Se qualcuno avesse fatto il suo dovere quest’articolo non sarebbe mai nato. Per cui oggi vi parlerò del “Piatto Sporco”.
Il piatto è quello d’argento di cui ha parlato il Generale dei Carabinieri Nicolò Gebbia nella sua lunga (e sconcertante) deposizione resa al Processo tenutosi a Roma lunedì 10 dicembre 2018 nel corso del quale son stati evocati persino i Servizi Segreti Russi, Putin (e gli Americani): “Nel 2002 ero a Sarajevo ed un’autorevole fonte confidenziale mi rivelò il luogo del possibile rifugio di Bernardo Provenzano. Sapevo dove avrei potuto trovare non solo Provenzano ma anche Matteo Messina Denaro. So dove sono, ve li servirò su un piatto d’argento… L’ho detto, raccontato, verbalizzato… ma nessuno m’ha dato ascolto”. Chi parla è un’Alto Ufficiale dei Carabinieri, un Generale un po’ atipico (come capirete) che si svela per come proprio non v’aspettereste.
Lui è un tipo determinato senza tanti ‘peli sulla lingua’ che non le manda a dire. Amabilmente definito ‘Cavallo Pazzo‘ da alcuni suoi colleghi perché è uno schiacciasassi che va dritto per la sua strada come un Caterpillar senza guardare in faccia a nessuno, né a destra né a sinistra.
Dice sempre quello che pensa e soprattutto, pensa sempre quello che dice.
Infatti nel corso di questo procedimento, con la determinazione d’un Samurai, è andato avanti per 3 ore di fila snocciolando, fatti, nomi e date. Ma è un’Ufficiale dell’Arma capace anche di grandi sensibilità, come quel giorno che si trovò a tu per tu, a faccia a faccia con i due figli di Bernardo Provenzano… (non vi voglio togliere la sorpresa di scoprire da soli cosa si son detti).
Leggerete delle autentiche rivelazioni, ma non sconcertanti. Almeno, non più di tanto. Se avete seguito l’intervento di Marco Travaglio de Il Fatto Quotidiano al convegno organizzato dall’Associazione Themis & Metis: “Giornalismo d’inchiesta pilastro di democrazia” (tenutosi alla Sala Aldo Moro della Camera dei Deputati di Roma il 4 ottobre 2018), sapete forse di cosa sto parlando. Del “Patto Sporco”. La Trattativa Stato-Mafia di cui Travaglio, con amarezza, ha raccontato: «… Io sulla trattativa Stato-Mafia mi son sempre domandato perché ci fosse sempre tanta reticenza nel parlarne. E non solo da parte dell’informazione… che la politica trasversalmente non volesse sentir parlare di “trattativa”, diciamo, era abbastanza comprensibile, nel senso che “parlare di corda in casa dell’impiccato” è sempre spiacevole per l’impiccato… E’ evidente che il più pulito aveva la rogna, e quindi è evidente che nessuno volesse che s’andasse a scandagliare quel terreno… Quì stiam parlando di Presidenti del Consiglio, Ministri dell’Interno, Ministri della Giustizia, altissimi Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, i massimi vertici di Cosa Nostra, non Pietro Savastano. Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, quelli che hanno fatto saltare in aria l’autostrada di Capaci, e poi la piazza antistante l’abitazione della madre di Paolo Borsellino. Stiamo parlando dei massimi livelli dello Stato e della Mafia, processati, coinvolti ed alla fine raggiunti da una sentenza che fa accapponare la pelle, per chi l’ha voluta leggere. … hai il rappresentante della Mafia che dice che Riina gli raccontò della ‘trattativa’, hai i rappresentanti dello Stato che hanno condotto quella ‘trattativa’, che la chiamano entrambi ‘trattativa’, ma di quale prova abbiamo ancora bisogno… Anche quelli che non amano sentirsi dire che lo Stato ha sempre fatto il “doppio gioco” e nel 1992 con il “doppio gioco” pubblicamente annunciando guerra dura alla Mafia e sottobanco trattando con la Mafia, non ha fatto altro che rafforzare la Mafia e prolungare una stagione di stragi, che se non si fosse fatta la ‘trattativa’ sarebbero probabilmente finite prima. Lo sappiamo benissimo… quel clima generale di omertà che tiene insieme Destra e Sinistra e che in questi anni ha garantito a un personaggio, ad esempio, come il Generale Mori, di fare una carriera meravigliosa, prima di andare in pensione ed anche dopo. Ci sono persone in Italia che fanno carriera anche dopo la pensione. Uno dice: finalmente è andato in pensione. NO, continuano a progredire pure dopo! Anche su questo bisognerebbe domandarselo, ci sono persone che anche quando vanno in pensione non possono essere lasciate sole. Devono essere continuamente sostenute. Perchè? Perchè devono continuare a ricevere incarichi sempre più prestigiosi? In fondo, sapete, io non penso che il Generale Mori alla sua età debba finire in galera, spero che non ci finisca. E’ un anziano signore. Ma la domanda è: nel 1992 arresti Riina e non perquisisci il covo. In un Paese serio ti mandano addirittura a dirigere il traffico. Perchè evidentemente sei un incapace. Se ti dimentichi di perquisire il covo del più importante e pericolo latitante del mondo (forse). Non perquisisce il covo. Questo nel 1993. Pochi mesi dopo un suo collaboratore gli porta su un piatto d’argento Nitto Santapaola. Gli dice anche dov’è nascosto: in un villino. Il ROS organizza un’operazione talmente maldestra che riesce a perquisire il villino accanto, facendo un casino tale per cui Santapaola vedendo tutti i Carabinieri che arrivano e perquisiscono il villino sbagliato, capisce l’antifona e s’allontana. Che cosa gli fanno a questi, che come minimo sono dei cialtroni? Li mandano a dirigere il traffico? NO, li promuovono tutti quanti. Nel 1996 un’altro collaboratore di Mori gli porta su un piatto d’argento Bernardo Provenzano. Gli dice: “guarda che c’incontriamo in quel casolare di Mezzojuso… fatevi trovare … l’ora è questa… non potete sbagliare stavolta”. Stavolta non essendoci altri casolari alternativi da perquisire a posto di quello giusto si limitano a non fare nulla. Fanno un servizio di osservazione a distanza, così vedono Provenzano che entra, fa la riunione ed esce. E non lo prendono. Che gli fai a uno così? Magari è soltanto un incapace recidivo. E’ uno che non è portato per quel mestiere lì. Lo promuovono Comandante e Direttore del SISDE (Servizio Segreto Civile) dopo averlo promosso comandante del ROS, perché prima era solo Vice e quindi il talento và premiato. Allora, queste carriere è evidente, che funzionano all’incontrario, cioè più sbagli, più agevoli la Mafia e più vieni favorito nella tua carriera. Ma domandiamoci il perché! Perchè quelle carriere mica le decide il Generale Mori per sé stesso. Le decidono i Ministri, le decidono i Governi».
