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L’Indiano Sulla Gru – L’Ingiustizia Che Si Consuma Sotto I Nostri Occhi

Nella  nostra ‘lettera  aperta’ di  due settimane  fa  scrivevamo al  Sindaco di  Trieste,  Roberto Dipiazza di  quest’uomo sulla gru Ursus  di  Trieste ma non è  successo  niente. Silenzio tombale su  tutti i fronti. Nessuno  ha  risposto. A   Trieste, come altrove,  non  se  lè  filato  nessuno. Per  non stressare più di  tanto  la  situazione  dal palazzo comunale  di  Trieste qualcuno ha pure  tolto  gli  striscioni  di Amnesty International che ricordavano il  sacrificio di Giulio Regeni. Chiedere ‘Verità e Giustizia‘ a  Trieste pare  sia diventato un’azzardo.  Cinismo  e   ipocrisia a  parte, lui,  Marcello  Di  Finizio, è  ancora  lì. 31  giorni ininterrotti, giorno  e  notte sulla  gru  arrugginita, alla  mercè della Bora  e le  intemperie. Per  la  verità  qualcosina é cambiata,  ora Marcello è anche  in  sciopero della  fame.

 

Ma  chi è  costui?  Marcello Di Finizio, è un brillante imprenditore ‘del fare’ che  è riuscito a rendere tangibili  suoi  sogni. Sarebbe  più  corretto  dire “Ex” imprenditore, perchè  un mese fa Marcello Di Finizio è salito su  questa  vecchia e decrepita gru Ursus del porto di Trieste per la sua protesta civile, ghandiana, pacifica, molto democratica, giusta. Chiede  di poter riavere il  suo lavoro, “La Voce  della Luna”. Non sta  chiedendo  la  Luna. Per colpa d’un perverso sistema è stato espropriato della Sua attività (“La Voce della Luna” azienda di ristorazione che dava lavoro a 15 dipendenti), perdendo insieme anche la Sua casa, i risparmi d’una vita, la Sua stessa ragione d’esistere.

Come dicevano è  lì sopra, pericolosamente appollaiato da ormai più di quattro settimane, sospeso nel vuoto a 70 metri d’altezza, armato solo delle sue legittime ragioni, alcune bottigliette d’acqua,  ed un telefonino, con cui documenta – giorno per giorno – la Sua incredibile e solitaria battaglia contro l’ingiustizia e l’indifferenza. Quotidianamente pubblica video-messaggi sulla sua pagina Facebook, un sito personale  e sul suo  Blog.

Persone come Di Finizio non si trovano proprio dietro l’angolo. Quelli come lui, capaci di combattere partigianamente per verità e giustizia (a costo della propria vita) sono portatori di così alti valori che sarebbero un bene collettivo da tutelare. Se osservate con attenzione, sotto quella gru Ursus non troverete nessuno a raccogliere il suo disperato appello: nessun politico, magistrato, nessun uomo di Chiesa, nessuno rappresentante della classe Forense, nessun concittadino, nessun esponente del mondo della cultura e delle arti, nessun esponente delle sigle Sindacali,  tantomeno alcun giornalista. In questa finta democrazia dello “Stato di Diritto”, incapace di elaborare delle soluzioni per  Marcello Di Finizio, lui  è diventato un’autentico uomo invisibile, come giustamente  scrive “IL PICCOLO” di Trieste (molto più di Matteo Messina Denaro). Uomo trasparente che ha l’unica colpa di vivere in un mondo al contrario, dove gli eroi civili subiscono l’arroganza dei pre-potenti mentre  i furbi no.

Stiamo assistendo al pietoso spettacolo d’una intera città, un’intero Paese in elegante (nel senso di INELEGANTE) e colpevole silenzio. Come se quella d’un cittadino vessato, umiliato, con l’esistenza ridotta in macerie, in cima ad una gru da un mese, sia la cosa più normale di questo mondo. Questa purtroppo è la ‘trieste‘ realtà. Vista la sensibilità culturale delle nostre Istituzioni, per ottenere ascolto, ora Marcello sta facendo anche lo sciopero della fame  ad oltranza.

 

 

 

Voi tutti che sin’oggi eravate distratti (o Vi siete girati dall’altra parte), continuate pure ad osservare in ‘religioso’ e cattolico silenzio. Come fanno i vecchietti quando guardano i cantieri durante i lavori in corso. Se  così butta, noi di sicuro  torneremo  di  nuovo quì a parlarVi di quest’indiano invisibile  sulla  gru  che nessuno  riesce  a  vedere e  sentire.

