Sono passati ventisette anni dagli attentati di Capaci e via D’Amelio, un arco temporale decisamente sufficiente per assimilare quanto avvenuto e porre in essere le dovute e necessarie iniziative volte a cambiare rotta e a dare una impronta diversa alla nostra vita.
Ciò che si intende mettere in evidenza con questa breve riflessione non è il mancato raggiungimento, per varie ragioni, dell’obiettivo principale del “fare giustizia” e dell’ottenere “verità”. Di questo, infatti, si sta occupando la magistratura con le ultime indagini sugli ormai noti fenomeni della “trattativa Stato-mafia” e dei “depistaggi”.
Si vuole evidenziare, invece, la assoluta impermeabilità delle nostre vite e del nostro modo di agire quotidiano rispetto al sacrificio di quelli che molti di noi definiscono “eroi”.
Invero, è quasi come se, dopo il breve momento della “commemorazione”, ci dimenticassimo di loro e tornassimo a giustificare le nostre “ambigue” condotte senza problemi di sorta.
È questo, forse, il prezzo che la nostra società deve pagare per non aver saputo tramutare quanto fatto e detto dai Magistrati Falcone e Borsellino in cultura e modello di vita, relegando il tutto a mero ricordo da far riaffiorare solo in determinate occasioni.
I recenti scandali che hanno riguardato due importanti istituzioni del nostro paese, ossia l’Università e la Magistratura, confermano questo dato e richiamano alla nostra memoria una delle ultime e profetiche frasi pronunciate dal Giudice Paolo Borsellino poco prima di essere barbaramente assassinato dalla mafia.
Ventisette anni fa, il dott. Borsellino, ricordando il suo amico e collega dott. Giovanni Falcone, la dott.ssa Francesca Morvillo sua moglie e gli uomini della sua scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, morti per mano mafiosa nella strage di Capaci, pronunciava queste parole: “Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro. Questo debito dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera, rifiutando di trarre dal sistema mafioso tanti benefici che possiamo trarne, anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro, facendo il nostro dovere”.
Dalle meravigliose parole del dott. Borsellino emerge, con estrema evidenza, un programma culturale.
È chiaro, infatti, che la mafia, prima ancora di essere espressione del crimine, è una deformazione culturale della nostra società. Una stortura per combattere la quale non sono sufficienti i rimedi giuridici, ma è necessaria una rivoluzione culturale che generi proprio dal sacrificio che si è consumato ventisette anni fa.
Chi avrebbe mai immaginato che due mondi quali l’Università e la Magistratura, su cui i Giudici Falcone e Borsellino avevano puntato tutto, sarebbero apparsi come principali artefici della negazione del loro sacrificio.
Due mondi nei quali la logica dell’utile e del comodo si contrappone, troppe volte, a quella della correttezza e dell’onestà.
È davvero doloroso ascoltare la ormai nota e terribile frase “Vediamo chi sono questi stronzi che dobbiamo schiacciare…” pronunciata da un docente dell’Università di Catania durante un colloquio con un “candidato che doveva vincere”.
Ancora più doloroso è il silenzio assordante del giovane candidato che ascolta con cinismo le parole pronunciate dal docente e decide di piegarsi alla logica del comodo.
Accadimenti del genere sono frutto, senza alcun dubbio, di un modello culturale individualista che va affermandosi con sempre maggiore preponderanza nel nostro tempo.
In una società che ci abitua, sin da piccoli, a lottare per prevalere, ad ogni costo, sugli altri, è conseguenza inevitabile l’affermarsi della logica del comodo su quella dell’onestà e della correttezza.
È proprio contro questo sistema culturale che il dott. Paolo Borsellino si scaglia, proponendo un modello culturale che si rivolge non soltanto a determinate istituzioni o a determinati ceti, bensì ad ogni cittadino
Quante volte, nel nostro agire quotidiano, sarà capitato a ciascuno di noi di entrare in contatto con certe logiche che garantiscono un risultato facile, veloce e immediato in cambio di favori!
Quante volte, pur consapevoli di immetterci su di una via sbagliata, abbiamo scelto di piegarci a queste logiche, pur di raggiungere l’obiettivo, scavalcando e ledendo la posizione di altri!
Un modello culturale distorto, quale è quello che si sta affermando negli ultimi tempi, indebolirà progressivamente – come sta facendo già – il prestigio delle nostre istituzioni, portando contestualmente tutti noi ad accettarlo senza opporre alcuna resistenza.
In sostanza, “si impara a chiamare sistematicamente le cose con un altro nome, a camuffarle nella misura in cui non si possono occultare, a lasciare che siano trasparenti solo nella misura in cui la loro visibilità non nuoce ai propri interessi” (A. Signorelli).
Ci si chiede, a questo punto, se sia possibile elaborare una soluzione, un rimedio, per opporsi all’affermazione repentina di un modello culturale che fa progressivamente perdere di vista il valore universale della giustizia.
Il dott. Paolo Borsellino, ventisette anni fa, ha risposto a tale interrogativo, individuando nell’adempimento del proprio dovere l’arma letale della logica del comodo.
Dello stesso avviso era il dott. Giovanni Falcone, il quale era solito ripetere che “occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana”.
È chiaro che solo seguendo questa strada può realizzarsi quel profondo cambiamento culturale tanto atteso.
È necessario, però, che ognuno di noi faccia il proprio dovere, senza limitarsi a scaricare il barile della responsabilità su altri.
L’operato e le parole dei Magistrati Paolo Borsellino e Giovanni Falcone devono diventare stile di vita per ciascuno di noi.
Anche quando basterebbe una piccola “raccomandazione” per raggiungere l’obiettivo e si è consapevoli che senza quella piccola “spinta” tutto è perduto, siamo perciò chiamati a ricordarci del sangue versato dai nostri amati eroi per contrastare tale “sistema mafioso”.
Solo così riusciremo a sentire “la bellezza del fresco profumo di libertà” che ci aiuterà a “rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità”.
Solo così, il sacrificio del dott. Giovanni Falcone, del dott. Paolo Borsellino, della dott.ssa Francesca Morvillo e degli agenti delle scorte Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina e di tanti altri eroi non sarà stato vano e non sarà inutilmente ricordato.
Mattia Arleo