Francesca Scoleri

Emiliano Fittipaldi: dal  Vaticano  alla  Politica, perché  in  Italia  è  difficile fare inchieste  che  sfiorano  in potere

Intervento  di Emiliano Fittipaldi – L’Espresso – all’evento: “Giornalismo d’inchiesta pilastro  di  democrazia”,  presso la  Camera  dei  Deputati

“Dal  Vaticano  alla  Politica, perché  in  Italia  è  difficile fare inchieste  che  sfiorano  in potere?”

Emiliano Fittipaldi:

Come  il  direttore  Travaglio  anche io non  sono  mai  stato  invitato  alla  Camera a  parlare  di  temi  di  questa complessità  e  di questa  importanza e  quindi  sono  contentissimo  di  essere  stato  invitato.  Mi  spiace che  è  andato  via  il Presidente  Fico che  è  stato  il  primo  ad  invitarmi  a  Napoli nel 2010,  siamo  napoletani entrambi e  avevo  fatto  un  libro  “Così  ci  uccidono” che  raccontava dell’inquinamento  della  nostra  terra.

E’  stato  l’unico  a  presentarmelo,  era il  2010  ai  tempi  della  campagna elettorale  per  le  Regionali. Eravamo  2  ragazzi e  adesso  mi  fa  strano  vederlo qui,  lui  da  una  parte  ed  io  dall’altra. Allora,  io  faccio  inchieste  sul  potere. Qualsiasi  forma di  potere. Non soltanto  il Vaticano  che  con  le  inchieste  che  mi  hanno  reso più  celebre,  perché  io  sono  partito  facendo  inchieste.

Che  cosa  vuol  dire  fare  inchieste  sul potere  in  Italia? Inchieste  sul  potere  è  cercare  di  raccontare quelle  verità  nascoste che  qualsiasi  forma  di  potere,  potere  politico, potere economico, potere  finanziario, poteri  di  autorità morali  importanti, di  poteri reali  come il  Vaticano  in  Italia, vogliono  che  l’opinione  pubblica  non  conosca. Segreti,  scandali, affari  poco  chiari, conflitti  di  interesse, non  per  forza  questioni  che  riguardano  reati  penali. Questo  tipo  di  lavoro,  ahimè,  lo  dico  con sofferenza,  in Italia, è  vero,  lo  fanno  pochissimi. Si  fa  molta  cronaca  giudiziaria, che  è  tutt’altro  da  un’inchiesta  autonoma  del giornalista.

Cronaca  giudiziaria  vuol  dire che  tu  utilizzi  e  racconti sui  giornali,  sulla  stampa, è  documentare inchieste  che  fanno  altri. Che  fa  la  Polizia  Giudiziaria, il  Magistrato,  oppure dei  report  di  altri poteri che  possono  veicolare la  stampa per  pubblicare  quelle  indagini. Le  inchieste  sul  potere non  si  fanno  in  questo  paese,  mentre sono  la  base  del  giornalismo anglosassone.

Per  esempio,  ancora oggi lo  sono  per 1000  motivi. Non è  vero –  non   mi ricordo  chi  l’ha  detto – che  prima  si  facevano  ed  oggi  non  si  fanno  più. Secondo  me  in questo  Paese  le  inchieste autonome  di  giornalisti non  se  ne sono  mai  fatte  tante. Non abbiamo  una  cultura  simile  a  quella del  giornalismo anglosassone, non  c’è  nessun  giornalista  d’inchiesta che  è  mai  diventato  direttore di  nessuna testata.  Mai,  nella  storia  di  questo  Paese. Forse  Giuseppe D’Avanzo, mio maestro  è  diventato  vice  direttore  di  Repubblica,  ma  Direttore  è  un’altra  cosa.

