Francesca Scoleri

Pio La Torre, 30 anni dall’assassinio. Il figlio Franco: “Omicidi politici frutto di convergenze di interessi”

A 35 anni dall’efferato omicidio di mafia che tolse la vita a Pio La Torre e Rosario Di Salvo, Themi & Metis intervista
Franco La Torre.

– Dottor La Torre, vorremmo ricordare attraverso le sue parole quel che accadde subito dopo le  9.30 del 30 aprile 1982. L’Italia intera apprendeva la notizia della morte di suo padre dai telegiornali. Lei come la apprese ?

Ero appena entrato nei locali di Radio BLU, l’emittente privata romana che dirigevo, quando il telefono all’ingresso ha preso a squillare. Allora, ho alzato la cornetta per rispondere e al mio pronto – dall’altra parte c’era un collega di un’altra emittente, cui concedevamo i nostri servizi – la voce risponde: avete saputo che hanno ucciso Pio La Torre?
A quel punto, ho riattaccato, ho preso la porta e sono tornato a casa.

– Le battaglie politiche e civili di suo padre, rappresentarono e rappresentano tutt’oggi un nemico scomodo per la mafia ma anche per chi con la mafia fa accordi. Riina e Provenzano, condannati all’ergastolo insieme ad altri boss di Cosa nostra, hanno deliberato da soli l’uccisione di Pio La Torre?

Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, nella sua ultima intervista concessa nell’agosto ’82 a Giorgio Bocca di Repubblica, alla domanda sul perchè avessero ucciso Pio La Torre, la sua risposta fu: Per tutta una vita.
Il processo ha condannato i killer  della cupola di cosa nostra ma non ha consentito di approfondire altri aspetti, quali l’attenzione dei servizi segreti sino a pochi giorni prima dell’omicidio, le interrogazioni di mio padre sulle esercitazioni anti-atomiche in Sicilia  svolte dalle forze armate italiane e da componenti di Gladio e la sua battaglia contro i missili a Comiso.
Come la storia c’insegna, gli omicidi politici in Italia sono il frutto di convergenze di interessi, anche nel caso di Pio La Torre.

– La prima biografia autorizzata dalla  famiglia La Torre sulla vita di Pio La Torre, ha una firma molto prestigiosa sulla prefazione, quella di Giorgio Napolitano. In che rapporti era con suo padre ?

Napolitano, all’epoca, era il responsabile dell’organizzazione del PCI e si occupò delle consultazioni nel partito sulla scelta di mio padre di tornare in Sicilia. Era tra quelli, tanti, che avevano cercato di convincerlo a restare a Roma. Entrambi seguaci di Giorgio Amendola, all’epoca facevano parte dei cosiddetti miglioristi, il gruppo riformista del PCI insieme a Macaluso, Bufalini, Chiaromonte, giusto per citare i più importanti. Anche se mio padre non amava le etichette e si riteneva un uomo libero di esprimere le sue opinioni, anche se in contrasto con quelle del gruppo. Non a caso fu uno dei più stretti collaboratori Enrico Berlinguer.

– Il fatto che la legge  più significativa contro la mafia, la legge che introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di associazione di tipo mafioso  e le conseguenti  misure patrimoniali, porti il suo cognome, ha reso la vicenda del suo allontanamento da Libera che detiene un vero e proprio monopolio in materia di beni confiscati, particolarmente singolare. Cosa non ha funzionato al punto da determinare il suo allontanamento peraltro, con un sms ?

