Antonino Schillizzi

Pillole di storia locale di Mezzojuso ad uso e consumo.

Ci piace la storia di chi non ha storia, sembrerebbe un controsenso, un ossimoro, direbbero i più colti. Invece della storia di imperatori, condottieri, principi e governanti vari, preferiamo raccontare quella sociale ed economica della gente comune. Anche perché nella storia di Mezzojuso i feudatari sono poco più che delle comparse. Si ricorda il principe Corvino, (nessuno sa il nome) perché ha fatto costruire la più antica fontana del paese: la cosiddetta fontana vecchia. I protagonisti, come vedremo, sono altri.

Poiché le fonti storiche a cui attingere sono poche, accade che su un singolo atto si costruisca un escursus, più o meno veritiero; non si tratta, pertanto di mettere a fuoco una metodologia della ricerca storica, ma occorre cimentarsi con l’esiguità dei reperti a disposizione. Il racconto storico viene fatto più per deduzione che per certezza dei fatti. La storiografia molto spesso si confonde con la sociologia.

La narrazione storica della comunità di Mezzojuso deve tenere conto del contesto siciliano del periodo, degli usi in vigore all’epoca dei fatti, del paesaggio, delle vie di comunicazione, della pedologia e di tanto altro che può arricchire i pochi documenti scritti che ne costituiscono l’ossatura.

Per fortuna, tutti gli storici che si sono occupati di Mezzojuso, concordano che la peculiarità della popolazione insediata attorno al Castello ed alle pendici della Brigna sta nella convivenza di due popoli: il greco – albanese ed il siciliano.

In questo solco si inserisce il nostro racconto storico.

Per il feudatario di turno, i feudi di Mezzojuso e Scorciavacche erano possedimenti, una proprietà da sfruttare come meglio si poteva; insomma, non erano governanti ma proprietari della terra, compreso chi vi abitava e quella terra la lavorava. Per i vari Signori, proprietari del feudo, la gente che farà rinascere Mezzojuso era come il fumo negli occhi. E vediamo perché:

In questi giorni (fine gennaio 2019) l’Italia è alle prese con i 47 migranti a bordo della Sea Watch, l’Unione Europea è interessata a risolvere l’ennesimo caso di poveri individui. Ridistribuire in tutti i paesi dell’Europa i migranti che arrivano nelle nostre coste, è diventato un problema politico internazionale, nonostante le tante possibilità economiche che abbiamo ai nostri tempi.

I cristiani greco – albanesi della seconda metà del XV secolo, che fuggiti dai turcomanni sbarcarono nella costa pugliese, dovettero essere un problema molto più grave. Ci vuole poco ad immaginare quanto sarà stato difficile risolvere il problema per principi e vescovi, malgrado i buoni auspici della nobiltà e del Papato.

La Terra di Mezzojuso fu parte della soluzione del problema.

A quel tempo, il feudo di Mezzojuso era di proprietà del Monastero di San Giovanni degli Eremiti, praticamente l’Abate era il feudatario. Il feudo era pressoché disabitato, alberi ed arbusti ricoprivano tutto il territorio e l’unica attività economica era costituita dall’allevamento del bestiame. Pare che nella zona dell’attuale Via Andrea Reres, da tanti anni si fosse stanziato un folto gruppo di gente arbëreshe; una sorgente d’acqua vicina, legna del bosco per scaldarsi, possibilità di far pascolare gli animali, ottimo posto per fermarsi e mettere su casa, e con l’accondiscendenza dell’Abate del Monastero di San Giovanni degli Eremiti ci riuscirono.

Nella Sicilia dell’agricoltura feudale del 1500 ad avere diritti erano i baroni, i chierici e pochi altri, la stragrande maggioranza erano poveri e senza terra, affamati, malnutriti, malati.

Ai “greci” vengono concessi dei privilegi, appezzamenti di terreno, possibilità (obbligo) entro tre anni di costruire case e di poterne trasferire l’eredità. Ogni capofamiglia greco divenne un piccolo Barone. Essi infatti pagavano al Monastero di San Giovanni degli eremiti un canone annuo (decima) come i baroni al principe.

Per motivi che non conosciamo, il Monastero di San Giovanni degli eremiti nel 1524 fu soppresso ed i suoi beni vennero destinati al mantenimento di sei canonici della cattedrale di Palermo fino al 1527, quando con autorizzazione regia e licenza pontificia, i feudi di Mezzojuso e Scorciavacche furono dati in enfiteusi a Giovanni Corvino; fatti salvi i diritti degli abitanti di Mezzojuso.

Possiamo ipotizzare che nell’arco di qualche decennio, circa sessant’anni, buona parte del paesaggio cambiò: si costruirono case e chiese, vennero impiantati vigneti e frutteti, arati e seminati campi.

Gli arbëreshe, (antichi albanesi), che erano di rito greco – ortodosso e i siciliani di rito latino che nel frattempo erano cresciuti di numero, erano diventati una comunità che prosperava, e i due giurati, (chiamati così perché giuravano sul Vangelo), che la rappresentavano, venivano nominati uno ciascuno per rito.