Non  accade  questo  nel  resto degli  altri  paesi,  in  Francia,  in  Germania, in  America,  in Gran  Bretagna. L’esempio  che  tu  facevi delle  inchieste  sul  Vaticano,  e faccio  questo  esempio  personale perché lo  conosco bene ed  è  il  motivo per  cui nessuno o  pochi  giornalisti  fanno  inchieste di  questo  tipo, è  che,  vi  ricordate  Spotlight, l’inchiesta  dei  colleghi  del  Boston Globe del 2003-2004  che raccontò  quello  che  accadeva  a  Boston col Cardinale  Bernard  Law che  spostava   i  preti  pedofili  da  una  parte  all’altra,  che  pagava  le  famiglie  per  il  loro  silenzio,  i  giornalisti del  Boston Globe che  hanno  fatto  quell’inchiesta sono  stati  premiati  con  il  Pulitzer, il  capo  di quei  cronisti attualmente  è  Direttore, si  chiama Martin Baron  del Washinghton Post.

Da   quell’inchiesta  è  nato  un film  che  nel  2015  ha  vinto  un’Oscar. Ovviamente,  fatte  le  dovute  differenze, mettendo  la  radice  quadrata, quello  che  ho  fatto  io  con  Gianluigi  Nuzzi con   “Avarizia”  e  “Via Crucis”  nel  2015  e  quello di  aver  raccontato per la prima volta come  vengono  gestite  le  finanze  Vaticane;  quant’è  ancora,  anche  sotto                                      questo pontificato e  questo  magistero l’imponente  ricchezza  ed  il  potere del  Vaticano  stesso e  con  quei  2  libri  abbiamo cercato  semplicemente  di  fare  il  nostro  mestiere,  cioè raccontare quello  che  c’è  nel  dietro  le  quinte.

Quindi  la  Chiesta  ancora  oggi non  è  affatto  povera  per i  poveri, questo  è  un  desiderata  di  Francesco e  spero  che  alla  fine del  suo  magistero  riesca a  realizzarlo  ma  è  una  Chiesta ancora molto ricca che  utilizza  anche  i  soldi della  beneficenza per  gli interessi  personali dei  cardinali dei dicasteri  a  volte dei politici  amici,  abbiamo  visto qualche  deputato  di  qualche di  qualche  partito  importante  che aveva  una  casa  a  Via dell’Orso  insieme Esterino  Montino  e  Monica  Cirinnà per  non  fare  nomi, che  aveva  una  casa  da  130  mq a  cui  pagava  130 euro  al mese,  da  un Ente,  il  Vaticano, in  particolare  l’Absa,  a  cui  alcune  leggi  dello  Stato  Italiano  vanno  ad  aiutare  quell’ente stesso, quindi  a proposito  di  conflitti  d’interesse.

I  due  giornalisti,  cioè  il  sottoscritto  e  Nuzzi, non  hanno  vinto il  Pulitzer, sono  stati  indagati  dal  Vaticano, nel  silenzio  totale della  politica  italiana, TOTALE, in  tutti  i  partiti. Ho  visto  anche  esponenti  del  Movimento  5  Stelle, anche  il  Movimento  5  Stelle  non  si  è  mosso proprio  in  maniera forte  per  quei  giornalisti  che  hanno  fatto  quel  tipo  d’inchiesta, rischiando  dai  4  agli  8  anni  di  carcere, con  un  attacco  molto  duro fatto  dal  Vaticano  e da giornalisti che –  diceva  la  signora  Vella –  la  prima  cosa  che i giornalisti devono  fare è quello  di  proteggere  e  aiutare  gli  altri giornalisti  che  cercano  di  scoperchiare  il  potere.

Questo  non  accade  in  Italia, in  Italia  chi  fa  questo  mestiere,  sia  dalla  politica,  sia  dai  potenti ma  anche dai  colleghi  viene un po’ abbandonato,  visto  con  antipatia, perché  chi  lavoro  in  un  certo  modo  fa  vedere  che forse gli  altri  non lavorano come  si  dovrebbe  lavorare. E  quindi  siamo  stati  attaccati, addirittura  accusati  di  aver  rubato  i  documenti, di  aver  minacciato  “le  fonti”.  Solo  in  Italia “le  fonti”  vengono  chiamate  “corvi”. Questa  è  una  cosa  che…  se  le  fonti danno  informazioni  di  qualità,  interessanti  per  l’opinione  pubblica, vengono  chiamate “gole profonde”, vengono  addirittura  premiate, vengono considerate  degli  eroi, vede  quello  che  è  successo  con  Wikileaks, con  Assange, in  Italia  invece  vengono  chiamate “Corvi”. Perchè  c’è  sempre il  retropensiero che  il  giornalista  fa  quella  particolare inchiesta  per un  interesse  personale del  suo  Editore  o  della  sua fonte  stessa.

