Francesco Erspamer

Matteo Salvini pedina dei neoliberisti. Con lui al governo via codice appalti e anticorruzione

Finalmente Salvini lo ha detto in modo esplicito: con i pieni poteri che chiese dal Papeete la scorsa estate, facendo cadere il governo gialloverde, imporrebbe un liberismo assoluto. Meglio citare le sue esatte parole: serve “totale deregulation, la rivoluzione liberale”. E a scanso di equivoci, eccolo precisare che la rivoluzione liberale che ha in mente è proprio quella “di cui si parlava trent’anni fa”, ossia quella radicale e berlusconiana, che chiedeva, e in buona parte realizzò, la privatizzazione della sanità e dei trasporti, la svendita dell’economia italiana agli stranieri, l’ingresso nell’euro, soprattutto l’affossamento delle piccole e medie imprese, in sostanza della classe media, a vantaggio delle multinazionali e dei ricchi. Cos’altro credete che significhi, parole di Salvini, “ripartire da una totale libertà d’impresa, libertà del singolo”? Significa che il più grosso, il più ricco, il più scorretto, vince. Infatti Salvini vuole un “azzeramento di tutti i controlli preventivi” e lo smantellamento degli organismi statali creati per impedire abusi, illegalità, scempi: “il codice degli appalti, l’anticorruzione, la Corte dei Conti, le sovrintendenze, il TAR”. Come a dire, mano libera agli speculatori, alla mafia, alle megacorporation, ai furbi e furbetti, agli amici degli amici. Puro neoliberismo, addirittura caricaturale nella sua esaltazione trumpista del diritto del più forte di imporsi, darwinianamente.
Forse è per questo che Meloni, la fascista immaginaria, è al suo fianco; perché confonde, come immagino i suoi seguaci, il fascismo con il nazismo e quest’ultimo con il “diritto naturale” dei vincenti di prendersi tutto; mentre quello di Salvini è nei fatti, e adesso anche nella retorica, un programma di rapida americanizzazione dell’Italia. Non credo che tutti i leghisti siano così e neanche i conservatori che votano Fratelli d’Italia perché gli pare tanto patriottico e nazionalista. O forse mi illudo, visto che per decenni hanno idolatrato l’immorale, anti-italiano, miliardario Berlusconi, quello che ha spostato la sede fiscale delle sue imprese in Olanda e che al primo segnale di pericolo se n’è scappato in Francia.
In ogni caso è questa la fondamentale scelta politica del nostro tempo, rispetto alla quale verificare il volere degli italiani: la totale deregolamentazione e impunità invocata da Salvini e Meloni e dal loro burattinaio, Berlusconi, o un ritorno alle regole e alla certezza della pena per i trasgressori, ossia allo Stato. Non ho purtroppo alcuna fiducia nel Pd, in questo Pd ancora in buona parte in mano ai renziani; ma il M5S deve rapidamente e con forza definire la sua ideologia statalista: più controlli, più severità, più limitazioni. A cominciare da quelle che favoriscono le piccole imprese, in particolare l’obbligo della chiusura serale e nei giorni festivi degli esercizi commerciali e una riforma fiscale che alleggerisca la pressione sulle imprese famigliari aumentandola drasticamente sulle grandi catene.