Indiano? Si  sì, dico indiano. Perchè  non  so se  lo sapete,  ma  vi son Indiani antichi  e…  Indiani moderni. Ma la storia è sempre quella. La lotta per i  propri  diritti, la  propria  terra, la  lotta   per la libertà. Ieri le battaglie degli indiani d’America, Sioux, Apache, Comanches, Cheyenne e Arapaho per proteggere le loro terre dallo sfruttamento. Oggi quella  di  un  uomo che  sta  in cima ad  una Gru da più d’un mese, rivendicando i  suoi  diritti  calpestati. Le  promesse a vanvera, non  mantenute.

Mi spiego  meglio. Faccio  un  passo  indietro (e 1 pò  di storia). Il grande miracolo che ha consentito di creare una grande nazione in grado di sostenere oltre cento milioni di uomini resisi liberi con la conquista del West è in parte dovuto alla diffusione delle ferrovie e dei treni che consentirono di coprire le oltre 3.000 miglia di distanza da oceano ad oceano in tempi ragionevoli e in sicurezza. L’idea della costruzione di una ferrovia negli Stati Uniti fu concepita per la prima volta dal colonnello John Stevens, nel 1812. Il 20 gennaio 1865 Il presidente degli stati uniti Abraham Lincoln chiese ad Oakes Ames, senatore del Massachusetts di collaborare con la Union Pacific Railroad nella realizzazione della ferrovia. Il 10 luglio venne piantato il primo chiodo della Union Pacific Railroad ad Omaha e il 6 Ottobre la prima compagnia ferroviaria americana Union Pacific stese i primi 15 miglia di binari. Il problema più grande di quest’impresa era fondamentalmente uno: l’attraversamento della ferrovia comportava l’inevitabile scontro con gli indiani Sioux, Cheyenne e Arapaho ai quali bisognava sottrarre le terre che avevano posseduto per secoli. Il problema degli indiani era talmente importante che lo stesso Generale Ulysses Grant (una sorta  di Dipiazza  dell’epoca) scrisse in un telegramma che bisognava: “… cacciare tutti gli indiani dalla terra dell’Union Pacific Railroad!” Per perorare la causa dei lobbisti che volevano la ferrovia a tutti i costi, era indispensabile inventarsi motivazioni politiche, scientifiche e filosofiche credibili, del tipo che una ferrovia transcontinentale che attraversava tutta la nazione era un’opera indispensabile per l’unione del paese. Nacque così la  ‘Bolkestein‘  del  tempo. Il 32° Congresso degli Stati Uniti, il 3 Marzo 1853 approvò l’Atto di Appropriazione Militare con il quale il Dipartimento di Guerra autorizzava un finanziamento per condurre Studi ed Esplorazioni al fine di individuare la tratta più praticabile ed economica per collegare il fiume Mississippi all’Oceano Pacifico. Ha così inizio la realizzazione della Ferrovia Transcontinentale,  la più grande opera del tempo. La Ferrovia Transcontinentale spaventava già sulla carta per le dimensioni del progetto. La sfida aperta, oltrechè agli indiani, era anche alle catene delle Montagne Rocciose, della Sierra Nevada e della Wasatch Range. Attraverso questa infrastruttura il west sarebbe stato vinto definitivamente e la civiltà dei bianchi avrebbe rapidamente soppiantato la cultura degli indiani. Per costruire la ferrovia transcontinentale che avrebbe unito est ed ovest degli Stati Uniti, scesero in campo due autentici colossi del settore, la Union Pacific Railroad e la Central Pacific (come dire una  grande società come la  Pacorini di  oggi). La prima iniziò la realizzazione della sua parte da est, mentre la seconda partì da ovest. Dopo una gara estenuante e massacrante si fece la conta dei danni e dei caduti: intanto la grave devastazione dell’ambiente eveva provocato la pressoché totale distruzione delle mandrie dei bufali e dei bisonti. In questi anni insieme alle leggende di Billy The Kid e di Tex Willer nacque la leggenda di Buffalo Bill, il cacciatore che in pochi mesi di lavoro per le ferrovie sterminò più di 5000 bisonti. Pascoli che potevano essere considerati remoti divennero in breve tempo a portata di tutti i più spregiudicati avventurieri. Bastava pagare solo un biglietto di treno e cacciatori e curiosi che ricercavano le mandrie di bisonti potevano andare a battere le pianure palmo a palmo, uccidendo tutti i bisonti che volevano, al fine di scuoiarli ed inviare le pelli ai mercati dell’est. Migliaia di chilometri quadrati di praterie finirono per essere uno spaventoso cimitero all’aperto dall’aria irrespirabile per via delle carcasse abbandonate ad una indegna putrefazione, cosa che scatenò (e comprensibilmente) l’ira delle tribù indiane. Si stimano in oltre 3 milioni i bisonti ammazzati dai visi pallidi in un solo anno, tra il 1872 ed il 1873 (a fronte di un numero esiguo di uccisioni da parte di indiani). Nel 1894 il massacro dei bisonti raggiunse livelli così imponenti che il Governo Federale dovette prendere atto della necessità di difendere le poche decine di esemplari di bisonte sopravvissuti promulgando una legge che vietò la caccia al bisonte.