Questa  è  una  cosa  che  accade,  dal  punto  di  vista  culturale,  solo  in  questo  Paese. Cosa  fa  il  potere  in  questo  caso  specifico? Cerca di  distruggere  la  credibilità  del  giornalista. In  questo  caso  specifico  dicendo che  noi  eravamo  dei  ladri, e  che  avevamo  pagato  le  fonti o   addirittura  che  le  avevamo  minacciate. Alla  fine  questo processo è  andato  male per  la  Chiesa, perché nemmeno  un  rigo  dei  due libri,  nemmeno  un  rigo  è  stato smentito,   e  noi  siamo  stati  accusati,  diciamo,  di  aver  divulgato  notizie  riservate che  potevano  mettere  a  rischio l’interesse  nazionale  dello  Stato,  della  Città  del  Vaticano (questo  per  la  ridicolaggine  dell’accusa). Ma  nessuno  c’ha  dato  nessun premio, nessuno  ha  fatto  un  film  su  questo. Nel  2015 fu  premiato  come  miglior  giornalista d’Italia Fiorello, Rosario  Fiorello  non Beppe.

Questo per  dire che  in  Italia il  tipo  di  lavoro  che  viene  fatto,  ovviamente quello  che  faccio io  è  niente  rispetto alcuni  colleghi  che  rischiano  la  pelle, sia  in  grandi  testate  nazionali,  qui  abbiamo  Giovanni  Tizian che  lavora con me, che  è  stato  sotto  scorta (non  so se lo  sei  ancora)  fino  a  pochissimo  tempo  fa,  per  aver  fatto  inchieste  molto  importanti sulle  infiltrazioni ‘ndranghetiste in  Emilia  Romagna. E’  davanti  alla  mia  scrivania,  al  lato ho  invece Lirio  Abbate,  anche  lui  sotto  scorta, per  aver  svelato  primo  fra  tutto  Mafia  Capitale, prima ancora  per  minacce  ricevute dalla  Mafia  siciliana. C’è  Roberto  Saviano, insomma noi  abbiamo  una  quantità  di  scortati all’interno della  Redazione  piuttosto significativa. Questo  per  farvi  capire la  difficoltà  e  anche  il  rischio  personale che quelli  che  fanno  il  mestiere, non  in  maniera  eccezionale, attenzione,  quà  nessuno è  un  eroe, come  bisognerebbe  fare  questo  mestiere. Io  non concepisco  un  altro  modo  di  fare  il  giornalismo.

Il  giornalismo  è  quello  di  raccontare  e  di  svelare  dei  segreti  o  comunque di  approfondire  delle  notizie  che il  potere  –  di  qualsiasi  forma –  cerca  di  darti  in  maniera  interessata. Quello  che  il  giornalista  d’inchiesta  fa è  quello di  attivare,  accendere una  curiosità intellettuale di  fronte  alla  rappresentazione  che il  potere  racconta  di sé  stesso. Se  arriva  un  nuovo  Pontefice  che  promette  una  rivoluzione, parte  importante  della  stampa,  ahimè  soprattutto quella  italiana, considera  quella  rivoluzione già  belle  fatta. Il  Papa  ha  un  carisma  straordinario  rispetto al  suo  predecessore, questo  c’è  poco da  dire, e  quindi  noi crediamo  alle  sue  parole senza  andare  a vedere  se a quelle  parole corrispondono  i  fatti. Questo  lo si  fa ogni volta non  soltanto  sul  Pontefice,  la  stampa italiana, ahimè  lo  fa  spesso sul  potere,  oppure la  stampa,  parlo  sia  di  televisione  sia  i  giornali,  oppure quando  ci  sono  delle simpatie  politiche (che  è  normale  che  i  giornalisti  abbiano).

