Erano passati 57 giorni, le immagini dell’ autostrada squarciata che aveva divorato Giovanni Falcone, ci restituivano persino l’eco dell’esplosione tanto erano violente. Chiunque le abbia viste, sa in cuor suo di non poterle mai più dimenticare. Non era il Libano, non era Israele, a quelle immagini eravamo già assuefatti nel 1992, ma era la Sicilia, era Italia. Erano passati 57 giorni e forse ci si aspettava ne passassero altri 57 e altri 57 ancora. Sembrava impensabile che la mafia tornasse a colpire di nuovo a poche settimane di distanza da una strage terrificante, ma accadde. Impensabile per tutti, tranne che per Paolo Borsellino.
Sapeva e andava avanti, sapeva e velocizzava il suo lavoro e le sue indagini per non perdere quel tempo che sentiva cronometrato, sapeva e cercava di proteggere la sua scorta. Si, il protetto proteggeva perché avrebbe voluto risparmiare quelle vite che sentiva appese ad un filo come la sua. Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, Paolo Borsellino tentava ogni giorno disperatamente di proteggerli uscendo di casa alla stessa ora per comprare giornale e sigarette “da solo”, senza informarli, senza chiamarli. Quelle giovani vite, Borsellino non voleva portarle incontro al suo destino. Non riuscì ad impedirlo.
A 18 anni guardavo a questi fatti con estrema sintesi, vedevo i buoni da una parte e i cattivi dall’altra e a quella notizia, a quelle immagini, a quel fumo nero che inghiottiva i palazzi, pensai che l’unica soluzione era l’esercito, una massa di militari mandati dallo Stato “buono”, a presidiare la città. Essere giovani e inconsapevoli è bello finché dura, poi, c’è l’amaro risveglio.
Lo Stato era complice ed era in Via D’Amelio quel giorno ad assicurarsi che Borsellino ormai non era più un problema. Lo Stato era complice perché aveva ignorato la richiesta di disporre la rimozione dei veicoli nella zona antistante l’abitazione della madre di Borsellino, via D’Amelio appunto. Lo Stato era complice perché quel traditore occulto che tramava nel palazzo di giustizia di Palermo non era la mafia con coppola e lupara. Lo Stato era complice perchè mentre i giudici decretavano condanne per i mafiosi, rassicurava sul fallimento di quelle condanne e chiedeva fiducia e tempo a quei mafiosi. Lo Stato era complice perché sorvegliava a vista Borsellino ma non per proteggerlo, bensì per spiarlo. Lo Stato era complice perchè dovendo scegliere se fermare gli accordi in corso di trattativa con la mafia dei sanguinari corleonesi e l’ostilità di Borsellino verso quegli accordi, scelse di eliminare l’ostilità.
Lo Stato “è” complice oggi perchè lo è stato ieri. E’ il frutto di una scelta irreversibile che a pioggia genera sempre nuovi accordi, tornando di tanto in tanto sui vecchi.
La peggiore forma di commemorazione a quest’uomo, la stiamo vivendo proprio oggi. Il Parlamento, ostile al processo sulla trattativa Stato-mafia e al suo titolare Nino Di Matteo, si preoccupa di come possano stare stragisti e terroristi al regime del 41 bis. Il figlio di Totò Riina, occupa la prima rete pubblica col suo libro “Riina family life”, per donare allo spettatore l’immagine linda di una famiglia “sfortunata vittima di pregiudizi”. Il super latitante Messina Denaro che presiede l’attuale cupola siciliana ancora libero come l’aria, muove affari milionari dalla Sicilia alla Lombardia, ma nessuno lo vede e lo sente. E poi c’è il fulcro di queste ipocrite commemorazioni : l’antimafia dall’autocertificata credibilità. Ne abbiamo viste tante e tali in questo ultimo anno che, il minimo che si possa fare, è abolire il termine “antimafia”. A che serve ? Ma non dovrebbe essere normale per tutti noi essere “antimafiosi” ? Perché metterci l’etichetta ? Chi non si dichiara tale è pro mafia ?
Abbiamo visto l’antimafia che fa affari con la mafia, l’antimafia che nasconde la reale gestione di patrimoni da miliardi di euro, l’antimafia che allontana chi chiede trasparenza, l’antimafia che si crea feudi di potere, l’antimafia del tengo famiglia, l’antimafia delle parate, l’antimafia delle passerelle, l’antimafia che vive di rendita dei cognomi prestigiosi, l’antimafia che tratta con la politica per salvaguardare etichetta, potere e controllo o, per dirla in breve, la mafia travestita da suo nemico.
Commemorare non basta e nella presentazione odierna, non serve. Onorare memoria serve, onorare le idee e il coraggio, onorare il nome, onorarne la vita e la dedizione, onorare gli occhi di chi consapevole andava incontro a morte certa pur di donare pezzi di verità storica e giudiziaria al proprio Paese, a quegli ingrati che accettano oggi di sottostare al governo più corrotto d’Europa, dimenticando che Borsellino chiedeva istituzioni sgombere da imbarazzi e compromessi. Paolo Borsellino vive solo nell’onorata memoria che ridà vigore alla voglia di contrastare la cultura mafiosa e di ripulire le istituzioni. Solo in questo.