Dulcis in fundo la famigerata, e criminale “Direttiva Bolkestein” del 1830 (ebbene  si pochi lo  sanno ma ha  radici lontane), denominata ‘Atto di Rimozione degli Indiani‘ (datato 26 maggio 1830), applicato da parte di molti stati degli USA, parecchio desiderosi di entrare in possesso di vaste estensioni di terreno allora occupate dalle cinque tribù “indiane civilizzate”. Ma  per  farli  sloggiare dai loro  terreni  bisognava utilizzare delle raffinate modalità. Fu  così  che una geniale mente dell’allora  governo americano (il  Dipiazza  della situazione) ebbe  un’intuizione semplicemente geniale: far  visitare   agli indiani delle  ‘location‘  alternative per  convincerli che  andando  via dai loro  territori avrebbero  risolto  tutti  i loro  problemi e  nessuno  più  li  avrebbe importunati. Come c’insegna la  storia, sta ‘lingua  biforcuta’ di mentitore non mantenne  la  sua  parola. Vendette agli indiani la  ‘fontana  di  Trevi’. Promise  qualcosa  che  non  avrebbe  mai  potuto  mantenere.  Il risultato fu che migliaia di indiani furono deportati,  obbligati con la forza ad abbandonare le loro riserve. Una  vera  tragedia. Non tutti però si piegarono al dittatoriale volere del dispotico ‘uomo  bianco’.  Al Little Bighorn infatti arrivò   un  Di Finizio che  ruppe le  uova  nel  paniere  ai  ‘visi pallidi‘. Gli indiani capitanati  da Lakota White Bull, avevano  solo  due  possibili alternative: trovarsinei  pressi  una  Gru  Ursus  sulla  quale  salire  per  dimostrare  civilmente  le  loro ragioni (purtroppo non erano state ancora  concepite) o  incazzarsi  a  manetta. Ed  infatti andarono  per le   vie  di  fatto vincendo  la Cavalleria comandata dal Generale Custer e facendogli un paniere grande come tutto il Molo IV e il Molo VII  messi  insieme. Il suo distaccamento del 7° Fanteria fu completamente annientato (nonostante che gli uomini del Generale Custer avessero le mitragliatrici e gli indiani fossero  armati solo di archi e frecce). In quel periodo fiorirono le leggende di “Geronimo”, “Cavallo Pazzo”, di “Toro Seduto” e di “Nuvola Rossa” . Quest’ultimo valoroso guerriero morì nel 1909 e la sua lunga e avventurosissima esistenza è ancor oggi testimonianza dei molti modi in cui il ‘pellerossa’ si oppose con tenacia all’occupazione dei bianchi. Gli indiani non erano guerrafondai, non erano fuorilegge e neanche terroristi. Dimostravano pacificamente e ghandianamente. Ma non  rinunciarono a difendere la loro terra. E la libertà. Questo era il Far West. Eventuali analogie con Trieste, l’uomo sulla Gru  Ursus che  lotta caparbiamente per  i  suoi diritti, le  promesse tradite,  etc  etc,    le lascio  a Voi.

Stanotte  c’era  una  Bora spaventosa da  spazzar via i bastimenti, ma  Lui era  ancora  lì saldamente  aggrappato alla  sua/nostra gru. Questa  mattina  “l’indiano” ha  twittato  dal  social: “Buongiorno mondo. Sono ancora vivo. E’ passato il temporale con il vento e i fulmini. Oggi c’è il sole, qui farà molto caldo ma è sempre meglio che il temporale ed è sempre meglio che rinunciare a combattere e vivere rassegnati … La giustizia, la libertà, la dignità, i sogni… impongono sacrificio, coraggio, costanza e determinazione”. “Cavallo Pazzo” Live  Here.

Una cosa  è certa. Quando si  vuol a tutti i costi calpestare gli altrui diritti, il nativo potrebbe incazzarsi. E potrebbero arrivare tutti gli  indiani che  disseppelliscono l’ascia di guerra.

Attenzione … perchè a volte la storia si ripete. AUUUGH!!