclici aromatici, con comprovati effetti cancerogeni… voglia la SV comunicare con la consueta e cortese sollecitudine quali provvedimenti abbia positivamente adottato …al fine di ovviare alla situazione di pericolo cui è esposta la salute pubblica e l’incolumità dei singoli…”.

S’unisce al coro degli inquieti anche il Dott. Sergio Travisanato, assistente dell’Area Ecologia e Tutela del Territorio della Giunta Regionale della Regione Veneto, che il 12 agosto 1992 interpella pure lui l’Enichem Anic:

Con note del 10.6.1992 e 29.6.1992 rispettivamente Prot. DIR 85/92 e DIR 93/92 codesta società inviava alla scrivente Amministrazione la relazione redatta dal Prof. L. D’Alpalos concernente lo studio del regime idraulico del Canale Bretella, nonché il progetto di massima relativo alla copertura del tratto finale del canale in oggetto… Tali sedimenti, la cui presenza così come risulta da un precedente studio eseguito dalla Montedipe è conseguenza degli sversamenti effettuati in tempi passati dall’insediamento industriale Petrolchimico, contengono, in concentrazioni significative, mercurio ed idrocarburi clorurati la cui diffusione in laguna è fenomeno senz’altro da evitare. Il progetto che codesta società presenta ora all’Amministrazione Regionale prevede, al fine di evitare il trasporto dei sedimenti di cui sopra, il rivestimento del Canale Brentella per un’estesa di circa 300 ml a mezzo di materassi tipo “Reno” bitumati. Tale soluzione … desta peraltro qualche perplessità nello scrivente; ci si riferisce in particolare alle garanzie di durabilità nel tempo che una siffatta modalità operativa può fornire, ma anche all’impatto che ne deriverebbe a livello di opinione pubblica dall’aver lasciato in loco, sotterrandolo, un materiale da classificarsi come tossico nocivo”.

Capire con esattezza cosa sia per davvero andato a finire lì sotto le ipertecnologiche coperture, quali e quanti velENI, è un’impresa davvero ardua, probabilmente non lo sanno esattamente manco i prestigiatori dell’ENI. Ma potete farvi un’idea anche solo indicativa spulciando nella triste documentazione aziendale dov’è trascritta la sconcertante contabilità di  quest’immane ecatombe  (v. doc. pdf allegato n. 4).

L’ 8 novembre, alle 14.30 circa alla Raffineria Eni di Porto Marghera han fatto suonare le sirene d’emergenza. Ma non era l’allarme dei velENI sepolti nel Canale Lusore Brentelle. Per quelli non c’è da preoccuparsi. Dormono sereni. Era una semplice simulazione interna d’emergenza programmata, preannunciata da un comunicato Aziendale. In pratica è stato simulato un’incidente, in modo da verificare l’efficienza del sistema interno di sicurezza della raffineria. Per fortuna è tutto sotto controllo.

Oggi è l’8 novembre 2018. Sono passati 30 anni. L’arsENIco ed i velEni del petrolchimico di Marghera, tenuti sepolti da lustri son tutti ancora lì. Nelle viscere di Porto Marghera. A dispensare le loro nefaste conseguenze.

Ma a Cengio (in provincia di Savona) dove c’era l’Acna Chimica Organica (per gli amici confidenzialmente detta Acna Cinica  Organica) l’Eni ha fatto anche di meglio.

Come vedremo nel prossimo articolo. Questo non è tutto.