I rapporti tra Giovannello Corvino barone di Mezzojuso, che nel 1536 era succeduto al padre Giovanni, e la popolazione, furono molto conflittuali, Il Corvino reclamava oltre al pagamento delle decime anche i terraggi, adducendo che quella era la regola in uso dappertutto. Dappertutto ma non a Mezzojuso rivendicava il popolo, forte del privilegio dei Capitoli del 1501 e dell’enfiteusi del 1527 che richiamava la concessione del 1501. Contrasti giuridici e non solo.

Pagare soltanto la decima, significava potere progredire, pagare decima e terraggi, al massimo si poteva sopravvivere. L’esasperazione dei greci era talmente tanta che meditarono in un sol colpo di eliminare i Corvino ed il loro entourage.

Fatto sta che il popolo nel 1563 assalta il Castello, deciso a fare piazza pulita e togliere di mezzo Giovannello Corvino e suo fratello, loro non si trovano o non si fanno trovare, ma vengono giustiziati il capitano, il notaio e il secreto.

Il proposito di vendetta dei Corvino, verso gli abitanti, prevedeva di distruggere l’abitato di Mezzojuso, perché non gli è più consentito di mettere piede nella sua baronia, senza grave pericolo per la sua persona e per i suoi consanguinei, ma tale proposito non venne attuato.

Mettere a ferro e fuoco Mezzojuso, per vendicare l’affronto ricevuto, dovette essere il pensiero fisso di Giovannello per un po’ di tempo. Da un lato significava riprendere possesso della proprietà e farla pagare cara ai rivoltosi, dall’altra occorreva considerare se conveniva o meno.

Per potere distruggere Mezzojuso serviva disporre di un esercito, perché gli abitanti erano circa un migliaio. Quindi non bastava assoldare qualche decina di uomini per fare l’impresa, ma ne occorrevano alcune centinaia. Ed ammesso di riuscire a trovare il denaro sufficiente per formare la truppa necessaria occorreva considerare il dopo. A cosa serviva tanta terra senza forza lavoro? Ma soprattutto come si poteva continuare a pagare la decima?

Meglio perdere che straperdere.

La soluzione la offrì il Maestro Giustiziere del Regno che fra i tanti titoli nobiliari ed altrettanti feudi, godeva del titolo di Conte di Vicari. Il Corvino cedette il feudo di Mezzojuso al Gran Giustiziere del Regno e questi gli diede un altro feudo (Baida).

I Corvino tornarono a Mezzojuso 70 anni dopo con un atteggiamento diverso nei confronti della popolazione.

El pueblo unido, jamàs serà vencido. Noi lo sappiamo da 500 anni.

A metà degli anni ’70 del 1900 nella piazza principale di Mezzojuso (PA) vi erano le sezioni della DC, del PCI e del PSI, il circolo Cristo Re, l’Unione Combattenti e Reduci, la Camera del Lavoro e il circolo Unione Francesco Spallitta. Due parrocchie, la Cassa di Risparmio V. E. per le province siciliane, la Posta, un bar con biliardo, ed altro. La Piazza era il luogo di incontri e d’affari.

I circoli avevano due sole caratteristiche in comune, erano frequentati da soli uomini e in tutti si giocava a carte. Briscola, scopa, scopone e cinquecento erano i giochi più comuni. Nel circolo dei civili si giocava a poker e a scala quaranta.

Nel periodo che va dalla festa dell’Immacolata all’Epifania si giocava a zecchinetta. Fumavano tutti, tanto che la Camera del Lavoro venne soprannominata la camera a gas.

La vita sociale delle donne era molto limitata, le studentesse frequentavano la Biblioteca e la Discoteca comunale, (nel senso che si poteva ascoltare musica), mentre le donne sposate non avevano né l’occasione né il tempo. Qualche confraternita religiosa femminile e poco altro erano per esse i soli diversivi.

Anche le donne bene giocavano a carte, lo facevano in qualche salotto cittadino. Le famiglie benestanti andavano a svernare a Palermo, alcune si erano trasferite definitivamente nel periodo liberty, ed a Mezzojuso tornavano per pochi giorni o in particolari occasioni. Ad esempio lo stuolo dei greci benestanti, non mancavano e non mancano ancora oggi, di presenziare alla processione del Venerdì Santo.

All’illustre concittadino Francesco Spallitta, Rettore dell’Università, Presidente del Consiglio Provinciale, Consigliere di Palermo e tanto altro, fu intitolato il circolo Unione.

Il circolo Francesco Spallitta era frequentato da possidenti e professionisti. Lo statuto del 1926 prevedeva che fossero soci di diritto il sindaco ed il tenente dei regi carabinieri. I soci erano: Il pretore, i medici, il farmacista, gli insegnanti, qualche canonico, il segretario comunale, l’ufficiale d’Anagrafe e dello Stato Civile, l’ufficiale del dazio, avvocati, ingegneri, geometri, bancari, proprietari terrieri. Non era prescritto il vestito e la cravatta, ma tutti, anche d’estate, si uniformavano a tale consuetudine.

