Trasmissione DiMartedi, ospite il magistrato calabrese Nicola Gratteri. Il ben arrivato gli viene rivolto a suon di domande in cui si evidenzia “il protagonismo dei magistrati” di cui non si è ben compresa l’origine. Il conduttore Floris, come un Vittorio Feltri qualunque, inaugura l’intervista con premesse fuori luogo che vanno da forme di “manettarismo” non ben definite ad accuse (di chi?) secondo le quali, l’osservanza del codice penale, può essere un ostacolo per la vita democratica.
Tutto questo, in stato di sobrietà immagino, il che non depone a favore del conduttore; tralasciando la magra figura di quest’ultimo, val la pena soffermarsi invece, sul racconto di Gratteri che ci riporta indietro di qualche anno, esattamente a quando Mattero Renzi, coerentemente con le pubbliche dichiarazioni “Non vado al governo senza passare dal voto”, viene convocato dall’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e formano il governo nato sull'”Enrico stai sereno” con quel cambio di campanella da una mano all’altra – il sereno uscente ed il borioso entrante – più gelido di un ghiacciaio.
Parte di quello che accadde nelle ore successive, ce lo racconta Gratteri.
2014: Gratteri vola a Roma convocato da Graziano Delrio e si intrattiene per oltre due ore col neo premier discutendo di riforme -quelle che ancora oggi sogna Gratteri-nel comparto giustizia.
Della “carta bianca” offerta da Renzi a Gratteri -che altrimenti non avrebbe accettato di figurare nella lista dei ministri yes man- possiamo verificarne la validità proprio in questi giorni in cui si discute di prescrizione.
In quei giorni voleva abolirla, oggi rischia di far cadere il governo pur di ripristinarla su solide basi contrariamente a quanto operato nella legge spazzacorrotti.
Nicola Gratteri avrebbe resistito da Natale e Santo Stefano con un simile balletto in cui peraltro, il ballerino toscano, si muoveva sotto la coreografia di Giorgio Napolitano e proprio sul veto a Gratteri ministro, lo abbiamo accertato.
Infatti, tutte le buone intenzioni di Renzi -ancora non sapeva che il giglio magico, la famiglia ed i suoi finanziatori sarebbero diventati materia processuale- finirono nel “no” di Napolitano a quel magistrato che, dalla Calabria, avrebbe voluto portare la “rivoluzione” – cosi definisce le sue intenzioni – in uno dei settori più maltrattati e abusati dalla politica: la giustizia ormai nota come “malagiustizia”.
Quel “no” è ancora un segreto incomprensibile a meno che, al posto del premier e della più alta carica dello Stato, stessero operando scelte per la nazione i vertici del KGB.
Napolitano ha qualche problema coi calabresi? Con gli stempiati? Con i giudici calabresi stempiati ?
No, Gratteri per l’ex presidente è “un magistrato troppo caratterizzato”. Almeno cosi riferisce l’ex ministro alle Infrastrutture Graziano Delrio che viene incaricato di comunicare a Gratteri il no dell’allora Presidente. Una espressione ambigua dietro la quale si cela l’idea che egli ha del magistrato: “deve indagare ma…con moderazione”, deve usare lo strumento delle intercettazioni “solo quando strettamente necessario”, non deve cedere a “forvianti esposizioni mediatiche” e “non deve sentirsi investito di improprie ed esorbitanti missioni.”
Era il 2011 quando Napolitano si esprimeva in questi termini lanciando moniti ai giudici alle prese con i reati commessi da B.
Ed era necessario richiamarli alla “moderazione” indicando quindi, in modo implicito, che c’è una metro di misura per fare il magistrato e lo aveva fissato proprio lui. Indagini si…ma moderandole, magari alla maniera in cui Peppino De Filippo, nel film “Totò Peppino e le fanatiche”, dipingeva a sua insaputa la casa del capo ufficio: “Una pennellata e una rilassata…una pennellata…una rilassata”.
Una intercettata…una moderata…una indagata…una moderata…
L’anno dopo non si limitava ai moniti; altri furono gli strumenti utilizzati contro i magistrati che indagavano sulla trattativa Stato mafia peraltro su richiesta di un imputato. In quel caso, pretendeva solo “moderazione”, l’intercettazione non era consentita ed infatti, fece fare una brutta fine a quelle raccolte.
Ora, che Napolitano sia contrario ai cambiamenti migliorativi si può dedurre dal fatto che pur avendo concluso il suo mandato al Colle, e giurando che mai più vi sarebbe tornato, fece l’esatto contrario a pochi giorni di distanza – il feeling con Renzi scattò proprio nella condivisione della coerenza – ma quel “no”a Gratteri ministro, che prometteva riforme di portata storica alla Giustizia rispetto alla locomotiva a vapore che oggi è, non fu mai oggetto di discussione. Fu no e basta.
Altro governo, altro magistrato; Berlusconi premier Nitto Palma magistrato nominato alla Giustizia. Ci fosse stato Napolitano al Colle non sarebbe passato…ah no! C’era proprio lui! E cosa aveva Palma più di Gratteri? Tanto per cominciare, nessuna rivoluzione in testa ma tante belle norme per garantire “impunità” che lui, proponendole, chiamava “garanzie di immunità”.
Come avrebbe potuto Napolitano, porre veti sull’idolo di tre quarti di Parlamento? Nitto Palma proponeva infatti una commissione di inchiesta su Tangentopoli.