Libera è un’associazione che ha meriti grandissimi, che si è fatta carico, da oltre vent’anni, di mantenere alta l’attenzione sulle questioni delle mafie, svolge un’opera straordinaria di supporto ai familiari delle vittime innocenti e promuove attività significative sul fronte dei beni confiscati, tanto per citare alcuni dei più significativi tra gli ambiti d’intervento dell’associazione. Rispetto i beni confiscati, il monopolio, se così si può definire, riguarda la sua straordinaria capacità di elaborazione, proposta e monitoraggio sul tema e non, come affermato in maniera erronea, la gestione dei beni. Infatti, a fronte delle migliaia di beni assegnati a diverse centinaia di associazioni, cooperative ed enti, che nulla hanno a che fare con Libera, questa ne gestisce, in tutto, meno di dieci.
Libera è cresciuta tanto dalla sua fondazione nel 1996, può contare sul sostegno di migliaia di attivisti, ha una rete di presidi diffusa sul territorio ma non si è ancora consolidata la sua capacità di promuovere un gruppo dirigente adeguato, che stenta ad affermarsi a fronte di un leader carismatico, come don Luigi Ciotti.
Non avendo potuto avere un confronto sui motivi della sfiducia nei miei confronti, posso solo immaginare che sia legata ad una questione della  mancanza di un libero e franco confronto all’interno dell’associazione.

– Un ampio abuso della parola “antimafia”, determina oggi un alone di sfiducia verso tutte le realtà che si dichiarano in tal modo. Posto che dovrebbe appartenere a qualunque soggetto e a qualunque realtà l’identità antimafiosa, come si sta ponendo lo Stato verso le ormai innumerevoli vicende in cui il cosiddetto antimafioso, sia esso soggetto fisico o giuridico, adotta e persegue comportamenti mafiosi?

Il contrasto alle mafie non è nell’agenda politica del Paese e ciò determina una scarsa attenzione da parte delle classi dirigenti. A riprova di ciò, l’attesa, ormai lunga due anni, che il Senato approvi, in via definitiva, la riforma del Codice antimafia, che ridarebbe slancio ed efficacia al contrasto giudiziario, che è l’unico ambito nel quale lo Stato non ha interrotto il suo impegno. D’altronde, l’esclusivo impegno di magistratura e forze dell’ordine non può sconfiggere questo fenomeno di classi dirigenti, come mio padre definiva la mafia.
A questa situazione si aggiungono alcuni tristi episodi che hanno visto coinvolti figure di rilievo, anche istituzionale, dal Presidente della Camera di Commercio di Palermo Heller, esponente dell’antiracket accusato di estorsione, al Presidente di Confindustria Siciliana Montante, già reponsabile legalità di Confindustria nazionale e componente  del direttivo dell’Agenzia Nazionale per la Gestione dei Beni Sequestrati e Confiscati, sotto inchiesta della Magistratura per reati di mafia, alla Presidente del Tribunale delle Misure di Prevenzione di Palermo Saguto, rimossa e sotto inchiesta del CSM per “mala gestione” dei beni.

– “…l’antimafia come strumento di potere. Che può benissimo accadere anche in un sistema democratico, retorica aiutando e spirito critico mancando.” Leonardo Sciascia a quale soggetto di potere oggi, in Sicilia e nel resto d’Italia, attribuirebbe queste parole?

Mi sembra eccessivo e, d’altronde, anche Sciascia ammise di aver esagerato. Il problema dell’Italia resta la mafia e non l’antimafia.

– Dottor La Torre, questo Paese ha dimenticato di avere un debito di riconoscenza nei confronti di persone che come suo padre, hanno offerto in sacrificio la propria vita pur di fare cose concrete per il miglioramento della vita democratica, per lo Stato di diritto, per il bene comune. Come possono gli italiani, raccogliere l’eredità di Pio La Torre, di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino e di tanti altri, continuando ad avere atteggiamenti di indifferenza verso le collusioni mafiose, verso una classe dirigente che non fa più mistero dei propri contatti con la criminalità organizzata parandosi all’ombra del “garantismo”?

Molte italiane e molti italiani hanno sviluppato una forte coscienza e altrettanto impegno, si tratta di continuare ad allargare il fronte e di farlo capire alle nostre classi dirigenti, in ogni ambito della nostra vita democratica. Un movimento popolare, dal basso, se convinto e coeso può fare molto in tal senso.