Io  cerco  di  essere  apolitico  nel  tipo di lavoro  che  faccio. Nel senso  che  io,  ovviamente  voto  un  partito piuttosto  che  un’altro, a secondo delle  proposte,  ma  quando  vado  a lavorare  io  non  guardo  in faccia  a  nessuno. Non devo  guardare  in  faccia  a  nessuno. Al  di  là  delle  simpatie  politiche che  posso  avere  io,  il  mio  Direttore, il  mio Editore. Invece  succede,  ahimè, per  tutti  i  giornali,  TUTTI, nessuno  escluso, ahimè, forse  un  po’  noi  ci  proviamo  all’Espresso,  un  po’, ci  proviamo,  a volte  ci  riusciamo, a  volte  no,   che  chi  ti  dà  un’informazione se  ti  è  simpatico  tu  la  dai  per  buona. E  quindi  non  fai  la  seconda  domanda. Ossia  il secondo passaggio. Quello  che  ti  stanno  raccontando  è  vero  o  è  falso?

La  prova  che ti  stanno  dicendo rispetto  ad  un  particolare  dossier,  rispetto  ad  una  particolare questione, è  sufficiente  oppure no? Il  giornalista,  ma  non  un  giornalista  investigativo, un  qualsiasi  giornalista, deve  cercare  di  analizzare le  promesse,  le  parole,  per  vedere  se  quelle  parole corrispondono  a  fatti concreti. Questo,  è  vero,  viene  fatto pochissimo.  Perchè  vien fatto  pochissimo? Per  tantissimi  motivi. La  questione  delle  querele e  delle  liti  temerarie è vera.  Io ho  avuto  negli  ultimi  2  anni richieste  non  solo penali  ma anche  civili  per  milioni  di  Euro. Mauro  Masi capo  della  Consap  mi  ha  chiesto 25  milioni  di  Euro. Per  un’inchiesta  perfetta  perché alla  fine  ha  dovuto  ritirarla  quella  querela.

Brunetta  me  ne  ha  chiesti 11-12  per  una  copertina  che  feci  insieme a  Marco  Lillo,  quando  era  ancora  all’Espresso prima di  fondare  Il  Fatto (su  la  sua  carriera  lui  al  tempo  era  Ministro dell’Innovazione). Adesso  mi  è  arrivato,  ora ho  visto 2  giorni  fa  una  querela  di  Salvini, non  so  ancora  perché, quali  sono  le  sue  motivazioni, sono  49  milioni ma  le  inchieste  le  hai  fatte  tu,  non  capisco  perché …  io  non  l’ho  fatta  non  capisco perché  se  la  prende  con  me  e  non  con  te. Francesco  Boccia  del  PD mi  ha  chiesto  2  milioni  e la  moglie 1  milione  e  mezzo (perché  forse  non  si  potevano  mettere  d’accordo). Bertone,  di  cui ho  rivelato  la  storia  dell’attico, io  raccontai … , e anche lì,  per  raccontarvi  che  non  sempre poi  le  cose  vengono  raccontate dagli altri  giornali,  lì  non  ci  fù  nessun leaks, li  non avevo nessuna  carta su  Bertone, sui  soldi che il  Bambin  Gesù,  o  meglio la  Fondazione  del  Bambin  Gesù  aveva dato  a Bertone  per  ristrutturarsi  la  casa. 500 mila  euro  di  soldi  fottuti dalle  casse  della  beneficenza e  che  il  Cardinale  Bertone ha  utilizzato per ristrutturare  la  sua  casa  con  i  marmi  di  Carrara,  con  un  sistema  di  impianto  Bose  da  18.000  Euro.

