Francesco Erspamer

Elezioni e liberismo. La scelta è già stata fatta

Già domani, con le elezioni regionali, e poi nei prossimi mesi e anni, lo scontro fondamentale, anche se non necessariamente esplicito, contrapporrà chi vuole un’Italia capace di durare e chi vuole un’Italia capace solo di novità. Il liberismo, nella sua essenza, è bisogno assoluto di continui cambiamenti: consumismo ossessivo, crescita perenne, mobilità, appiattimento sull’attualità e dunque su un tempo troppo veloce per consentire riflessioni, verifiche, analisi, confronti, maturazione, memoria — il presente come unica dimensione, come negli Stati Uniti. L’antiliberismo è invece desiderio, no, non di stasi (impossibile in natura e nella società) ma di gradualità, di rispetto per chi ci ha preceduti e per chi verrà dopo di noi; esso auspica, accanto alla capacità di innovare, quella di conservare, di mantenere, di migliorare, opponendosi a ogni obsolescenza programmata, alla cancellazione del passato, all’indifferenza per le conseguenze delle nostre azioni.
La Lega di Salvini (c’era una volta una Lega diversa, davvero nazionalista, ma è scomparsa) è l’espressione pura del partito del nuovo. Se vincerà, spalancherà le porte alle multinazionali della tecnologia fine a sé stessa, al 24/7 (negozi sempre aperti) e dunque alle grandi catene e ad Amazon, al cottimo alla Uber (eufemisticamente chiamato economia collaborativa), ai nuovi media del gossip e delle breaking news, a scapito della Storia e della cultura. Sempre con la scusa che si tratterebbe di un destino manifesto, di una necessità storica ed economica, di magnifiche sorti e progressive.
Rispetto ai leghisti persino i piddini sono un male minore; se non altro perché del loro proprio Matteo futurista, Renzi, alla fine sono riusciti a liberarsi; personaggio così simile a Salvini per arroganza, narcisismo e insofferenza per le tradizioni e le regole. Resta però un partito ambiguo, con importanti correnti interne che spingono all’americanizzazione della società italiana.
In misura minore, ce ne sono anche nel M5S. L’emarginazione di Di Maio è in questa prospettiva un pessimo indizio: perché priva il Movimento della guida di un grande politico ma anche e soprattutto perché rivela un’ansia di risultati immediati tipica appunto del liberismo. Serve tempo per sanare una società malata come la nostra, servono determinazione e perseveranza. Troppi pentastellati hanno dimostrato di non averne; come i tifosi che chiedono la testa dell’allenatore che non vinca subito, senza lasciargli il tempo di costruire una squadra che ottenga risultati di lungo termine. Purtroppo la fretta non è soltanto cattiva consigliera – almeno quanto l’ingenuità. È il segnale che una scelta di vita è già stata fatta.