Antonino Schillizzi

Pastori sardi: la misura è colma!

Partiamo dalla vicenda dei pastori sardi che in questi giorni, con l’azione eclatante di versare il latte per strada stanno attirando l’opinione pubblica sul loro problema: il prezzo di sessanta centesimi di euro per litro di latte pagato al produttore non copre le spese. Chiedono che il prezzo venga aumentato di venti centesimi che in termini percentuali sarebbe di un terzo, ma in termini reali è ben poca cosa.

Il loro latte serve a produrre il pecorino romano dop, e per produrne un chilo servono circa 10 litri di latte; ma non tutti sanno che da questa quantità, con l’aggiunta di un altro litro di latte, si ricava, un chilo di ricotta. Naturalmente sono quantità approssimative, perché le varianti sono tantissime, quali la stagione, l’alimentazione, la razza ecc.

Nella grande distribuzione organizzata (GDO), il pecorino romano viene venduto tra 14 e 25 euro, a seconda della stagionatura e la ricotta tra 5 e 8 euro. Possiamo dire che il prezzo della materia prima è molto meno del 50% del prodotto al consumo.

Ormai è storia vecchia e noi siciliani ne sappiamo tanto. I limoni venduti a 10 centesimi di euro, il pomodorino di Pachino venduto a 0,20, stessa cosa per le zucchine genovesi e potremmo continuare all’infinito. Basta collegarsi con le borse di Chicago e Londra e vedere quali sono i prezzi dei beni alimentari e dei coloniali e poi fare il raffronto al supermercato. Una vergogna mondiale!

I pastori sardi ci fanno compassione, a ben pensarci sono moderni operai di questo secolo: a monte e a valle del processo produttivo i prezzi sono condizionati da altri, loro stanno in mezzo sperando che la politica dia una mano d’aiuto.

Scegliere di fare il pastore era prima un fatto ereditario, si faceva lo stesso mestiere del padre, anche oggi per certi versi è così, ma con tante eccezioni. Sicuramente è cambiato il livello culturale, alcuni sono pecorai dottori che sicuramente sono meglio dei dottori pecorai. Spiriti liberi sono i pastori, liberi di pensare mentre lavorano, all’aria aperta anche quando piove, liberi di leggere, di ascoltare musica, di chattare o di farsi un riposino mentre pascolano gli animali vegliati dai cani. Purtroppo è minacciata la loro libertà di non voler dipendere da nessuno. L’industria, la GDO, i consumatori, il fisco, l’Unione Europea, le banche, la burocrazia, ecc. fanno rimpiangere ai pastori l’avere scelto di fare quella vita. Pensavano di mandare a quel paese le complicazioni della società moderna e si ritrovano ad esserci mandati, a quel paese.

Badare a pecore e capre è la forma di allevamento più antica, pare che si sia iniziato con l’homo sapiens sapiens, che in modo accidentale avrebbe scoperto la possibilità di fare il formaggio.

Bere latte, fare il formaggio, mangiare carne, ripararsi dal freddo con la pelle, filare la lana, l’allevamento ovino sembrò agli uomini preistorici più che la manna dal cielo. L’attività pastorale si diffuse in tutto il mondo. Dove ci sono pascoli ci sono i pastori ed i loro animali.

La storia ci insegna che tra il fiume Tigri ed il fiume Eufrate nacque la civiltà mesopotamica dove si cominciò a coltivare la terra. Dovette essere in questa parte del mondo che cominciò il conflitto tra coltivatori e pastori, che in modo diverso continua ancora oggi, in ogni parte della Terra.

Trovare da mangiare per gli animali è stato da sempre l’assillo dei pastori; seminare e raccogliere è stato invece l’assillo dei coltivatori. Conflitto perpetuato nel tempo, di cui tanti scrittori si sono occupati.

Del contrasto tra pastori e agricoltori parlò, ai tempi dell’antica Roma, Lucio Columella, che oggi non saprei come definire: scrittore senza dubbio, agronomo ed agrotecnico anche, esperto di cucina pure, anche se i suoi scritti oggi servono a capire come si mangiava duemila anni fa: non consiglio infatti a nessuno di provare le sue ricette.

Columella pensava che la collaborazione tra l’allevamento e la coltivazione poteva e doveva essere necessaria, in fin dei conti il letame era necessario a fertilizzare i terreni per fare crescere più erba e più colture. Pensiero che altro non è che la classica rotazione agraria delle colture cerealicole attuata ancora oggi.

Della disputa millenaria delle terre tra coltivatori ed allevatori si occuparono in Cina gli antichi Mongoli, ai tempi della loro conquista. Pensavano di trasformare a pascolo un intero continente , prevalse il buonsenso.

La storia dello sviluppo economico è piena dei contrasti tra pastori e coltivatori e farne una disamina approfondita ci porterebbe via troppo tempo. Anche perché di pastori all’antica ne sono rimasti pochi: si sono trasformati in allevatori.

Attorno al 1986 a Mezzojuso c’erano alcuni pastori che avevano gli ovili nella periferia a monte del centro abitato. Assessore all’agricoltura era Angelo Canfora, che era impiegato all’Associazione Regionale Allevatori a Palermo. Gli parve giusto dare una sistemazione più razionale e moderna e propose di acquistare delle strutture per il ricovero degli ovini. L’amministrazione comunale stanziò la somma di 40 milioni di lire per risolvere il problema.