Non  avevo  quelle  carte.  Dovevo  consegnare  questo libro, avevo  il  libro  di  Nuzzi e scoperto  che  Nuzzi  era  al  terzo libro, aveva  molta  più  roba  di me. Per  fortuna  no,  ma  non lo  sapevo. Insomma,  volevo  inserire qualche  altra  notizia. Mi  ricordai  che 3  anni prima,  ad  una  festa  romana qualcuno  mi  raccontò  di  questa  vicenda  del  Bambin  Gesù. Io  chiesi subito  i  documenti, ho  detto  non  possiamo pubblicare  storie  di  questo  tipo senza  avere  ogni  carta  d’appoggio,  perché  rischiamo il  nostro  portafogli. E  alla  fine chiamai  Profiti, bluffai  facendo  finta  che  avevo  i  documenti che   non  avevo.  Profiti era  il  capo  del  Bambin  Gesù,  e  lui  stesso  mi  raccontò  tutto  quello  che  era  successo,  pensando  che  io  avessi  le  carte  che  invece  non  avevo. Ovviamente,  per  fortuna,  registrai  la  telefonata, perché  era  l’unica  prova. Questo  per  dirvi  come nopn  tutto  è  legato  ai  leaks e  un giornalista d’inchiesta è  tale  solo se  riesce  a  fare  inchieste  autonome.  Perchè  anche  il  leaks che  va  molto  di moda  in  questo periodo  non  ha  nulla  a che  fare  con l’inchiesta.

Se  arriva  Wikileaks  che  da ai   giornali  stranieri  o  americani tutta  una serie  di  informazioni, è  facile  fare  inchieste  avendo tutti  i  documenti sulla  tua  scrivania. E’  importante  andarli  a cercare e  valutarli.  Cosa  succede in  Italia  rispetto  alla  questione della  fonte? Mi  trovai a  “Porta  a Porta” accusato  da  un  giornalista di  cui  non  farò  il  nome, Massimo  Franco  del  Corriere della  Sera, mi  accusò (insieme – ovviamente – a  Bruno  Vespa) di essermi,  non  fidato delle  fonti,  ma  di essere  diventato  strumento  delle  fonti. Ti sei  fatto strumentalizzare,  ti  sei  fatto  utilizzare  dalle  fonti.  Questa  è  una  cosa  che  spesso  fa  la politica quando  faccio  un’inchiesta  su  Renzi,  per  esempio. Faccio  un’inchiesta  su  Renzi, su Carrai,  su  Alberto   Bianchi (ne  ho  scritte  di ogni  su  di loro).

Sui  conflitti  d’interesse, prima ancora che  del  ‘caso  Consip’. Raccontai  che  Bianchi  aveva avuto  una serie  di  consulenze  da  Consip,  nonostante non fosse soltanto  un’avvocato del  Giglio Magico, ma  fosse  un  importante  esponente della  Fondazione,  Presidente  della  Fondazione renziana  e  che  quindi forse  non  era  il  caso  che  prendesse soldi  e  consulenze da  un’amministratore  delegato (Marroni)  che  aveva messo  lo  stesso  Renzi. Come  su  Carrai  quando  voleva  fare il  Cyber non ne parliamo proprio. Lì  quando  faccio  quei  pezzi  mi  accusano di  essere  ‘grilllino’  e i  loro  uomini della  comunicazione mi  attaccano,  attaccano l’Espresso  dicendo che l’Espresso  è  diventato  ‘grillino’. Contemporaneamente,  se  faccio  un’inchiesta  su  Marra, per  esempio,  e  Marra è  finito  in  galera  perché  il  sottoscritto ha  fatto  un’inchiesta  prima.

La  Procura si  è  attaccata  all’inchiesta che  ho  fatto io per  un  caso  fortuito. A quel  punto  i  grillini mi  dicono  che  io  sono un servo  di  De  Benedetti e sono  al  soldo del  PD  o  dell’Editore o di Berlusconi.  Questo  in un caso  o  nell’altro è  gravemente offensivo del  lavoro del  giornalista  perché si ipotizza che – questo  è  uno  dei  cancri  culturali del  nostro  giornalismo – che il  giornalista  sia per  forza  al soldo di  qualcuno, e  che  quindi  fa  un’inchiesta sul  potere,  e il  potere  può  essere  di  maggioranza,  di  opposizione, su  un partito  su  un  altro, obbligatoriamente  viene  insufflato  da  qualcuno per  qualche  interesse.  Massimo Franco  mi  disse: “ti  sei  fatto  strumento  di  quelli  che  voglio  distruggere la  rivoluzione  di  Francesco”. Ero  molto  stanco  e  non ho  avuto  la  prontezza  quella  sera  di rispondergli.

