Come è noto il Consiglio Comunale di Mezzojuso è stato sciolto, e prima ancora di conoscerne le motivazioni sarebbe sbagliato fare considerazioni e deduzioni di natura giuridica e giurisprudenziale.
Ma in questa vicenda il diritto non conta!?
Aspettando di conoscere le motivazioni che stanno alla base dell’Atto di scioglimento degli Organi amministrativi del Comune di Mezzojuso desideriamo farci delle domande e qualche considerazione:
In pochi sanno che l’attuale normativa sullo scioglimento dei comuni ha origine nei fatti tragici avvenuti nel Comune di Taurianova, una cittadina di 15mila abitanti della provincia di Reggio Calabria, nel lontano 1991, dove nell’arco di 15 giorni vennero uccise 12 persone in una faida mafiosa di famiglie contrapposte fra loro.
Il massacro fu caratterizzato anche da una brutale decapitazione. Gli episodi più gravi si svolsero tra giovedì 2 e venerdì 3 maggio 1991 e la c.d. “testa mozzata”, in particolare, divenne parte della storia criminale nel pomeriggio di venerdì.
Nella sua sintesi, la prima informativa redatta dai carabinieri della Compagnia di Taurianova descrisse lo scenario drammatico del duplice omicidio dei fratelli Giovanni e Giuseppe Grimaldi.
“Oltre ad una donna, ferita ad una mano da un pallettone di lupara (ne furono repertati oltre una ventina), alla tribale carneficina, assistettero circa venti persone, molte delle quali impiegate del vicino ufficio postale”.
La presenza di così tante persone, non scoraggiò la ferocia e la determinazione dei sicari che, con freddezza, dapprima fecero uscire le vittime designate dal negozio di barbiere in cui si trovavano, per poi massacrarle barbaramente, come riferì ai carabinieri il figlio di uno dei due Grimaldi uccisi.
“Gli assassini, facendo uso di un grosso coltello, decapitarono Grimaldi Giuseppe, la cui testa fu rinvenuta a una certa distanza dal tronco”.
Rocco Zagari, il cui omicidio fu vendicato con tanta atrocità, era un “uomo d’onore”, che aveva ereditato il comando della cosca da Domenico Giovinazzo, ergastolano ucciso a Polistena nel 1990 nel giorno stesso in cui era stato rimesso in libertà per scadenza dei termini di custodia cautelare. Ma Rocco Zagari era anche un politico. Fino a pochi mesi prima di essere ucciso mentre si stava facendo radere in una barberia di Taurianova, Zagari era consigliere comunale della DC. Il Comune, fin dal dopoguerra, era governato da una sola famiglia, quella dei Macrì. Alla guida della pubblica amministrazione di Taurianova si succedettero dapprima Giuseppe Macrì, poi i figli Olga, Ada e Francesco, detto “Ciccio Mazzetta” per i metodi usati nella gestione amministrativa”.
Nello stesso giorno, a Taurianova, oltre al duplice omicidio dei fratelli Grimaldi, si verificarono altri due omicidi: uno al mattino ed uno nella tarda serata. Il contesto in cui maturarono fu il medesimo.
L’omicidio di Rocco Zagari, figura così importante, era stato vendicato secondo le regole mafiose, ma a rendere la strage così ripugnante ci fu la macabra decapitazione, che suscitò raccapriccio in tutto il mondo.
Le istituzioni non rimasero insensibili e si attivarono: le Forze dell’ordine sul territorio furono massicciamente potenziate, la Commissione Parlamentare Antimafia approdò in Calabria e il Ministro della Giustizia chiese al Ministro degli Interni lo scioglimento immediato del Consiglio Comunale di Taurianova.
Il Governo dell’epoca emanò il decreto con il quale si prevedeva la possibilità di procedere allo scioglimento dei consigli comunali o provinciali sospettati di essere infiltrati o inquinati dalle cosche mafiose.
I motivi per Taurianova che sostanziarono il provvedimento, indicati nella relazione del Ministro dell’Interno al Presidente della Repubblica del 2 agosto 1991, furono:
– collegamenti diretti ed indiretti tra amministratori e criminalità organizzata con carattere di continuità sia per la presenza all’interno dell’amministrazione locale di soggetti legati alle famiglie protagoniste della malavita di Taurianova, sia in conseguenza della coesistenza nella medesima persona della qualità di pubblico amministratore e di esponente di cosca mafiosa;
– presenza, nei posti chiave dell’amministrazione comunale, di persone che per relazioni parentali, di affinità e di amicizia, evidenziarono mancanza di autonomia nell’esercizio del mandato rappresentativo ed appalesarono una chiara contiguità tra malavita operativa e sistema clientelare;
– deterioramento della situazione generale dell’amministrazione, sotto i profili dell’imparzialità, del buon andamento della pubblica amministrazione, e del regolare funzionamento dei servizi, la cui fruizione è peraltro sottoposta ad un «consolidato sistema di abusi e favoritismi, che impedisce il libero esercizio dei diritti civili»;
– compromissione dello stato della sicurezza pubblica, con conseguente sfiducia nelle istituzioni e diffuso sentimento di insicurezza.