Travaglio e Gebbia, un giornalista ed un Generale dei Carabinieri, che sostanzialmente raccontano una storia per molti versi coincidente. Il primo partendo da una meticolosa analisi di fatti, carte, sentenze, incrocio di dati, il secondo venendo invece da un’esperienza professionale sul campo, ‘on the road‘ (come direbbe Jack Kerouak), rischiando anche fisicamente, giorno dopo giorno per il solo fatto d’esser stato depositario di simili notizie esplosive. Ma torniamo a bomba. Com’è possibile che un Generale dei Carabinieri, in allora Comandante di uno dei contesti operativi più caldi del Paese (come il Reparto Operativo di Palermo) con oltre 40 anni di onorata carriera militare, con più di 500 uomini alle sue dirette dipendenze, abbia saputo dov’era possibile rintracciare 2 dei più pericolosi latitanti di Mafia e dopo i suoi rapporti di servizio, le informative scritte, nessuno ha mosso un dito? (mi correggo … qualcuno per la verità s’ è mosso… per frapporre ostacoli e intralci).
Lo so, tutto questo ha dell’incredibile, ma per farci un’idea senza pregiudizi dobbiamo necessariamente ascoltare cosa racconta il diretto interessato. Avendo la necessità di dovermi “attenere ad un linguaggio obiettivo e disincantato” (come raccomandano – giustamente – dal Giudice che ha istruito questo processo) cedo subito la parola al protagonista di questa storia. Non prima di avervi preavvertito che si tratta d’una deposizione “fiume” di oltre 3 ore. Ritrascrivo quindi pari-pari dalla sua deposizione in Aula sintetizzando per quanto più possibile. La trascrizione completa comunque potete leggerla nel documento pdf che trovare (e potete uploadare) → QUI’ ← oppure che potete sentire integralmente (incluse domande/risposte) ascoltando il file mp3 archiviato → QUI’ ←.
Domanda: «Generale lei come arrivò a Palermo?».
Risposta: «A Palermo io arrivai per una singolare circostanza. Nel senso che mi trovavo a Sarajevo nell’agosto del 2002 e andai a far visita al Metropolita Ortodosso (che mi ringraziò perché avevo fatto costruire un piccolo acquedotto che portava acqua ai frati del Monastero dove lui era cresciuto), e il Metropolita Ortodosso mi disse: “Colonnello, lo so che lei è qui perché pensa che io le farò catturare Karadzich ma la devo deludere, però come premio di consolazione le posso dire dove sta nascosto Bernardo Provenzano”.
Foto di copertina: Sarajevo – Da sinistra a destra il Generale John B. Sylvester (tre stelle), comandante di SFOR nel 2002, Laura Carboncini, crocerossina italiana (moglie del Gen.le Gebbia), Gen.le dei Carabinieri Nicolò Gebbia, comandante battaglione MSU di Sarajevo 2002. Foto scattata dal Brigadiere Generale David Petraeus, allora Capo di SM di SFOR (poi direttore della CIA).
E me lo disse. Mi disse che Bernardo Provenzano era nascosto nel Monastero dei Monaci Basiliani di Mezzojuso. Essendo io originario di Mezzojuso come Masi, e conoscendo la trista fama di quel monastero che risale addirittura alla Prima Guerra Mondiale per cose strane che vi sono accadute, siccome sapevo anche che l’ultimo avvistamento di Provenzano era accaduto nel 1995 alla periferia di Mezzojuso, ritenni quella notizia particolarmente accreditata. Gli chiesi anche come mai lui lo sapesse. E lui mi spiegò che malgrado i Monaci Basiliani di Mezzojuso sono di rito ortodosso ma in realtà inglobati nella Chiesa Cattolica, anzi proprio per questo motivo, diversamente da lui e gli ortodossi veri (che non si farebbero mai comprare) questi signori, a pagamento, offrono ospitalità ai latitanti… Fin dalla Prima Guerra Mondiale nascondevano renitenti di leva, gente che non aveva voluto andare al fronte, tant’è che il Ministero della Guerra, per tagliare la testa al toro, li trasformò in un ricovero per civili dell’impero Astro-Ungarico, che si fossero trovati all’interno del Regno d’Italia al momento della nostra dichiarazione di guerra… Io non avevo nessun interesse particolare a Palermo. Telefonai al comandante del Reparto Operativo, mio intimo e caro amico, Davide Bossone, e gli dissi: “Davide ho una notizia che ti consentità di catturare Provenzano”. E lui mi stoppò subito e mi disse: “Nicolò, la dirai al mio successore perché io ho avuto il trasferimento per il SISMI. Per cui per cortesia, non mi angosciare”. Prima scrissi un biglietto, poi telefonai al Generale Gualdi, Comandante dei Carabinieri di tutta la Sicilia, offrendomi in prima persona, gli aggiunsi anche che il Metropolita, Nicolai Mrdjc si chiama, mi aveva spiegato che il capomafia di Mezzojuso dell’epoca, tal Napoli, non mi ricordo ora il nome di battesimo, siccome aveva solo tre figlie femmine, e temeva … ed era anziano, faceva in modo che Provenzano fosse ospitato nel territorio di sua competenza, perché si appoggiava all’autorità di Provenzano visto che la sua veniva erosa alla base dalla sua età anagrafica e dal fatto di non aver eredi maschi. Mi misi in contatto col Generale Gualdi, che mi conosceva e sapeva esser io un investigatore di discreto spessore, e Gualdi nell’arco di pochi giorni mi fece trasferire al posto di Bossone… Non si aspettavano che arrivassi così in fretta perché il primo settembre ero a Sarajevo e il 15 settembre ero già comandante del Reparto Operativo a Palermo. Normalmente in queste circostanze uno si fa prima tutta la licenza che ha maturato, poi addirittura deve passare un esame all’ospedale Militare per riacquistare l’idoneità fisica, ed io mandai una diffida all’Ospedale Militare di Padova dicendo che non avevo mai perso la mia idoneità fisica, quindi non si permettessero di farmi transitare dall’ospedale militare. Insomma io arrivai in tempi assolutamente enaspettati per l’establishment palermitano… Gualdi mi convocò e mi disse che in questo “lago putrescente” mi considerava un pietrone che avrebbe potuto smuovere le acque visto che nessuno faceva niente… infatti la prima cosa che feci, andai nell’ufficio di Sottili… dissi loro che ero venuto con quel preciso intento di catturare Provenzano e che ogni mattina intendevo riceverli e sorseggiando un caffè avremmo fatto una full-immersion nelle notizie che ogni Comandante di Sezione poteva portare sul tavolo del Comandante del Reparto Operativo… Sottili era Maggiore, io Tenente Colonnello… Io stavo proponendo una cosa che ritenevo commendevole, la cattura del più grosso latitante che ci fosse in Italia e allora me ne andai dal Comandante Provinciale, Riccardo Amato, attuale Vice Comandante Generale dell’Arma, eravamo stati molto intimi quando lui comandava la Compagnia di Monreale ed io quella di Marsala… gli dissi: “Riccardo, Sottili mi dice queste cose, ma cos’ha quest’uomo..” e lui mi spiegò …”tu devi sapere che fu mandato a comandare il Nucleo Operativo di Catania e avviò d’iniziativa, senza informare nessun Magistrato, un’indagine su un Sostituto Procuratore di Catania, che a suo modo di vedere colludeva con suo sognato per degli affari illeciti”. Quando i Magistrati di Catania se ne sono accorti il Procuratore della Repubblica gli ha revocato la fiducia (il Comandante del Nucleo Operativo e l’unico che costantemente deve poter godere della fiducia del Procuratore della Repubblica del luogo)… e io dico, gliela revocata, e da Catania lo hanno mandato a comandare il Nucleo Operativo di Palermo che è ancora più importante? E lui mi rispose: “Questo lo devi chiedere al tuo amico Gualdi perché ne è il responsabile”. Io allora me ne andai da Gualdi, e gli chiesi: “com’è sta storia?”. “Si ho commesso uno dei più grossi errori della mia carriera perché io credevo molto in Sottili ed invece son rimasto deluso, se non tu non saresti quà”. “Ma mi vuoi dire esattamente questa indagine?”. E lui mi fece il nome del Magistrato sul quale investigava Sottili senza aver informato nessuno. Carlo Caponcello. Attuale Avvocato Generale dello Stato di Catania… Telefonai a Caponcello e gli chiesi: “Carlo mi spieghi un poco questa situazione?”. E lui mi disse: “Non posso entrare nel merito perché l’indagine è ancora in corso e non sarebbe deontologicamente opportuno da parte mia entrare nel merito. Tuttavia ti dico una cosa sola, GREMBIULINI, GREMBIULINI, GREMBIULINI, cattiveria gratuita, ottusità”. Io arrivato a questo punto mi dovetti fare una full-immersion nei precedenti di Sottili… esiste un’organizzazione molto commendevole alla quale dobbiamo tutto il nostro Risorgimento e tante benemerenze patrie che si chiama Massoneria. Nella Massoneria quando ci si riunisce i frà Massoni indossano un grembiule… Io personalmente ho sempre avuto una personale e assolutamente non giustificata idiosincrasia per la Massoneria e i Massoni e tutte le volte che mi ci son imbattuto ho cercato di evitarli perché sono estremamente pericolosi. Dentro l’Arma, purtroppo… sono moltissimi.