Avrei  dovuto rispondere  che  chiunque  pensa  e  dice  una  cosa  del  genere deve  cambiare mestiere,  perché  sempre  le  fonti  utilizzano  il  giornalista. Il  giornalista  può  sapere,  e deve  cercare  di capire  perché  quella  fonte ti  sta  dando  quell’informazione. Quali sono  le  sue  motivazioni più  o  meno  recondite. Ma  se  la  fonte è ‘buona’, se  quella  notizia  è  di  interesse  pubblico,  se  quella  notizia  ovviamente  deve  essere  verificata 2, 3 , 4, 5  volte per  capire se  è  vera,  il  giornalista  deve  pubblicare  quell’informazione. Perché se la  tiene  nel  cassetto come, ahimè, abbiamo  visto  molti giornalisti  fanno, beh  a  quel  punto  lui  stesso  può  diventare  un  vile  ricattatore. Quando  nel  più  importante  scoop della  storia americana,  e  probabilmente  del  giornalismo contemporaneo,  quello  che  ha  fatto  il  Washington  Post sui  colleghi del  Watergate,  i  colleghi Bernstein,   Woodward tra  l’altro ha  fatto  un  libro  da pochissimo,  se  non  l’avete letto,   leggetelo (su  Trump) fecero saltare  il  Presidente  Nixon  col  Watergate. Si  scoprì  30  anni  dopo  qual’era  la  sua  fonte.

La  sua  fonte  era  il  numero  2  dell’FBI. Teoricamente  l’uomo che più  di  tutti, o  uno  di  quelli  che  più  di tutti avrebbe dovuto  difendere  Nixon.  Perchè ha  traditom Nixon quella  fonte?  Non lo  sappiamo. Probabilmente  perché  voleva distruggere  quell’amministrazione  per  sostituirla  con un’amministrazione  diversa? Perchè  questo  succede  sempre,  una  fonte ti  dà  delle  informazioni  su un  gruppo di potere  perché  vuole  distruggerlo  per  sostituirlo col  suo. Quasi  sempre  lo  fanno  per  vendetta,  per  rabbia.  Mi  ricordo che  c’erano  i ‘renziani’  che  mi  davano un  sacco di  informazioni  contro  i  loro amici (e  questo ahimè  capita  anche  con  i  nuovi  governanti) perché  consideravano  quelli  che venivano  promossi dei  raccomandati  delle  persone che  non potevano  stare  su  quella  poltrona, su  quella  sedia,  che  non  lo  meritavano, e quindi  si  vendicano  attraverso la  stampa. Tutto vero,  questo  accade sempre così.  Nessuno  ha  chiesto a  Woodward e  a  Bernstein  in  America  se si son  fatti  convincere  o  strumentalizzare dal  numero  2  dell’FBI. Le  notizie  erano  vere? Certo.

Erano  d’interesse  pubblico?  Ovvio. Erano  confermate  dai  fatti? Si. Nixon è  saltato e  i  due  giornalisti  son  diventati  degli  eroi  nazionali.  Ancora  oggi  ne  parliamo.  In  Italia  tutto  questo ahimè  non  c’è. E  quindi  conviene  ai  giornalisti,  diciamo,  stare  un  passo  indietro, anche  da  un  punto  di  vista  di  carriera,  come  vi  dicevo  prima. Non  conviene  tanto andare  a rimescolare  nel  torbido,  creare  problemi.  Si  autocensurano. A  volte  non  c’è  nemmeno  bisogno del  potere che  gli  dica  di  ‘non  fare’. E’  lo  stesso  giornalista che  in Italia  si  autocensura. Questo  è  uno  dei  problemi  maggiori. Ho  una  notizia?  Se la  pubblico  ho  più problemi  o più cose  positive? No  più  problemi! E’  meglio  quindi  che  questa  notizia non la  pubblica. Interessi  degli  editori:  verissimo.

