Francesca Scoleri

Coronavirus: non c’è più tempo. Al deficit e all’economia ci pensiamo dopo

Il mio articolo su Il Format.info

Per capire la nostra capacità di gestire situazioni gravi ed emergenziali come quella in corso, dobbiamo tornare indietro di qualche anno: estate 2016, allerta terrorismo ai massimi livelli. Porti ed aeroporti presidiati dalle forze dell’ordine; i giornalisti de Il Fatto Quotidiano intervistano agenti nei porti di Savona, Genova, Olbia e Civitavecchia. Sentite un pò cosa emerge dalla tanto sbandierata allerta rossa:

“Noi facciamo il possibile, ma se ti metti a controllare migliaia di persone, bagagli e auto senza adeguamenti strutturali, non passa nessuno” . “Siamo pochi e bloccheremmo tutto. Non possiamo improvvisare”. “Se ci mettiamo a controllare tutte le vetture quando partono navi e traghetti?”.

Ora veniamo ai giorni nostri; dispiegamento di forze dell’ordine nelle stazioni, blocchi autostradali e controlli “rigidi”. Dicono. Poi arriva l’italiano medio con la sua bella autocertificazione – spero di vederne presto qualcuna per capire in che misura si stia perdendo la brocca – e i più passano. Di quale verifiche cianciano? Chi li fa e con che frequenza? Tutte?

Favole!

Addentriamoci anche nei provvedimenti varati due giorni fa a fronte di una situazione gravissima affidata alla gestione responsabile di noi tutti. Quindi fallimentare.

Bar e ristoranti aperti fino alle 18. Centri commerciali aperti solo dal lunedì al venerdì. Ognuno va a lavorare come sempre, mezzi pubblici che circolano più o meno regolarmente e uffici che restano aperti o decidono di chiudere in base all’umore di chi ne è responsabile.

Sarebbero queste le restrizioni che ci preserveranno da un ulteriore aumento di contagio? Dimenticavo il metro di distanza che tutti ormai ci ritroviamo inconsapevolmente a calcolare appena siam vicini a qualcuno.

Ecco, a proposito di questo fatidico metro che ci salverebbe dal contagio: “Il coronavirus può rimanere nell’aria per almeno trenta minuti e coprire una distanza di circa 4,5 metri, molto più delle distanze di sicurezza di uno o due metri raccomandate dalle autorità sanitarie in varie parti del mondo. Lo rivela uno studio di epidemiologi cinesi, citato dal South China Morning Post, secondo cui il coronavirus, come già emerso nelle scorse settimane da altri studi, può rimanere per giorni sulle superfici, aumentando il rischio di contrarlo per chi le tocca” .

Il che spiegherebbe anche l’aumento incontrollato dei contagi. Questa è sicurezza?

L’Italia è nelle medesime condizioni di rischio di due giorni fa. Facciamocene una ragione e perseguiamola soprattutto (la ragione). Tutto questo, oltre a rispondere ad una semi mancanza di logica (se siamo autorizzati ad uscire di casa solo per andare a lavoro chi entra nei bar e nei ristoranti fino alle 18?), risponde anche ad una totale mancanza di sicurezza.

Ancora autogestione immeritata e inopportuna. E dove porta tutto questo? Negli ospedali sui cui piazzali vediamo ambulanze parcheggiate con malati dentro che non possono essere portati all’interno delle strutture per mancanza di posti e rischio contagio.

Dentro le terapie intensive dove non sapremo mai fino in fondo cosa sta accadendo e che genere di disposizione stia prevalendo. Sappiamo solo che i morti aumentano tutti i giorni e che le famiglie non riescono nemmeno ad avere notizie in tempo reale della dipartita dei propri congiunti. Uno degli aspetti più tragici di questa guerra virale col nemico invisibile e per questo, terribilmente feroce nel colpirci.

Va compreso e non giudicato quanto decretato nei primi giorni dall’esplosione del coronavirus e non certo per assenza di notizie ed evidenze rispetto a quanto sarebbe accaduto nei giorni successivi, questo ci sembra francamente inammissibile per chi presiede il governo del Paese. Comprendiamo però che le molteplici voci su quanto si stesse facendo o non facendo, possa aver generato conseguenze destabilizzanti.

Ma questa deve essere l’alba di nuovi interventi che non possono tardare. Da una parte registriamo l’impegno dei medici che stanno provando a tracciare una linea terapeutica adeguata – confidiamo con successo – dall’altra, siamo impotenti difronte alle fatiche inumane cui sono sottoposti nel tentativo di guarire i malati.

Il minimo che si possa fare è tentare di alleggerire questa quotidianità fatta di bollettini dolorosi in cui contiamo morti e famiglie spezzate dal virus.

Presidente Conte, lei ha evocato “la nostra ora più buia” e le è toccato l’ingrato compito di guidarne la resistenza ma prenda atto – e con lei chi è deputato a farlo – che non c’è altro tempo da perdere.

Strade e quartieri vanno svuotati ed ogni attività va chiusa. Meglio piangere oggi per cambiamenti accettabili che domani per la decimazione del popolo. Al deficit e all’economia ci pensiamo dopo.

Presidente “Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili” ci ricorda Seneca.

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