Nel caso di Taurianova, i carabinieri documentarono, sul conto dei consiglieri comunali:
– i precedenti penali;
– i rapporti di frequentazione, stretta amicizia e parentela con esponenti di vertice della cosca Avignone-Giovinazzo;
– il coinvolgimento in procedimenti penali assieme a personaggi mafiosi.
Da quel contesto si sviluppò la produzione normativa che prevede lo scioglimento delle amministrazioni democraticamente elette in particolari situazioni e condizioni. Lo scioglimento viene definito come provvedimento di “Alta Amministrazione” e viene messo in opera in situazione extra penale.
Non occorre, quindi, che gli amministratori siano accusati di fatti penalmente rilevanti per determinare lo scioglimento del Consiglio Comunale, ma possono bastare comportamenti, amicizie, frequentazioni con mafiosi o ritenuti tali, se accompagnati da mala gestio nell’attività amministrativa dell’Ente che nella percezione generale faccia intuire la concreta possibilità di infiltrazioni mafiose. Insomma una extrema ratio con cui lo Stato interviene quando la sospensione degli amministratori collusi non sarebbe sufficiente a salvaguardare la pubblica amministrazione, di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità mafiosa.
In proposito è intervenuto il Consiglio di Stato in una sentenza (n. 4467 del 2004), ove si evidenzia che: “(…) la ratio sottesa allo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni della criminalità organizzata è da collegare a un istituto di natura preventiva e cautelare inteso ad evitare che gli indizi raccolti in ordine all’esistenza di un’infiltrazione della criminalità organizzata possano compromettere il regolare e legittimo andamento della cosa pubblica. Essa non risponde, quindi, alle regole ordinamentali tendenti a stroncare la commissione di illeciti, ma si inquadra piuttosto nel sistema preventivo del controllo generale riservato allo Stato in ordine a fatti che, per consistenza ed effettività, si reputano idonei a determinare uno sviamento dell’interesse pubblico (…)”.
Recentemente il TAR del Lazio (sez. I, 8 marzo 2019, n. 3101)
Lo scioglimento del Comune per infiltrazione mafiosa deve essere posto in essere solo laddove l’influenza della criminalità organizzata sugli organi elettivi dell’amministrazione locale sia fondatamente e univocamente percepibile, sulla base di dati fattuali e concreti, risolvendosi altrimenti l’applicazione della norma in un’inammissibile ingerenza dello Stato nei governi locali.
Con tale sentenza si è annullato il provvedimento di scioglimento di un comune pugliese, in particolare alla luce della presenza della Relazione del Prefetto di formule generiche e assertive, evocative di collegamenti e cointeressenze degli amministratori locali con la criminalità organizzata, non puntualmente correlate a dati fattuali e concreti.
Si ribadisce, inoltre, l’irrilevanza dei casi di cattiva gestione amministrativa, in carenza di prove dei collegamenti mafiosi.
Pertanto la sentenza del TAR del Lazio del marzo scorso ha delimitato confini ben precisi, che pongono rimedio all’intervento discrezionale dello Stato di scioglimento degli organi amministrativi del comune. Se lo scioglimento dell’Organo non è correlato a collegamenti degli eletti con la criminalità organizzata riscontrabile in dati fattuali e concreti, non è ammesso.
È noto a tutti che qualsiasi Atto della Pubblica Amministrazione deve essere adeguatamente motivato e può essere annullato per difetto di motivazione. Insomma prima ancora di stabilire se è legittimo occorre motivare a sufficienza il perché.
Poiché le riflessioni da fare sono parecchie e complesse per il momento ci fermiamo per non annoiare ulteriormente i lettori.
Mezzojuso, 18 dicembre 2019
Nella foto: Francesco Gebbia, di professione consulente legale, Consigliere comunale di opposizione del Comune di Mezzojuso ucciso a colpi di lupara nella Piazza principale il 10 ottobre 1892.