Non ci  sono  editori  ‘puri’  in  questo  Paese.  Ovviamente non  si può  immaginare che  per  un potere, per  legge, decida  l’editore,  se  è  ‘puro’  e  non  è  ‘puro’. Questo  dev’essere  il mercato  a  deciderlo.  Così come non  esiste  al  mondo,  se  no sembra  vendicativo, che  un  potere  decida  o  non  decida  se un’azienda  pubblica faccia per  i  suoi  interessi di  marketing, la  propaganda  su  alcuni  giornali oppure  no. Questa  è  una  cosa  che  non può  dire il  potere perché  altrimenti  quello  stesso  potere sembra  un  potere censore  nei  confronti della  stampa.  Anche  se  alcuni elementi  di rigidità  nelle  critiche ci  sono  eccome. Le  minacce.  Le  minacce sono  di  ogni  tipo da  parte del potere. Ci  sono minacce  criminali  per  cui io  mi  ricordo  quando  feci  un’inchiesta su  Nicola  Cosentino,  non so se lo  ricordate Nicola  Cosentino, era  sottosegretario  all’Economia  nel  Governo  Berlusconi. Ad  un  certo punto mi  arrivarono  una  serie  di  informazioni,  anche  di  carattere  penale,  quindi  in  quel  caso feci  cronaca  giudiziaria,  non  investigazione  autonoma, che  lui  era  sotto  indagine  dalla  procura di  Napoli per  questioni  legate ai  suoi  rapporti con i  Casalesi. Lui  era  diventati  Vice-Ministro dell’Economia,  avevo  ad  un  certo  punto avuto  queste  informazioni, e  aspettai  un po’  di  mesi perché  non  volevo  che  poi la  Procura  di  Napoli mi  accusasse di  aver  rovinato  quell’indagine.

Passava  sempre più  tempo e  vedevo  che  Cosentino  prendeva  sempre  più  potere. Ad  un  certo  punto  dopo  6  mesi  decisi  di pubblicare  quelle  informazioni. Qualcun’altro  mi disse  “No,  c’è  qualcuno  in  Procura  a  Napoli  che non  vuole  che  questa  inchiesta  vada  avanti”.  Probabilmente  era  una balla,  fatto  sta  che alla  fine  pubblicai  lo  stesso. Arrivarono a  casa  mia  e del  collega Gianluca Di  Feo  e  sequestrarono alle  6  di  mattina 20 persone in casa,  un  sequestro  della  Finanza  che  chiaramente  sembrava  intimidatorio,  rispetto alla  pubblicazione  di  una  notizia  che fu deflagrante.  Quanti  giornali  raccontarono  quell’inchiesta? Nessuno. Perchè  un’altra  delle cose  paradossali è  che in  Italia se  tu  fai  un’inchiesta  giornalistica autonoma, nessun giornale  te  la  riprende. MAI. Anche se  hai  carte  e  hai  pezze  d’appoggio che  dimostrano  in  maniera  inconfutabile che  tu  probabilmente  hai  ragione. Questo  accade per motivi  anche  biechi. Nel  senso  di  gelosia  professionale. La  volontà  di  non  mostrare  che  tu hai  preso  un buco.

Questo,  anche quì,  accade  solo in  Italia. Se  Le  Monde  fa  un’inchiesta importante  il  giorno  dopo Figarò  la  riprende. Anche  perché  la  volta successiva se  la  fa  Figarò sarà Le  Monde. E  questo  fa bene a  tutto  il  giornalismo  professionale. Oppure al  contrario.  Se  c’è  un  giornale  che fa  un’inchiesta  sballata o  che  dà  delle  notizie  false, ci  sono  gli  altri  giornalisti che  fanno  le  pulci  a  quel  giornale.  Quindi  c’è un’attenzione  molto  maggiore  che  se  sbagli ne  paghi  anche  le  conseguenze. Che  possono  essere professionali  individuali ma  anche  di  vendite. Tutto questo  non  accade  perché  “cane  non  mangia  cane”  tra  i  giornali. E  tra  i  Media,  per  non parlare della  televisione,  che viene  da  20  anni di berlusconismo  spinto  dove l’informazione,  soprattutto  sulle  reti  private  si  è ridotta al  lumicino. E  dove  la  semplificazione  del  linguaggio –  e  questa  è  l’ultima  cosa  che  dico – è  diventata prioritaria nell’interesse  del  potere. Perchè  la  semplificazione?  Perchè una  delle  responsabilità  per  cui  non  si  fanno  inchieste è  perché  l’opinione pubblica,  anche  se  quelle  inchieste dice  di  volerle (a  chiacchiere) non  le  vuole  in  realtà.  Non  le legge.