Io mi andai a guardare nei vecchi annuari dove aveva incominciato la sua carriera Sottili. Aveva incominiciato come Comandante nella Tenenza di Aurisina, a fianco a Trieste. L’Arcivescovo di Trieste, Ravignani (è il sacerdote che mi ha sposato) gli ho telefonato e gli ho chiesto: “Eccellenza, mi vuole per cortesia fare una ricerca su quest’uomo con i potenti mezzi della Chiesa?” Dopo qualche giorno mi rispose: “Guarda, con la Massoneria locale non ha più niente a che vedere, aderisce ad una Loggia cagliaritana, perché lui malgrado non sia nato a Cagliari né cresciuto a Cagliari però considera Cagliari il suo topos”… Me ne andai dal Magistrato che coordinava le indagini sulla cattura di Provenzano. Il Dott. Prestipino. E gli dissi: “Dott. Prestipino son venuto qui con l’intendimento di catturare Provenzano, e ho il convincimento che latiti intorno a Mezzojuso. Mi è stato detto che non lo posso neanche cercare perché mi ha detto il Comandante Provinciale che gli unici Reparti che il Procuratore Grasso ha delegato per questa ricerca sono una particolare Squadra della Squadra Mobile e per i Carabinieri il ROS. Io però, libero dal servizio, con il fatto che malgrado originario di Mezzojuso, non ho mai frequentato, ho tanti cugini, tanti legami familiari che posso millantare di volere riallacciare, intendo cercarmelo per gli affari miei.
E questo nessuno me lo può impedire. Siccome verosimilmente sarò ripreso da qualche microtelecamera della Squadra Mobile o del ROS son venuto a dirglielo in modo che Lei non pensi che io sia un fiancheggiatore di Provenzano”. Prestipino mi guardò così e mi disse: “Colonnello, non glielo posso impedire, però qualsiasi cosa emergesse … A ME’!!”. E io dissi: “Senz’altro!!”. Dopodichè, comunque, convinto che fosse opportuno che queste ricerche fossero fatte proprio da quei Reparti che il Procuratore Grasso aveva stabilito fossero devoluti alla ricerca di Provenzano, chiamai il Maggiore che comandava il ROS a Palermo il quale venne da me vestito come un “barbone”, mi ricordo che non riuscii a capire questo … io ero un anzianissimo Tenente Colonnello e lui un giovane Maggiore. Esser vestito in questa maniera veramente oscena mi parve uno schiaffo che mi voleva dare, come per dirmi: “Tu non conti niente”. In ogni caso gli misi in mano l’appunto in qui c’era questa notizia, e la notizia che avevo avuto tempo prima: che probabilmente Provenzano aveva una protesi dell’anca in titanio applicatagli all’Ospedale Ortopedico Codivilla di Cortina dall’ortopedico Tripo (ortopedico originario di Villafrati a fianco di Mezzojuso). Notizia che non mi son mai potuto togliere il piacere di sapere, neanche quando è morto Provenzano, se fosse vera o meno, perché nessuno gli ha fatto un’esame ed è stato cremato. Gli dissi anche che avevo una terza chance, nel senso che, l’allora Capitano Canale, tre anni prima mi aveva fatto avere questa notizia: “Si faccia trasferire a Palermo che le faccio catturare Provenzano”. Però Canale quando io arrivai a Palermo e gli contestai questa cosa mi disse: “Lei è arrivato troppo tardi”. In ogni caso io questa notizia (appena Canale me l’aveva fatta avere) la detti in prima persona a Mori e a De Caprio. Per cui non me l’ero tenuta per me. Quando questo Maggiore tornò in ufficio, prese il mio appunto, lo appallottolò e lo buttò nel cestino della spazzatura (e da un Maresciallo alle sue dipendenze questo mi fu riferito), me ne andai dal Capo della Squadra Mobile e detti anche al Capo della Squadra Mobile questa notizia.