Il testimone di nozze di Luca Palamara – ex Presidente dell’ANM – maturava l’irresistibile tentazione di punire i magistrati del pool di mani pulite, e Napolitano aveva già i popcorn pronti. Questi sono i temi che contano – oggi quanto e più di ieri – altro che le riforme di Gratteri:
“Duecentosessantasei pagine di proposte concrete per razionalizzare l’ organizzazione del lavoro, informatizzando il processo penale. Introducendo l’ uso delle videoconferenze, un risparmio di 70 milioni l’ anno, oggi spesi per i trasferimenti dei detenuti: su 44.000 agenti della polizia penitenziaria, 10.000 sono impiegati ogni giorno per le cosiddette “traduzioni”. Niente più chili e chili di carte per i legali che potranno ritirare tutti gli atti del processo digitalizzati direttamente nelle cancellerie delle Procure. Agli stessi detenuti un tablet in grado di ricevere, e solo ricevere, tutti gli atti, e solo quelli, che li riguardano, tablet che a fine pena verrebbe riconsegnato. Carcere fino a 30 anni per i boss, con l’ inasprimento delle pene per i reati previsti dal 416 bis, l’ associazione di tipo mafioso, che saranno superiori o equiparate a quelle previste per i narcotrafficanti. Pena minima aumentata anche per gli affiliati semplici da punire con non meno di 12 anni. Riapertura di tre quattro supercarceri quali Pianosa e l’ Asinara per concentrare lì i detenuti in regime di 41 bis, che sono circa 800 e attualmente sono spalmati in 11 carceri. In cui tra l’ altro circolari diverse prevedono trattamenti diversi. Confisca obbligatoria dei patrimoni, con annessa riforma anche dell’ Agenzia dei beni sequestrati alle mafie da spostare da Reggio Calabria a Roma, sotto la guida di un manager con personale selezionato con bandi e concorsi pubblici. Crimini contro l’ ambiente tutti reati da punire con il carcere”.
Ora, immaginate Napolitano che sorseggia una tazza di tè mentre gli comunicano che uno con simili intenzioni è stato proposto al ministero della Giustizia. A momenti si strozza. Chiama Renzi e lo riconduce alla realtà che forse, in preda al delirio da neo premier, stava smarrendo.
Nel libro Massoni di Gioele Magaldi, (mai contestato e mai querelato), si parla dell’ingresso di Napolitano in una potente loggia americana: “Tale affiliazione avvenne nel 1978, anno nel quale divenne apprendista muratore Silvio Berlusconi. E mentre Berlusconi venne iniziato a Roma in seno alla P2 guidata da Licio Gelli nel gennaio, Napolitano fu cooptato dalla prestigiosa Ur-Lodge sovranazionale denominata Three Architects o Three Eyes appunto nell’aprile del 1978, nel corso del suo primo viaggio negli Stati Uniti”. Primo “comunista” ad avere il via libera per entrarci.
E l’unione dei tre ricorre in perfetto allineamento; Napolitano ha sempre garantito l’ascesa al potere non solo politico ma anche economico di Berlusconi e in quanto a Gelli, fu proprio Napolitano che, nella veste di Ministro dell’Interno, raggiunto da una imponente quantità di informative sulla fuga di Gelli prossima al compimento, non scongiurò che accadesse. Il maestro venerabile, lasciò l’Italia in totale tranquillità.
Renzi invece, con quella proposta, si rivelò un elemento non perfettamente allineato perchè giovane e vanitoso; voleva fruire del nome del noto magistrato senza aver mai avuto la reale intenzione, di concedergli la “carta bianca” promessa. Un’operazione simile fu intentata successivamente istituendo l’ANAC. Chiamò Raffaele Cantone, nemico dei Casalesi narrati da Saviano – quindi vicenda celebre – e forse chissà, anche a lui ha promesso questa carta bianca.
Tornando a Napolitano che spiega a Renzi come si sta al mondo – nel suo mondo – quello che può avergli detto è ben espresso da Renzi stesso durante uno dei tanti momenti di contestazione interno al PD sotto la sua guida: “Napolitano mi ha chiamato in una situazione di emergenza per portare a case le riforme”. Quali ?
Quelle costituzionali che sarebbero passate se il 4 dicembre del 2016, il referendum improntato sul consenso a Renzi, ci avesse consegnato un risultato diverso da quello che invece portò alle dimissioni di Matteo Renzi da Presidente del Consiglio.
Napolitano dichiarò pubblicamente la sua grande delusione per gli sbagli commessi dal ragazzo durante la campagna referendaria eppure, in materia di “fratellanza” prometteva bene e sperava di arrivare molto in alto . Ma si rivelò solo una bolla d’aria per fortuna del Paese. La revisione di punti cruciali della Costituzione repubblicana fu, in quella circostanza, scongiurata.
Nella compagine che da oltre 60 anni vede Giorgio Napolitano protagonista di una realtà pubblica opposta alla realtà parallela che molti conoscono e volutamente ignorano, non c’è posto per riforme della Giustizia diverse da quelle promosse dall’avvento di Berlusconi politico. Condivise dalle richieste del papello redatto da Totò Riina e dal piano di rinascita democratica progettato da Licio Gelli.
Questa è la matrice dell’opposizione alla riforma della prescrizione che sta passando sotto i nostri occhi. Unica differenza, la maggioranza parlamentare che oggi siede in Parlamento, avrebbe potuto e dovuto proporre il nome di un buon magistrato del calibro di Gratteri alla guida del ministero della Giustizia. All’epoca si parlava di Nino Di Matteo ma come tutti sappiamo, nemmeno quel nome passò.
Altro mistero. Altra storia….