Francesca Scoleri

Strage Alcamo Marina: non fu Gladio

Riceviamo e pubblichiamo

Era la notte del 27 gennaio del 1976 , quando un commando fece irruzione nella casermetta di Alcamo Marina, in provincia di Trapani e uccise i carabinieri Apuzzo e Falcetta.

Le indagini furono condotte dal Colonnello Russo, ucciso un anno dopo a Ficuzza da un commando agli ordini di Totò Riina. Dopo circa quindici giorni dal duplice omicidio, una volante dei carabinieri, fermò un giovane di Alcamo, tal Giuseppe Vesco, monco di una mano, alla guida di una Fiat 127. Era in possesso dell’arma che aveva ucciso i due carabinieri e di una pistola di ordinanza, di uno dei due carabinieri uccisi nell’agguato.

Vesco fu interrogato e confessò. Indicò agli inquirenti il covo dove era nascosta la refurtiva, e accusò i suoi complici, tre giovanissimi ragazzi, suoi amici di Alcamo e un suo conoscente di Partinico. Tutti condannati nei processi che seguirono nei successivi anni.

Vesco però non arrivò mai al processo, perché un un’anno dopo, fu trovato impiccato nel bagno dell’infermeria del carcere San Giuliano di Trapani. Nel 2008 il colpo di scena. Un ex carabiniere Renato Olino, che aveva partecipato alle indagini, racconto’ che Vesco confessò tutto sotto tortura.

Gli avvocati di Giuseppe Gulotta, uno dei quattro condannati, chiedono e ottengono il processo di revisione e alla fine, vengono assolti tutti, inclusi Ferrantelli e Santangelo che, dopo la sentenza in cassazione, erano scappati in Brasile con l’aiuto di Padre Mattarella, cappellano del carcere di Trapani, che a suo dire, illuminato dal Signore, era certo della loro innocenza.

Tutto da rifare dunque per gli inquirenti, anche se sono passati 36 anni. Nel frattempo si susseguono le piste sui possibili moventi e mandanti. Un ex poliziotto di Alcamo, Federico Antonio, racconta al sostituto procuratore di Trapani, che nel 1992, un suo confidente, gli raccontò che Apuzzo e Falcetta furono uccisi il pomeriggio del 26 Gennaio, esattamente alle 15.30 perché fermarono un furgone carico di armi, condotto da appartenenti alla Gladio.

Dopo un breve controllo, i due carabinieri, invitarono i passeggeri del furgone all’interno della casermetta, e li furono uccisi. Il movente Gladio è stato ripreso da più organi di stampa, inclusa la trasmissione Blu Notte di Lucarelli, ma nessuno ha mai fatto i dovuti riscontri. Stefano Santoro operatore video free lance residente a New York, ha prodotto un lungo video dossier sulla vicenda e ha dimostrato che in realtà, l’ipotesi tanto declamata dagli organi di stampa, dell’omicido alle 15.30 è irreale.

La sorella di Carmine Apuzzo ricorda la telefonata del fratello alle 18.30 , mentre i familiari di Falcetta hanno ricostruito le ultime ore dell’appuntato che nel pomeriggio, dopo aver trascorso alcune ore con i familiari, si recò al comando provinciale di Trapani, poiché doveva ultimare il suo imminente trasferimento a Buseto, per essere più vicino alla madre sofferente.

Altro tassello che esclude il posto di blocco all’equipaggio Gladio, con l’immediato duplice omicidio, è la testimonianza a poche ore dalla strage, di due persone che raccontarono agli inquirenti di essere stati insieme ai due militari all’interno della casermetta di Alcamo Marina fino a mezzanotte circa, per giocare a carte.

Inoltre i due carabinieri furono trovati in pigiama, Apuzzo ancora a letto sotto le coperte, mentre Falcetta, dopo un tentativo di reazione, rimase incastrato tra il letto e il muro, con le gambe attorcigliate alle lenzuola.Una scena raccapricciante che non lascia spazio a ricostruzioni false e artificiose, di riproduzioni della scena del delitto.

Nonostante  ciò nessuno ha mai smentito questo inconcepibile teorema, accostato suggestivamente più volte anche al ritrovamento,nel 1992,  di un deposito di armi,  custodito da due carabinieri . Il professore Romano Davare, noto scrittore, regista teatrale e all’epoca dei fatti corrispondente del Secolo D’Italia, racconta  che la sera precedente alla strage, si trovava  nei pressi di Trapani, per un convegno del Msi, con ospite il segretario Giorgio Almirante.

Il professore Davare scrisse della strage, ma il direttore del Secolo D’Italia gli proibì di parlare del possibile movente, da lui ipotizzato alla luce dei fatti.
Sul gruppo Facebook Giustizia per Apuzzo e Falcetta,Stefano Santoro ha approfondito questa ipotesi e scrive “L’assalto alla casermetta a quattro ore dal passaggio di Almirante, in un arco di 365 giorni, e sotto una pioggia torrenziale, fu solo una casualità ? No a mio parere. Gli ingredienti per un sequestro ci sono tutti. Covo pronto a Partinico, divise, (non quelle in grande uniforme lasciate invece a terra nella casermetta) armi,cibo, (preso dalla casermetta) indumenti intimi, soldi, passamontagna, materasso, lenzuola, guanciale, soldi di altri sequestri, stralci di giornali relativi ai sequestri Corleo e Campisi e ancora, cavi di telefono  e ruote tagliate dell auto di Falcetta, per isolarli e  avere un vantaggio di tempo, al loro risveglio prima che potessero avvisare i colleghi (Vesco scrisse nelle lettere che non era prevista la loro esecuzione,  evidentemente perché dovevano essere sedati), e ancora, la scorta di Almirante non comunicò al segretario del Msi della tragedia, ed infine, la parola fine ai sequestri, in provincia di Trapani ,dopo l’episodio di Alcamo Marina, come se qualcosa si ruppe. Insomma, cosa altro serve, per dimostrare che ci fu un tentativo di sequestro di Almirante.
La domanda è:chi fu il mandante e a quale scopo ?”
Il professore  Davare, sostiene nell’intervista che il direttore del Secolo D’Italia declino’ il tentativo di scrivere sul possibile sequestro di Almirante, per evitare uno scontro sociale. Dopo 43 anni è difficile smascherare la verità, ma intanto alla vicenda si è aggiunto un altro enigma.
La sorella di Giuseppe Vesco, il giovane trovato impiccato all’interno del carcere, sostiene di avere visto suo fratello nel corso principale di Alcamo, ma aggiunge altri particolari. Racconta, in esclusiva ai microfoni di Stefano Santoro, che al momento del riconoscimento del cadavere,  suo fratello non aveva segni di impiccagione al collo , che il corpo del fratello giaceva su una normale barella, che non fu permesso ai familiari di avvicinarsi per un ultimo abbraccio e che, al  padre e allo zio del giovane, non gli fu autorizzato di assistere alla saldatura della bara. La sorella ha presentato regolare denuncia al commissariato di Alcamo, ha fatto richiesta per l’apertura della bara, ha appeso per le vie di Alcamo, la foto di suo fratello, per denunciarne l’esistenza in vita, ma non ha ancora ricevuto nessuna risposta.
Una persona in cerca di verità e giustizia
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