Lui fu molto più gentile del mio collega e non ho idea di cosa abbia fatto con questa notizia. Comunque devo dire che ormai ero, come dire, molto scoraggiato (sulla cattura di Provenzano). Ma ebbi il destro che il mio migliore informatore di quando, tanti anni prima, avevo comandato per 6 anni la Compagnia di Marsala, col quale m’incontravo a Palermo ogni domenica in Via Ruggero VII. Gli dicevo di passeggiare fra le 12 e l’1 (se aveva notizie), e io l’avrei fermato. Non sapeva che i miei genitori abitavano lì. Io ero solo affacciato alla finestra e vedevo se passava. Lo rincontrai in Via Ruggero VII e lo incaricai di portarmi qualche notizia che afferisse comunque alla cattura di latitanti. Poco tempo dopo questo informatore mi disse che Matteo Messina Denaro, dopo la cattura di due suoi favoreggiatori alla periferia di Marsala (e lui era nascosto lì) era stato caricato su un fuoristrada Rover di proprietà di un certo Biagio Dugo di Altavilla. Altavilla è un paese dei sobborghi di Palermo molto vicino a Bagheria. Bagheria diventa fondamentale in quello che vorrei dire… Lui Dugo Biagio, figlio del vecchio Capomafia ma mai coinvolto da padre in nessun… praticamente incensurato. Con il figlio che era un poco stupido, avevano preso Matteo Messina Denaro e lo avevano portato a nascondersi in un rifugio che era stato trovato personalmente dal Dugo Biagio, che di professione faceva l’immobiliarista. Subito feci un’informativa al Dott. Massimo Russo. A mia firma perché, sia ben chiaro, io ero un ufficiale di Polizia Giudiziaria, che poteva tranquillamente effettuare indagini in prima persona. Visto che Sottili non mi avrebbe coadiuvato feci un’informativa a mia firma, al Dott. Massimo Russo che era il titolare delle indagini per la cattura di Matteo Messina Denaro, chiedendogli di poter mettere una telecamerina e un microfono nell’ufficio immobiliarista di quest’uomo, un microfono nella sua Rover, quella con la quale sarebbe stato spostato Matteo Messina Denaro, e mettere sotto controllo sia il telefono del suo ufficio sia il suo telefono di casa. Il Dott. Russo mi disse che ci voleva ‘qualcosina di più‘ perché lui potesse darmi provvedimenti. Il ‘qualcosina di più‘ lo trovai, perché trovai un anziano di Altavilla, che spiegò e ci mise a verbale. Era un anziano illividito nei confronti della Mafia perché suo figlio era morto di “Lupara Bianca”. Per cui riteneva di non aver niente da perdere. Se no non avrebbe mai messo a verbale quello che sto dicendo. Cioè ci mise a verbale che il Dugo Biagio che io avevo attenzionato, cugino, e solo cugino di un omonimo Dugo Biagio, macellaio, che invece era il vero capo della famiglia di Altavilla in quel momento, era coetaneo di Provenzano. E Provenzano aveva cominciato da giovane a delinquere proprio alle dipendenze del padre di questo Dugo Biagio. Per cui i due ragazzi erano cresciuti insieme ed erano molto amici. Ragione per cui, da sempre, era uno dei canali con cui lui, Provenzano, trovava rifugi nei quali nascondersi. Per esempio, le abitazioni, le villette disabitate di cui Dugo Biagio aveva le chiavi e la disponibilità perché i proprietari gliele avevano date per affittarle. Tutto questo, messo a verbale, senza ‘fonte confidenziale‘, con nome e cognome di quello che ha dichiarato, fu utile al Dott. Massimo Russo per darmi quei provvedimenti. Tornato in caserma con questi provvedimenti li misi in mano al Tenente di cui ora non ricordo il nome, era un tenente relativamente anziano che proveniva dai marescialli, che era alla Sezione Catturandi. Sottili non c’era in caserma. Devo dire che non è che ho scavalcato Sottili… Tenente Geraci. Sottili non c’era, ma appena tornò, Geraci gli riferì e Sottili gli tolse questi provvedimenti e li dette a quell’altro ufficiale di cui scordavo il nome, Nicoletti. Che non era però il titolare della ‘Catturandi’. Io vorrei che fosse chiaro, per intelligenza comune di tutti, che la suddivisione in Sezioni, dei quattro principali Nuclei Operativi d’Italia, che sono: Roma, Milano, Palermo e Napoli, è una suddivisione solo virtuale. Nel senso che per antica tradizione ognuno fa le indagini che il destro gli consente di ritenere che possa portare al successo. Io che per anni ho fatto servizio al Nucleo Operativo di Milano e poi l’ho comandato, ho catturato il più grosso latitante che c’era all’epoca, il Marietto D’Argento, che era il Killer della Famiglia Fidanzati, con tre ergastoli sulle spalle, ed era sfuggito da un’aula del Palazzo di Giustizia di Milano a noi Carabinieri due anni prima. Ma non ero io il titolare di quella sezione catturandi, era il Capitano Ultimo il titolare della sezione catturandi, il quale mi disse: “Bravo sono contento”. Nel senso che, ripeto, questa suddivisione in Sezioni è molto virtuale.
Però quando Sottili dette a Nicoletti quei provvedimenti, io capii che era una forma di boicottaggio, perché lui mi aveva detto che Nicoletti era un pessimo ufficiale, che aveva il malvezzo che, finito l’orario d’ufficio, se ne andava a casa dalla moglie. Nicoletti era l’unico che teneva testa a Sottili, nel senso che non subiva questa forma di dittatura che Sottili imponeva ai suoi ufficiali, agitando loro lo spauracchio delle espressioni di lode nelle note caratteristiche… Nicoletti malgrado la disistima di Sottili, portò a compimento alla perfezione l’onere di mettere quelle microspie, ma dettero – fino ad un certo punto – scarso esito, fino a quando il Dugo Biagio si ferma con la sua macchina, noi non avevamo telecamere, avevamo solo l’audio, gli si avvicina qualcuno che evidentemente era per strada fuori della macchina, gli si avvicina e gli dice: “Iddu ti manna a saluta”. E il Dugo Biagio risponde: “Iddu cu?”. E il personaggio che ha detto “Iddu ti manna a saluta” gli dice: “Binnu”. Binnu sta per “Bernardo”. Era, per conoscenza comune a tutti, il nome con cui veniva chiamato Bernardo Provenzano. Tuttavia, quando questa registrazione viene ascoltata da Sottili ed Ottaviani – faccio un piccolo inciso – i due erano inseparabili e graziosamente i loro militari li avevano definiti “Yoghi & Bubu”.
Glielo dissi pure una volta in faccia a tutte e due: “Ah voi siete Yoghi & Bubu”. Quando ascoltarono questa registrazione dissero che non era vero che si sentiva così bene che diceva “Binnu” e mandarono questa registrazione al RIS a Roma che rispose facendo perdere 3 o 4 mesi che effettivamente “Binnu” diceva quello che si era avvicinato alla macchina di Dugo Biagio. Ma arrivo ad un punto ulteriore dell’indagine. Ad un certo punto al telefono di Biagio arriva una telefonata in cui il Dugo Biagio viene invitato a fare da paciere e risolvere una diatriba fra un grosso mafioso palermitano, un Lo Piccolo se non ricordo male, e la Cosca di Altavilla, di cui ripeto Dugo Biagio non faceva parte ma era un alto rappresentante onorario, e gli veniva chiesto di far da paciere, di risolvere questa vicenda. E il Dugo Biagio diceva: “io non sono tanto importante chiedetelo a mio genero Lipari”.