Se  io  faccio  un’inchiesta  complessa che  può  essere  sugli  interessi economici del  Giglio  Magico o  sul  concorso del  Presidente  del  Consiglio Conte,  che  ha  che  fare  con  dati,  conflitti d’interesse  complicati, con pezzi  difficili, quando  io la  vado a  mettere  sul sito  della  Repubblica o dell’Espresso mi  accorgo  dai  dati  che viene  letta,  anche  se  la  faccio  gratuitamente, quindi  la  diamo  gratuitamente  (è  una  follia  da punto  di  vista economico  perché  il  giornalismo  professionale  che  faccio  io  ha un  costo) è  complicato,  non  tutti  lo  possono fare, non  tutti lo  sanno  fare, il  gattino  a fianco  che  salta sul  cane ha  un numero  di  ‘click’  infinitamente  superiore. Quello  che  dicevi tu,  ossia, del  fatto  che  c’è  una  parte  di italiani  ‘analfabeta’  non dal  punto  di  vista ovviamente  che  non  sa leggere/scrivere,  ma  che  al  settimo rigo  non  capisce  più  nulla.  E’  vero,  è drammaticamente  vero. Ma  è  un  dramma per  la  nostra  democrazia perché  se non  si  alza  il  livello  culturale avremo dei  cittadini che  avranno difficoltà  ad  informarsi. Che  avranno difficoltà a diventare  cittadini consapevoli.  E  quindi  cittadini  che  poi  possono  scegliere nel  momento  delle  elezioni,  che  è  il  momento  più  alto  della  nostra  democrazia. Chi  votare  e chi  no.

La  propaganda a  tutti  i  livelli, di  tutti  i poteri, su  cittadini del  genere  ha  molta più presa.  E  questo  è  un problema.  Io  non  sono  contrario  ai  social, qualcuno  dice  i  giornalisti  son  contrari,  no io  non son  contrario,  ma noto che negli  ultimi  10  anni il  linguaggio  dei  social si  è  semplificato  in  maniera sempre  più  forte. E  quindi  quello  che scriviamo noi,  a volte  le  cose  sono  complicate perché  i  meccanismi  del  potere, ragazzi, sono   difficili,  e vanno spiegati  anche  semplificando  al  massimo con  una  certa dose  di  complessità per non  rimanere sempre  in  superfice. E  noto  che  l’arrivo  dei  social  non  è  stato  positivo  per  questo.  E  noto che  anche  l’utilizzo  dei  social va  sempre  verso  una  semplificazione maggiore  quando  le  generazioni  scendono.  Io  ho  2  figli, Facebook  per  loro  è  troppo  complesso. Facebook è  troppo  complicato,  puoi  scrivere  troppo,  e troppo lungo.  Già  Twitter … ma  anche  Twitter è troppo  complicato. Meglio  Instagram:  una  fotografia. Ce  l’altro  Snapchat   che  non  prevede  testo che  ha  un  successo  straordinario soprattutto in  America  tra  le  nuove generazioni. Noi  non aiutiamo  le  nuove  generazioni a  comprendere  e  a capire  anche  la  difficoltà  di  informarsi  su  cose  complicate. Quindi,  la  cultura  del  sospetto, l’ignoranza,  le  minacce, le  querele  temerarie, gli  interessi  degli  editori,  l’autocensura  dei  giornalisti, questo,  per  rispondere al  motivo per  cui  mi  avete  invitato, sono  motivi  che  si  intrecciano  tra  di  loro.