Il terreno degli ovili aveva troppa pendenza e si decise di impiantare le strutture in altro terreno comunale, a circa un chilometro di distanza. Queste strutture altro non erano che dei tunnel tipo serre, ma con un telo coibentato che si poteva chiudere ed aprire a seconda dei bisogni. Insomma un buon ricovero per gli ovini. Non ci andò mai nessuno, ma a poco a poco il materiale dei tunnel fu rubato. Ogni pastore si ricostrui’ a modo suo i tunnel, nel luogo che riteneva più confacente alle sue esigenze.

Credo che la solitudine sia una condizione che attraversa la vita dell’individuo pastore, egli è proiettato dall’alba al tramonto a risolvere i problemi dei suoi animali, vive dei suoi animali ed essi sopravvivono grazie a lui. Un rapporto simbiotico che si instaura ogni giorno, feste comandate comprese, dall’alba al tramonto.

La burocrazia è vista come il fumo negli occhi, il pastore non ha tempo da perdere fuori dal pascolo. Certificati, attestazioni, conformità, controlli, gli costano un sacco di soldi perché deve pagare un sostituto, come deve pagare qualcuno per tutte le assenze in caso di malattia, lutto o qualche mezza giornata di festa.

Ogni tanto organizzano nella propria masseria un banchetto per parenti ed amici, un agnellone da fare al forno o sulla brace non manca mai, il formaggio a tavola lo mettono, ma in genere non lo mangiano. Si ride e si mangia, quello per loro è un giorno di festa. A meno che non succedano cose gravissime, i problemi se li risolvono da sé trovando un punto di compromesso, non hanno tempo da perdere per vie legali.

Questo modo di fare viene visto da qualcuno come una repulsione congenita verso tutti quelli che portano una divisa. Non hanno tempo per queste cose di legge. Non sono mafiosi perché odiano le angherie, sono un po’ omertosi … per necessità, hanno tempo solo e soltanto per i loro animali dall’alba al tramonto. Mettiamola così, riescono a sopportare le rogne degli animali ma di quelle burocratiche fanno a meno volentieri.

Si dividevano le zone in modo tale che non sorgessero conflitti territoriali. Quando c’era la transumanza il pastore faceva prima l’ispezione del posto in cui portare a pascolare gli animali e si assicurava che quella fosse zona franca, e solo allora decideva di cambiare pascolo. In gergo veniva chiamato chiedere permesso, di pascolare.

Non stiamo descrivendo gli allevatori di Mezzojuso, stiamo descrivendo una categoria universale perché è così in Australia, in Argentina, in Grecia come in Spagna, in Sardegna, in Abbruzzo, in Calabria, in Sicilia e ovunque. Lo ripetiamo: i pastori vivono di capre e pecore e gli animali vivono grazie ai pastori, non hanno tempo da perdere …  e la mafia non c’entra niente.

I pastori sardi sono degli imprenditori che devono fare i conti con il bilancio aziendale.

Stringi qua e là, rinuncia a questo e a quello, risparmia su tutto, se alla fine puoi vivere o sopravvivere, –siccome non hai tempo– continui a mungere mattina e sera per riempire di latte, ogni giorno, la cisterna della cooperativa. Pagamento: 30 0 60 gg. Fine mese.

Il gesto eclatante di buttare via il latte sta a significare che la misura è colma!

Soluzioni? Si sente dire che il governo stia pensando al ritiro dal mercato di quantità di prodotto per sostenere i prezzi. Forse è l’unica cosa che può fare; un provvedimento tampone in attesa di … elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo.

Alcuni colossi della grande distribuzione, da più di dieci anni, hanno creato una S.p.A. per concentrare gli acquisti dall’industria. Fatta eccezione per pochi grandi marchi, (Ferrero, Barilla, Henkel) il prezzo è deciso sostanzialmente da chi acquista. Hanno fatto cartello e nessuno dice niente. Le politiche di prezzo sono identiche in tutte le grandi catene.

Provate a fotografare all’interno di un supermercato facendo finta di farvi un selfie, vicino ad uno scaffale, arriveranno subito gli uomini della sicurezza e vi lasceranno andare solo dopo essersi accertati che non siete spie e comunque vi chiederanno di eliminare le foto. Quale può essere la ragione di tanta riservatezza? Si chiama politica di prezzo e posizionamento allo scaffale. Do un consiglio ai lettori/consumatori: quando vi trovate davanti ad uno scaffale ricordatevi che i prodotti all’altezza dei vostri occhi, sono quelli che il supermercato vuole che voi compriate quella settimana, guardate quindi in basso e in alto prima di depositare sul carrello la merce.

Ultima considerazione a riguardo: ricordatevi che l’acqua minerale la troverete sempre in una zona defilata mentre i chewingum saranno alla cassa.

Dobbiamo chiederci adesso quale potere contrattuale possano avere i pastori sardi di fronte a tanta scienza e poca coscienza della grande distribuzione organizzata? Nessuno!

Gioca a sfavore dei pastori sardi perfino produrre in una grande isola ma poco abitata. Non possono fare la trasformazione e vendita diretta al consumatore perché la produzione è tale, che l’offerta è  spropositata rispetto alla domanda.

Che fare? Poveri e simpatici pastori di tutto il mondo unitevi! L’unione fa la forza e qualcosa sicuramente otterrete.

 

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