Questo Lipari era un infermiere dell’Ospedale di Bagheria che nel corso di successive indagini è emerso essere l’infermiere di Provenzano, quello che una volta la settimana, gli andava a fare le iniziezioni di cui Provenzano necessitava. In gioventù addirittura negli stessi luoghi – fra Bagheria ed Altavilla – aveva fatto la stessa cosa per il padre di Matteo Messina Denaro quando latitava da quelle parti. Questo infermiere da quel momento fu attenzionato, ma con i pochi mezzi di cui io disponevo, perché Sottili e gli altri chiamavano questa mia indagine ‘l’hobby di Gebbia‘, e a quest’hobby supplivo con il mio autista, un Carabiniere, un Appuntato che avevo fatto trasferire apposta che si chiama Prestigiacomo (che è in gambissima). Avevo fatto anche trasferire il Maresciallo Alongi apposta, ma Sottili non volle applicarlo a quell’indagine. Faccio un inciso, il Maresciallo Alongi è l’unico sottufficiale che quando l’attuale Procuratore di Roma lo incontra, lo bacia, lo abbraccia, tanto è stimato universalmente come investigatore. Non aveva voluto farmelo applicare a queste indagini ed io le conducevo in maniera residuale. Ad un certo punto però, capito che difficilmente avrei ottenuto quello per cui mi ero sacrificato nel venire a Palermo e poiché si era liberato l’incarico dove io intendevo … … (Sottili) che lo aveva delegato (l’Alongi) ad un’altra indagine, ma appena andai via io ce lo misi a questa indagine. Io lo scrissi anche a Sottili e al Comandante Provinciale dell’epoca, se volete vi leggo … lo scrissi dopo esser andato via… Mi erano venuti a cercare a Venezia perché mancava una placca di quelle che i Carabinieri in ‘abito simulato‘ nell’Arma utilizzano nel momento in cui devono qualificarsi e siccome queste placche stavano in un armadio che stava nell’ufficio che occupavo io ma che non era il mio e di cui non avevo mai avuto le chiavi, io risposi per le rime dicendogli: “ma perché cercate da me questa placca” e risposi al Maggiore Gosciu … Ad un certo punto questo Lipari và a Corleone, gli si avvicinano dei favoreggiatori, gente che dopo la cattura di Provenzano è emerso fossero suoi fiancheggiatori, gli si avvicinano dei fiancheggiatori di Provenzano, spaventatissimi, e gli dicono (sempre ascoltato dalla miscrospia che aveva dentro la macchina): “ma sei assolutamente sicuro che non ti ha seguito nessuno?
Erano veramente preoccupati perché Lipari si era spostato a Corleone così vicino a Montagna Cavalli dove poi fu catturato Provenzano. Quando il Maresciallo Alongi tutto questo mette per iscritto, Sottili lo prende, se ne va in Procura e torna dicendo: “Siamo stati spogliati dell’indagine che sarà proseguita dal ROS”. Al Maresciallo Alongi è stato poi chiesto in vari processi perché questo (l’affidamento al ROS) e non ha saputo spiegarselo. Dopo la cattura di Provenzano, quando furono trovati i 90 o i 100 ora non ricordo, fiancheggiatori con il loro numero, il Lipari era il numero 60, la Polizia non aveva nemmeno idea di chi fosse. Se non ci fossero state le nostre indagini non avrebbe avuto i 12 anni di carcere a cui fu condannato. Quando il Dott. Di Matteo, Pubblico Ministero in quel processo, quello in cui il Lipari fu condannato, gli chiese al Maresciallo Alongi se lui aveva idea del perché il ROS, appena avuta questa indagine, l’avesse archiviata, gli potè rispondere: “non ne ho la minima idea”.
Io posso dire che Alongi, mentre io ero ormai alla sezione di Polizia Giudiziaria di Venezia, mi teneva informato su questa indagine perché ci teneva moltissimo anche lui. Nel frattempo Gualdi era stato trasferito ed era arrivato il Generale Gennaro Niglio. Mi feci invitare dal Capitano Nicoletti ad una festicciola che teneva in casa sua perché sapevo che c’era il Generale Niglio e volevo far in modo che quello che avevo intenzione di fare non fosse fatto dentro una caserma dell’Arma. Al Generale Niglio che un uomo in assoluta buona fede e che quando gli chiesi a quale Loggia appartenesse, mi rispose piccato che assolutamente lui non era Massone (cosa che mi rincuorò); al Generale Niglio consegnai un appunto (che ho qui), formulato su due punti. Uno era questa indagine che avrebbe potuto portare alla cattura di Provenzano e l’altro erano alcune notizie che avevo avuto dalla zona di Castel Vetrano, circa possibili favoreggiatori di Matteo Messina Denaro.
Tempo dopo lo richiamai per chiedergli se avesse fatto qualcosa e lui mi rispose: “Guarda, sono andato al Comando Provinciale, mi sono materializzato alle 10 di sera nel cortile, e gli ho stretto le palle…”. … Io lamentavo il fatto che li avevo messi nelle condizioni di avere almeno due indagini che potevano portare alla cattura di Provenzano e Matteo Messina Denaro e che non ne vedevo risultati… Io il fascicolo che ci stava al Nucleo Operativo di Bernardo Provenzano, che constava… era alto 40 centimetri, quando arrivai me lo presi, come sono solito fare quando voglio studiare qualche cosa, lo rivoltai e cominciai a leggerlo una pagina dietro l’altra. E a un certo punto ci trovai un’appunto che riguardava quello che era accaduto con il collaboratore Ilardo nel 1995, cosa di cui io nulla sapevo, e le indagini successive che non furono fatte solo dal ROS ma anche dall’Arma Territoriale. C’era citato un mafioso di Mezzojuso, che guadacaso era cugino di quel Napoli, capomafia di cui mi aveva parlato il Metropolita… Lipari era un infermiere dell’Ospedale Civile di Bagheria, lui e la moglie. Entrambi infermieri dell’Ospedale Civile di Bagheria…
Il Colonnello Sottili detestava il Capitano Nicoletti per un motivo banale. Che però mi costringe a dare una leggera spiegazione, Presidente. Da epoca immemorabile l’Arma fa l’orario continuato di servizio. E’ però costume dei ROS o dei Reparti Operativi , dei luoghi dove ci sono, tra virgolette, ‘pierini’, che come è costume della Questura, dove i funzionari di Polizia se ne vanno a mangiare a mezzogiorno e mezza, poi tornano fra le 5 e le 6 del pomeriggio, e restano fino alle 8 di sera. Questo genere di cose, cioè di restare fino alle 8 di sera, era il modo con cui i vari Sancricca, Ottaviani etc etc mostravano a Sottili la loro ‘laboriosità’. Nicoletti non stava a questo gioco e finito l’orario d’ufficio diceva a Sottili: “io me ne vado da mia moglie”, moglie che tra l’altro Sottili ha trasformato in una collusa, semplicemente perché era un’architetto ed era uno dei 200 consiglieri scientifici del Presidente della Regione Sicilia dell’epoca Cuffaro, ed in funzione di questo fatto, ne ottenne il trasferimento al Battaglione Mobile di Palermo, ragione per cui io so bene come Sottili lo giudicava perché gli fece le ‘note caratteristiche’ ed io ero il primo revisore delle sue ‘note caratteristiche’. Sotto 20 voci delle 24 che ci sono io, ci scrissi: “Non concordo e così modifico”. In senso migliorativo naturalmente. L’ultimo revisore era il Colonnello Amato, il quale concordò con le mie modifiche punto per punto. A riprova che lo stesso Amato riteneva che Nicoletti non fosse quel personaggio descritto da Sottili…