Sappiamo che nel periodo fascista, (grosso modo fino al 1945), l’inserviente del Circolo Spallitta (detto Circolo dei Civili), veniva condiviso con altro circolo.

Nel Circolo dei Civili, tutti avevano un titolo, persino il factotum, veniva appellato con “don”. Vincenzo Speidhel, militare tedesco della seconda guerra mondiale non riuscì ad aggregarsi alla ritirata delle sue truppe a causa dell’invasione Alleata della Sicilia e rimase senza arte ne parte a Mezzojuso. Gli piaceva tanto che non volle più tornare in Germania. Longilineo, alto, biondo, il classico tedesco; indossava giacca e cravatta ed anche se usurati li portava con dignità. Ogni mattina puliva i locali del circolo dietro un modico compenso mensile. Riscuoteva le quote associative, serviva caffè e gelati del vicino bar Roma, andava a comprare sigari e sigarette, viveva delle mance dei galantuomini. Tutti chiedevano a lui e ad ogni richiesta, facevano precedere sempre il per favore.

Si racconta che Salvatore Napoli, diventato sindaco ordinò a don Vincenzo: Vicenzu adduma a luci, un viri ca scurau? (Vincenzo accendi la luce non vedi che si è fatto buio?), e don Vincenzo: se me lo chiede per cortesia a disposizione. Successe una baraonda. Evidentemente don Vincenzo non gli aveva perdonato il defenestramento del Sindaco Erfino Schirò.

Si chiacchierava soprattutto di politica. L’orientamento prevalente era sempre filogovernativo. Nel periodo fascista, si narra che non mancarono contestazioni al Duce, soprattutto quando a Mezzojuso fecero la retata dei mafiosi o presunti tali. Anzi si dice che qualcuno si recò nella Caserma dei Carabinieri chiedendo spiegazioni perché non fosse stato arrestato pure lui. Essere arrestati per appartenere alla mafia, da molti era considerato un vanto.

Per il Referendum del 1946 sulla Monarchia – Repubblica, a Mezzojuso si votò la monarchia, come, del resto, i soci del circolo Unione, che a grandissima maggioranza, erano monarchici.

Anche nel 1948 per il primo parlamento repubblicano, gli elettori di Mezzojuso preferirono il partito monarchico. Ben 1757 voti su 3351 voti validi, la maggioranza assoluta per la Camera; mentre per il Senato i voti a Lanza Filingeri Paternò furono 848 su 2897, che arrivò comunque primo.

Il circolo dei civili si chiuse negli anni ’80; la morte di don Vincenzo ne decretò la fine.

In epoca repubblicana, il dualismo religioso e politico dei greci e dei latini, lasciò il passo ai partiti: alle amministrative si misurarono da un lato lo scudo crociato e dall’altro una civica di sinistra. Finì 6 a 3 per la sinistra. Però alle politiche, la DC si rifaceva prendendo la maggioranza assoluta.

Fino a quando c’era Berlinguer, il comizio era pressoché l’unico modo per parlare agli elettori. Il bravo dirigente arrivava qualche ora prima del comizio e si faceva spiegare i problemi dai compagni del posto. In tal modo il comizio sarebbe stato più efficace e convincente. Questo mi spiegò Pio La Torre, quando nella tarda primavera 1981 si presentò, con una buona ora di anticipo, dall’inizio del comizio a Mezzojuso. Fu la sua prima e ultima volta a Mezzojuso.

La rete fatta di influenze e conoscenze di fatti della, e nella società, del PCI, era pari ed a volte superiore ai carabinieri. Basti pensare che il risultato delle elezioni, prima ancora del Viminale, era conosciuto a Botteghe Oscure. Gli istituti demoscopici e di statistica di oggi fanno ridere, in confronto alla struttura che aveva allora il partito comunista. Con penna e calcolatrice sapevano i risultati prima di chiunque altro; quella struttura, quegli uomini e donne, sarebbero stati capaci di risparmiare tante brutte figure ai moderni istituti di statistica, dotati di computer sofisticati e potentissimi.

Oggi la superficialità dei social attraversa il genere umano, gli approfondimenti sono cosa rara, demandata agli studiosi che condividono con altri studiosi. La velocità nel prendere posizione è più importante di fare le giuste considerazioni e le giuste valutazioni. Ponderatezza, riflessione, analisi, approfondimento e discernimento, sembrano che siano cose tramontate definitivamente.

Caro Claudio Fava, ma tu pensi veramente che la Comunità di Mezzojuso, che ha un passato democratico e solidale, sia insensibile, omertosa e mafiosa?

Non ti fidi delle informative del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri?

Non ti fidi della rubrica dei mafiosi della provincia di Palermo presso la questura?

Non ti fidi di me e di altri compagni che militarono nel PCI?

Ma di chi ti fidi?

Se la gente di Mezzojuso non scende in piazza fattene una ragione.