A cadenza periodica, ci svegliamo con la notizia che getta in primo piano Matteo Messina Denaro ma puntualmente, si tratta di parenti o amici del latitante che finiscono agli arresti. Lui mai. Annunci a non finire, ma di catturarlo proprio non se ne parla.
Il timore, è che a causa del tempo che passa e dello stallo di certe indagini, la maggior parte dei nostri connazionali non sappia chi sia e cosa abbia fatto per guadagnarsi il titolo di primo ricercato d’Italia e c’è anche una lista tracciata nel 2017 dall’FBI, che lo piazza fra i primi dieci ricercati in tutto il mondo.
Ieri l’ultimo arresto in ordine di tempo, Paolo Arata ex consulente della Lega e il figlio Francesco per ragioni che conducono a Messina Denaro attraverso la partecipazione nella società di Vito Nicastri finanziatore del boss trapanese.
A scanso di ipocrisia, bisogna dire che Matteo Messina Denaro è latitante solo per la cronaca, in realtà gode di libertà protetta come i boss di Cosa nostra che lo hanno preceduto.
Non si spiegherebbe altrimenti come possa attraversare l’Italia e addirittura il confine italiano – secondo numerose testimonianze – andare in vacanza con le sue amanti, mettere incinta la sua compagna e tutto, senza finire in manette.
Ricordiamo che la fitta rete di favoreggiatori di Messina Denaro comprende politici, funzionari pubblici, imprenditori, banchieri, uomini della guardia di finanza e delle forze dell’ordine. Ipotizzare che la platea possa ampliarsi salendo a livelli sempre più alti e tutt’altro che ingenuo.
La stessa considerazione di cui gode Paolo Arata e i suoi figli nella Lega di Salvini, dimostrano con quanta facilità si possa attrarre la politica verso attività criminali. Inutili e imbarazzanti i tentativi di esponenti di spicco del partito di fingere sorpresa ma tant’è. Sperare poi che vi siano ravvedimenti operosi e che spieghino come e quando questi soggetti sono entrati in contatto con loro è pura utopia.
Nonostante l’azione repressiva sul patrimonio del boss trapanese abbia portato a sequestri di beni per oltre 4 miliardi di euro, la rivista Forbes, include Messina Denaro fra gli uomini più ricchi del mondo. Difficile mettere insieme cosi tante fortune senza il sostegno del famigerato 4° livello composto da poteri forti nazionali e sovranazionali.
Basterebbe però circoscrivere la crescita economica del latitante nella sola Sicilia per aver chiari i collegamenti che lo hanno portato per mano verso la conquista dell’eolico, l’affare più appetitoso per mafiosi e corrotti.
I governatori, Lombardo prima e Crocetta poi – lasciando tutto invariato – hanno concentrato in un mega assessorato regionale, la gestione dell’energia e dei servizi di pubblica utilità.
Affari milionari sotto la gestione determinante dell’allora presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante e di cui si riscontra pochissima documentazione riguardo concessioni e autorizzazioni a società private.
Per capire di cosa stiamo parlando, nel 2013 è stato presentato un piano che prevedeva la costruzione di 3000 torri alte cento metri su tutta la Sicilia con investimenti stimati sui 9 miliardi di euro e incentivi statali per oltre 20 miliardi.
Antonello Montante, recentemente condannato a 14 anni di reclusione per associazione a delinquere e corruzione, era al vertice di un sistema teso alla frode di fondi pubblici e allo spionaggio grazie al supporto logistico di 007 infedeli.
“L’apostolo dell’antimafia” godeva di una sorta di venerazione dalla destra quanto dalla sinistra eppure non era un insospettabile, basti pensare che il suo testimone di nozze, è stato un affiliato di Piddu Madonia.
Montante gestiva la Cosa Pubblica con metodi mafiosi al pari degli uomini di Cosa nostra tant’è che stando alle testimonianze del collaboratore di giustizia Pietro Riggio, il finto paladino dell’antimafia aveva chiesto la morte di Alfonso Cicero, ex capo delle aree industriali siciliane, in quanto “incorruttibile” e “fastidioso” quindi di intralcio per gli affari di tutti i componenti del sistema Montante.
Montante e Messina Denaro, secondo un rapporto della DIA, entrano in relazione nei primissimi anni in cui il leader degli industriali siciliani, iniziava la sua carriera di professionista dell’antimafia, unendosi in società con la figlia di Carmelo Patti, titolare della Valtur, il gruppo nato per la valorizzazione del turismo eppure, le indagini che collegavano la società di Patti a Messina Denaro, hanno avuto inizio nel 1999 fino a portarne al sequestro in quanto, ritenuta strumento di riciclaggio per il patrimonio del boss di Castelvetrano, suo concittadino.
Oggi Antonello Montante è ai domiciliari per problemi di salute quelli che ricorrono spesso nei condannati eccellenti, le famose “condizioni incompatibili con la misura cautelare”; singolare che nelle motivazioni che ne hanno stabilito l’uscita dal carcere, leggiamo che “il pericolo di inquinamento probatorio si è affievolito”.
Affievolito non vuol dire sparito e per un soggetto cosi determinante negli affari sporchi siciliani serviva forse maggiore cautela.
Torna alla mente un altro soggetto determinante per gli affari della mafia, Vito Ciancimino. Secondo le ricostruzioni del figlio Massimo, quando il padre stava ai domiciliari, riceveva frequentemente visite da uomini delle istituzioni, delle forze dell’ordine, dei servizi segreti e, persino le visite di quello che era all’epoca il latitante numero uno: Bernardo Provenzano.
Nonostante vi fossero telecamere nascoste finalizzate alla registrazione di tutti i movimenti intorno all’esponente democristiano punto di riferimento dei corleonesi per affari miliardari, non si è mai trovata traccia delle visite del boss di Cosa nostra morto 3 anni fa.
Confidiamo vi sia più attenzione per i movimenti intorno alla residenza di Montante, certi legami sono indissolubili e necessitano di contatti e incontri a 4 occhi. Di “dimenticanze” e “negligenza” sono pieni gli archivi che trattano indagini per favoreggiamento alla mafia a carico di uomini di Stato infedeli.
Non ci sorprenderemmo ma la misura è ormai colma.
Vorremmo inoltre capire perchè proprio il Viminale con a capo Matteo Salvini, leader della Lega, accogliente partito in cui hanno trovato casa Arata e company, non si è costituito parte civile nel processo a carico di Montante non essendoci ad oggi, plausibili ragioni per giustificarne la decisione.
Risposte che il ministro degli Interni dovrà dare in Commissione Antimafia e immaginiamo, viste le pessime amicizie e i pessimi collaboratori della Lega, con non poco imbarazzo.