La confidenza che mi fece più ridere la ebbi poco dopo che ero arrivato e capii che Sottili, come dire, assomigliava a quella descrizione che aveva fatto il Giudice Carlo Caponcello. E cioè che aveva chiesto che ogni Ufficiale di Polizia Giudiziaria del Nucleo Operativo, trascrivesse in un foglio le generalità dei suoi confidenti, le mettesse in una busta chiusa e queste buste chiuse dovevano confluire tutte nell’armadio dell’ufficio di Sottili a sua disposizione per, virgolette – scusatemi la volgarità – “per pararvi il culo in caso di ...”. Ma era una bestialità. E spero che non mi costringerete a spiegarlo… Per antica tradizione, perché così il codice prevede, l’ufficiale di Polizia Giudiziaria è gelosissimo dei suoi confidenti e non li rivela neanche al Padre Eterno. Sono personali. Tant’è che la Legge glielo consente… Certo ognuno di questi Ufficiali di Polizia Giudiziaria capiva che le sue iniziative sarebbero state vagliate in maniera ottusa. Per cui si ritirava nel suo guscio e ‘faceva quanto gli veniva ordinato’… il 26 giugno 2015 l’avvocato Giuseppe Piscitelli mi venne a trovare a casa mia e mi chiese se volevo rendere dichiarazioni utili alla difesa di questi signori (i Marescialli Masi e Fiducia che avevano formalizzato davanti alla Procura della Repubblica una denuncia nei confronti di superiori asserendo d’essere stati ostacolati nelle indagini – ndr). Prima di quel momento nulla avevo saputo, non avevo mai sentito Radio Radicale, godevo della mia pensione tranquillamente avulso da qualsiasi … avevo la serena coscienza che in tutta l’Arma, ripeto in tutta l’Arma non c’è né un Ufficiale, nè un sott’ufficiale, né un Carabiniere che può dire di me che quando è stato alle mie dipendenze io non ho fatto di tutto per proteggerlo sotto la mia responsabilità dalle fesserie eventualmente fatte in buona fede… Dico di più: credo che qualcuno fosse anche – di questi Ufficiali alle dipendenze di Sottili – fosse anche in buona fede. Perchè il Maresciallo Alongi quando è stato sentito in relazione al Lipari, mi ha raccontato che è stato sentito lo stesso giorno in cui è stato sentito Ottaviani, e uscendo tutt’e due dall’aula, Ottaviani gli disse: “Ma allora Gebbia aveva ragione”. Come per dire: “possibile che quel cretino aveva ragione?”…
Ragione sul fatto che avevo trovato una pista giusta per arrivare a Provenzano… Assolutamente sì, le Forze c’erano, semplicemente che non mi veniva consentito di utilizzarle. Avrei dovuto fare un braccio di ferro con ..avevo il Comandante Carabinieri della Sicilia Gualdi, che stava dalla mia parte ma che non si voleva esporre perché mi disse: “Guarda che Amato è pericoloso. Per cui io non mi posso permettere di litigare con lui”. Testuale… Sottili pensava che non ne sapessi nulla (delle talpe in Procura ndr), era un’indagine delegata dalla Magistratura peraltro, non fatta d’iniziativa, alla fine della quale è emerso che un sott’Ufficiale del ROS, in soldoni, ed un sott’Ufficiale della Guardia di Finanza, erano delle ‘talpe’ della Mafia… i nomi non me li ricordo… tuttavia vorrei precisare che ho sentito più volte Sottili dire che lui era costretto a questo clima da ‘inquisizione spagnola’ perché il Nucleo Operativo di Palermo era un colabrodo e noi siciliani tutti mezzi mafiosi.
E io sono qui anche per difendere l’onorabilità di questi Sottufficiali, Appuntati e Carabinieri fra i migliori investigatori d’Italia, mai colpiti da nessun sospetto… Borzacchelli era un ex sottufficale del Nucleo Operativo che si era dato alla politica ed era parlamentare regionale. Perchè dovete qualificarlo con quello che era stato prima che si desse alla politica? … Il nostro regolamento generale dice che “il Carabiniere cerca sempre e comunque i latitanti” possibilmente sfruttando le occasioni liete e funeste della sua famiglia. Sempre e comunque. Non dice ‘il Carabiniere di un certo Reparto’. Di fatto però, ed è una stortura tutta italiana, quella che dovrebbe esser un’operazione di Pubblica Sicurezza, e cioè la cattura dei più grandi latitanti a livello nazionale, diventa invece un’indagine di Polizia Giudiziaria diretta dalla Magistratura.
Io personalmente ho sempre creduto che fosse un’errore. ….. Ero a Venezia e abitavo, come abito, a Treviso con mia moglie, quando il Maresciallo Alongi mi chiese un’entratura in una ditta del trevigiano che produce scarpe sportive perché bisognava mettere dentro una di queste scarpe un GPS e poi sostituirla durante una perquisizione nell’abitazione della moglie di uno di questi Lo Piccolo in modo che lei non si accorgesse della sostituzione e si potesse proseguire. Se non ricordo male quell’indagine andò a buon fine però non ricordo se c’era ancora Sottili oppure no. Onestamente son passati vent’anni… E’ evidente che il pedinamento … è “uno zucchero che non guasta bevanda” ma solo nella circostanza in cui questo pedinamento è fatto con forze cospicue. Perchè se tu metti un GPS e poi ci metti dietro una macchina che non viene alternata frequentemente è peggio che se ci sia il GPS da solo. Tanto vale lasciare solo il GPS…
A Sarajevo era l’agosto del 2002… a Gualdi dissi: “c’ho una notizia bomba”… Gli mandai un biglietto in cui c’era scritto: “So che Bossone va via mi dia il suo incarico e le servirò Bernardo Provenzano in un piatto d’argento”… Non avevo nessuna fiducia nel Procuratore… Grasso… L’unico con il quale avevo avuto – di quelli che c’erano all’epoca – … a Prestipino lo dissi neanche una settimana dopo che ero arrivato… io ritenevo di avere la necessità di approfondire personalmente quella notizia con ulteriori riscontri e quando capii che non lo potevo fare in ogni caso la misi per iscritto a disposizione del ROS (senza citare la fonte perché il Metropolita di Sarajevo era il mio confidente) ed a disposizione della Squadra Mobile. L’unica cosa che mi son tenuto per me – e lo rivelo oggi per la prima volta in quest’aula – è che la mia conversazione con il Metropolita non avveniva direttamente fra me e lui, perché lui parlava solo il serbo-croato e io parlavo l’inglese. C’era il suo segretario. Secondo l’intelligence del Reggimento Carabinieri di Sarajevo era un sacerdote che era stato mandato a questo Metropolita , che era considerato un sant’uomo ma un po’ con la testa fra le nuvole, dal Metropolita di Mosca. Noi avevamo scritto da qualche parte che lo aveva scelto personalmente Putin che era un agente del Servizio Segreto Russo. Questo quando mi congedò dopo che il Metropolita mi aveva rivelato quelle cose; mi disse: “sempre che gli Americani glielo facciano prendere. Sempre che gli Americani glielo facciano prendere”… Non era stato il Segretario ad aver avuto la notizia, ma il Metropolita, che mi disse: “Noi Monaci Ortodossi...” (lui si sentiva un Monaco Ortodosso)- era un Monaco diventato Cardinale ma sempre Monaco era- “...Noi Monaci Ortodossi siamo una lobby ristretta e fra noi le notizie circolano”…
Per Messina Denaro sono andato (quando ero ancora convalescente) … mi sono incontrato con il Capitano Canale ed un’Appuntato che avevo avuto alle mie dipendenze quando ero a Marsala, mi sono incontrato con loro a Castelvetrano perché questo Appuntato mi voleva far vedere un luogo, un ristorante, dove secondo lui ogni 15 giorni, almeno ogni 15 giorni, Matteo Messina Denaro andava a mangiare con una cornice di sicurezza che avrebbe comportato che se si interveniva sicuramente si sarebbe sparato. Se il Giudice me lo consente, sono 5 righe, io le avevo sunteggiate tutte per il Generale Niglio e gliele ho consegnate quando sono andato via. Le avevo apprese meno di 20 giorni prima. Mi consente di leggerle? Grazie. Una copia l’ho data naturalmente anche al mio Comandante Provinciale: “Il latitante Matteo Messina Denaro almeno una volta al mese cenerebbe al Ristorante ‘LE DUE PALME’ di Santa Ninfa. Egli sarebbe accompagnato da 2 o 3 accoliti armati come lui e determinati come lui stesso afferma a non farsi catturare vivi. Favorirebbero la latitanza del Messina Denaro due fratelli, entrambi medici, il Dott. Giuseppe Cangemi, Direttore Sanitario della ASL N. 9 di Trapani ed abitante a Partanna, nonché suo fratello Aurelio, chirurgo all’Ospedale di Castelvetrano, sposato con la nipote dei famosi fratelli Accardo, entrambi uccisi anni fa. Oltre ai due medici anche il loro amico gioielliere Lentini da Partanna, sarebbe coinvolto nell’attività di favoreggiamento del Messina Denaro. Incidentalmente giova menzionare che l’esattore Corleo da Salemi dopo il sequestro di persona di cui fu vittima, venne nascosto nella villa di campagna del gioielliere citato, che sarebbe l’ultima persona in vita a conoscere il luogo esatto della sepoltura del Corleo, il cui cadavere non è stato mai rinvenuto. Tale Santonastasi, consulente del lavoro abitante a Castelvetrano in Via Manzoni numero 28/30, con studio in quella Via Garibaldi, avrebbe una figlia che quasi ogni giorno a bordo di una grossa auto fuoristrada si sposterebbe nel palermitano e sarebbe latrice di corrispondenza ‘pizzini’, da e per Matteo Messina Denaro. Altrettanto farebbe tal Raimondo Monachino nato a Castelvetrano il 14/10/1945 ed ivi residente in Via Vittorio Emanuele 134, pensionato delle Ferrovie, noto organizzatore di gioco d’azzardo, prescelto quale messaggero anche e sopratutto per la cordialità che intrattiene con tutte le Forze dell’Ordine del luogo. La ‘fonte’ suggerisce che le notizie riferite andrebbero sviluppate e sottoposte a verifica senza coinvolgere le forze dell’Ordine della Provincia di Trapani…”…
Domanda: “Questo chiaramente è un suo appunto… Lei questo suo appunto, che è importante perché cita persone che possono essere fiancheggiatori diretti l’ha girato alla Direzione Distrettuale Antimafia?”
Risposta: “No non l’ho fatto. L’ho dato al Generale Niglio”.
Domanda: “Rispetto al momento in cui lei ha appreso queste notizie dopo quanto glie l’ha date al Generale Miglio?”
Risposta: “Io le ho apprese intorno a Novembre del 2003 e glielo date prima del 31 dicembre del 2003”.
Domanda: “Sa se su questo spunto d’indagine Niglio aveva trovato dei riscontri?”
Domanda: “Niglio… forse ricorderete che vi ho detto che da Venezia più d’una volta gli ho telefonato per sollecitare che l’indagine di Lipari non venisse abbandonata e per chiedergli – perché ero molto curioso – lui mi disse, perdonatemi ora dico una cosa sgradevole, ma è così, nell’incontro che avevamo avuto io e lui, a proposito del ROS, lui mi disse: “lo sai come il Generale Sabato Palazzo chiama il ROS?” E io dico: “No non lo so”. Lo chiama: “La Nostra Gestapo”. Quando io gli chiesi al telefono se avesse fatto fare qualche cosa, qualche indagine su questa cosa, visto che il ROS dipendeva da lui, secondo le norme dell’Arma dell’epoca. Il ROS Regionale non poteva prescindere dal Comandante dei Carabinieri di tutta la Sicilia. Lui mi disse: “La Gestapo ci sta lavorando”.
Domanda: “Senta Generale, lei è andato via il 28 dicembre 2003, ha chiesto lei di essere trasferito, è stato trasferito…”
Risposta: Si, vorrei puntualizzare perché ho sentito la precedente udienza dove sono state dette delle oscenità a proposito… l’ho sentita da Radio Radicale… Vale a dire che io sarei stato trasferito per una fesseria fatta. Il mio sarebbe stato un ‘trasferimento d’opportunità’. Premetto che quando, durante l’estate, io già avevo avuto la polmonite e il versamento pleurico, passò l’interpellanza in cui si diceva che la Sezione di Polizia Giudiziaria di Venezia si era liberata perché il Tenente Colonnello che la comandava era andato in pensione e chi voleva si poteva segnalare, io mi segnalai. All’inizio di dicembre telefonai al Comandante Provinciale di Venezia dell’epoca, Ilio Ciceri, attuale Generale di Corpo d’Armata Comandante della Interregionale qui di Roma, mio vecchio amico, gli dissi: “Ilio, io fino ad ora non ti ho mai disturbato, non ti chiedo una raccomandazione, ti chiedo solo una cosa, si sono chiusi i termini per la domanda… so che oltre a me c’è un Maggiore che viene dalla Sardegna e un Tenente Colonnello che viene dalla Scuola Sottufficiali di Firenze. Se il Procuratore di Venezia, che è quello che sceglie ti chiede chi sono io, ti prego solo di descrivermi per come mi conosci”. E lui mi disse: “Tu sei il solito stronzo, devi sapere che Borraccetti” (sarebbe il Procuratore di Venezia) “mi ha chiesto espressamente di te” e io gli ho detto: “Non si faccia sfuggire questa occasione perché la Sezione di Polizia Giudiziaria un investigatore come Gebbia non l’avrà mai”… Questo sarebbe il famoso trasferimento punitivo di cui voi avete parlato.
Domanda: “In tutto il periodo in cui lei Comanda il Reparto Operativo chi era il Comandante Provinciale in tutto il Periodo e … i rapporti che lei aveva con lui com’erano: buoni, meno buoni, cattivi...”.
Risposta: Riccardo Amato … eccellenti umanamente. Siamo stati a cena tante volte insieme con le rispettive mogli, eravamo due gentiluomini che si frequentavano. Premesso però che lui riteneva che io non sapessi ‘mettere il piede sul freno’ quando era opportuno mettere il ‘piede sul freno’… Faceva riferimento a quello per cui prima ho parlato in termini forse troppo bruschi con il Pubblico Ministero. Circa il fatto che io ho sempre mal tollerato la pretesa della Magistratura di condurmi per mano, di togliermi qualsiasi iniziativa… Il Generale Amato credo che fosse molto soddisfatto di Sottili, anche perché prima che io m’ammalassi, mi accorgevo (e siccome sono un gentiluomo facevo finta di non accorgermi) che quando Amato dopo parecchie ore di assenza dal Comando Provinciale tornava, Sottili lo andava a trovare e restavano anche tre quarti d’ora insieme, evidentemente scavalcando me… un rapporto privilegiato…
Domanda: “Il Procuratore Grasso a proposito della ricerca latitanti, a proposito di Provenzano, nei suoi confronti ha avuto, ha preso qualche iniziativa, pubblicamente ha detto qualcosa di grave nei suoi confronti, e se sì in che occasione e perchè”.
Risposta: Mi pare il 23 ottobre del 2002 (io ero arrivato da meno di un mese) il Capitano Sancricca qui presente, mi telefona a casa nel primo pomeriggio, e mi dice che ha nel suo ufficio i figli di Provenzano ai quali è stata rubata la loro Fiat Uno bianca dai Viali dell’Università e sono venuti a denunziarne il furto in caserma. Io gli dico: “Sto arrivando in caserma, provi a trattenerli dicendogli che voglio parlare loro, ma gli specifichi che non gli voglio parlare del furto della loro automobile, per cui sono padroni, se non vogliono aspettare, se hanno finito di fare la denunzia, di andarsene”. Arrivo in caserma, dopo qualche minuto Sancricca me li porta tutti e due in ufficio…. Io ad entrambi faccio un discorso molto articolato e complesso. Gli dico che noi Carabinieri abbiamo nei confronti di tutti i siciliani un debito morale diffilmente sanabile, perché ci siamo comportati – da quando c’è l’Unità d’Italia – nei confronti dei siciliani, più o meno come truppe d’occupazione. E faccio un’esempio: nei fascicoli personali dei mafiosi c’è una grande ‘M’ messa sulla copertina. E mentre un Ebreo può convertirsi al Cristianesimo (o i suoi figli lo possono fare), uno schedato ‘M’ non può che generare altri schedati ‘M’. Cioè, per noi c’è un automatismo tale che figli e nipoti non si possano emendare da questa schedatura. E questa cosa grida GIUSTIZIA al Padre Eterno. Gli ho fatto questo esempio per dire loro che se il padre (che all’epoca era già piuttosto anziano e col quale io ero sicuro che in qualche modo avevano periodici contatti) se il padre si fosse costituito a noi Carabinieri, siccome la ‘vulgata’ dice che era il capo di un’esercito a noi avverso, e noi conosciamo le regole dell’onore militare, se si fosse costituito, ad aspettarlo sulla porta della caserma non avrebbe trovato l’umile Tenente Colonnello Gebbia, ma direttamente il Generale Gualdi, Comandante dei Carabinieri della Sicilia. Come dire, da ‘Pari a Pari‘. Gli dico anche che io non stavo chiedendo di convincere il padre a ‘collaborare con la Giustizia‘ ma che il semplice fatto di costituirsi e di … ho preso questa risoluzione perché Provenzano ha scelto per i propri figli che vivessero pubblicamente e onestamente (erano tutti e due studenti universitari all’epoca) e mai nessuno dei figli di Provenzano si è distinto per aver commesso qualsiasi reato. Per cui era evidente che Provenzano potendo scegliere fra una vita come la sua e una vita da onesto cittadino, per i suoi figli aveva preferito la vita da onesto cittadino. E questo la diceva lunga sul fatto che lui sapeva distinguere il bene dal male… Li congedo… Loro intanto mi dicono … che io gli avevo fatto la premessa che erano liberi di andarsene. Il più grande dei due mi dice che il padre gli ha insegnato la buona educazione e non ascoltarmi sarebbe scortesia. Per cui mi ascoltano. Alla fine io ricordo che mentre il più grande dei due era cortese ma con una faccia inintelleggibile, il più piccolo (quello che attualmente insegna tedesco) sembrava quasi che mi volesse abbracciare. Però, si è molto contenuto. Ho dato ad entrambi un mio biglietto da visita con il mio numero di telefonino e li ho congedati. Questo succedeva il 23 ottobre… Un’attimo dopo che sen’erano andati alzo il telefono e chiamo Gualdi, il mio diretto superiore in quel momento. E gli riferisco. E lui Gualdi mi fa: “mmmh… io proprio sulla porta della caserma no, però la cosa non mi dispiace”.
Domanda: “Lei ha parlato di questa vicenda di questa conversazione tra presenti dove si pensava di fosse pronunciato il nome ”Binnu” lei sa che iniziativa adottò Colonnello Sottili quando venne consegnata questa conversazione tra presenti?”
Risposta: So quello che mi ha raccontato Alongi. E cioè che fu mandata al RIS di Roma perché venisse fatta una perizia autentica … sembrava proprio che si dicesse “Binnu”… Io ero già andato via e Sottili in quel momento cominciò ad attenzionare di più quello che fino al quel momento era stato l”Hobby di Gebbia’, fino ad arrivare a Lipari che se ne va a Corleone e viene attenzionato dai favoreggiatori di Provenzano che gli dicono: “ma tu sei sicuro che non sei stato seguito?”… Io sono sicuro che Sottili relazionava Grasso anche quando andava in gabinetto …
Domanda: “… la famosa lettera dove lei dice che siccome il questore ha vietate il funerale di Provenzano…”.
Risposta: Senta mi perdoni. Lei non la può riferire solo nelle parti che le convengono. O la legge tutta… sì sarei andato al funerale di Provenzano. Lo ribadisco. Sarei andato. Perchè Provenzano è stato torturato in carcere».
Quì si conclude l’audizione del Generale Nicolò Gebbia. Ognuno di Voi è libero di pensare ciò che vuole. Magari che sia un visionario (in tal caso i visionari sarebbero più d’uno). Se pensate che tutto questo sia fantascienza dovrete ricredervi. Questa è quel tipo di realtà, che molto spesso mette la freccia e supera di gran lunga la fantasia. Ne conosco altre di storie come questa, se vogliamo anche più stravaganti ed inverosimili. Come quella del Provenzano sudamericano, e dello 007 del Sismi (Servizio Segreto Militare) che un giorno disse ai suoi superiori che “aveva una notizia bomba”. “So esattamente dove si nasconde il più grande trafficante d’armi internazionale: Carlos Remigio Cardoen Cornejo” posso farvi avere la sua testa su un piatto d’argento …” Per chi non lo ha mai sentito nominare, è stato il mercante di morte di fiducia del rais di Baghdad Saddam Hussein, di Gheddafi e di molti altri dittatori Africani, per molti anni uno dei maggiori “Most Wanted Fugitive” ricercato da CIA ed FBI. Mentre le intelligence di tutto il mondo lo ‘cercavano’ in ogni dove, l’agente segreto andò pure a pranzare con lui nella sua bella Fazenda vicino Santiago del Chile. Il nostro italico James Bond si chiede ancor oggi come mai, nonostante le sue relazioni di servizio, le informative scritte, xfiles, documenti, i pizzini, nessuno mai mosse un dito per catturarlo (“sempre che gli Americani gliel’avessero voluto far prendere”).
Ma questa è una vecchia storia, che (se volete) vi racconterò un’altra volta.