Interceptor

Matteo Messina Denaro – Giacomo Di Girolamo: gli “Invisibili”

In quanto criminologo  fai-da-te, abitualmente ho a  che  fare con criminali incalliti  e serial  killer. In questa mia  veste ho recentemente captato un fattaccio palesato  ai militari dell’arma  il  giorno 12 ottobre 2018,  quando un tale ha denunciato al Comando Carabinieri di Torino  un’inquietante  minaccia  di  stampo  mafioso. Del seguente tenore:

Penso che sia il momento di ridarmi i miei soldi. Ho alcuni amici a Palermo che altrimenti verranno a prenderli in poche settimane. È una tua scelta, continua il tuo gioco o semplicemente paga”.

 

Non  siamo  a Bagheria o Corleone e neppure a Mezzojuso. E’ la  bella Torino del profondo nord.  Chi minaccia  non  è  neppure un  siciliano, ma è un cittadino olandese. E non  siamo  nell’immediato dopoguerrra (la  denuncia è di pochi mesi fa). La  prima  cosa  che ho  pensato è  che il  “fascino”  del  malavitoso è proprio duro a morire. Ancor oggi fa  figo  atteggiarsi a mafioso. Dà  un  tono. Dopotutto, nell’immaginario  collettivo, anche la mafia ha una sua morale, quella  della romantica cultura  mafiosa che  offre protezione a piccoli ed  indifesi commercianti in cambio d’un piccolo compenso. Ad alimentare  la  leggenda ha indubbiamente contribuito pure  lui, Mr. MMDMattia  Messina  Denaro, il  più  importante latitante di Mafia, che ha  stecchito così tante  persone che  potrebbe  riempire  un  cimitero (più della famigerata MMD, nota  metanfetamina che  casualmente porta  le  stesse  iniziali). Poco  importa se  il  globo  terracqueo ha  qualche  migliaio di  persone  in  meno, sterminate, uccise, sparate, crivellate. Attività che comunque, a ben  vedere, ha offerto un fattivo apporto al PIL (prodotto interno  lordo) visto il  crescendo del business legato alle  esequie del caro  estinto.

Vorrei  subito provare a sfatare  una  leggenda metropolitana. Chi  pensa  che  lui  sia  un cretino si sbaglia di  grosso. Senza  dubbio Matteo Messina Denaro è  un  uomo molto colto (mai sul  fatto) infatti si è  laureato alla Facoltà del Non Rispondere (noto Ateneo universitario) nonché alla  Facoltà di  Scienze Mortorie, con pieni voti, anche  se la sua vera passione sono sempre  state le funzioni trigonometriche, in particolare è affascinato dal coseno (e  soprattutto la tangente). Alcuni ritengono che abbia anche fatto del bene a tantissime persone, un bene tangibile, palpabile, di calibro molto grosso.

C’è chi vorrebbe ringraziarlo per l’attenzione che  ha dedicato ai tanti malcapitati ma Matty (mi scuso se oso confidenzialmente chiamarlo così), sempre schivo e modesto, ha saputo anche mettersi da parte al momento giusto, isolandosi dal resto del mondo e va detto che da 25 anni a questa parte ci sta riuscendo benissimo. Secondo il Guinness World Record il talentuoso Matty  da  un  quarto di secolo è l’incontrastato primatista  mondiale  di nascondino. Tant’è  vero che anche  su  Youtube son  comparsi  post inneggianti: “Forza  Padrino, col  cavolo  che  lo  prendete” (grave reato di ortaggio a  pubblico  ufficiale). Qualcun s’è  arrischiato a volerlo  far Santo anche da vivo ma lui modesto come sempre ha dichiarato in  più occasioni: “…se mai avessi a divintari santo, vulissi la coppola al posto dell’aurreola…” facendo capire chiaramente che se San Francesco parlava ai lupi, lui parlava con le  lupare.

Le  prove della sua  colpevolezza ci sono, e son  tante, non  Mangano, ma lui ha pesantemente redarguito l’informazione  che s’è ostinata a volerlo far passare  per quel losco figuro  ch’è: «Pasta, noi siggiliani semo stanghi ti guesta nomea che ti fatto imbedigge lo scsbiluppo della nosgtra piella regghione». Ok  va  bene Matty, non t’alterare, ho  recepito  il  messaggio.  «Grazie a vossia! Ma cu sii, nu sbirro?» «No, no, Matty tranqui», ma non faccio altre domande (intuisco che la mia curiosità comincia a dar fastidio). Non  è  l’unico contrariato. Anche un’esimio giurista è rimasto  infastidito  dal  mio  humor crepuscolare per   un’articolaccio che lambisce la classe forense. A Lui mi piacerebbe segnalare un vecchio  proverbio cinese che dice: “un  uomo  che  non sa  ridere non dovrebbe  mai  aprire  un  negozio” (figuriamoci  uno  Studio  Legale). Fortunatamente l’ingegneria  del buon’umore ha di recente scoperto che sorridere di tanto  in tanto è un carburante che libera  endorfine e aiuta a star  bene (anche i  business  lawyer).

Provo allora a far un po’ di archeologia  con un balzo  nel  passato. Come  molte cose del presente  anche  la Mafia  ha  radici lontane  che  affondano  nella  notte  dei  tempi.  C’è  chi  la  fa  addirittura  risalire  al  Medio Evo (o  giù  di  lì), com’ha  egregiamente sviscerato l’autore  di  Themis  & Metis nel  suo  articolo: “Breve disamina del fenomeno mafioso del contesto rurale siciliano”, per  cui non  proietterò altre mie teorie  a vanvera, semplificazioni  storiche e/o evitando soliti  clichè sull’argomento.

Come sapete l’Europa d’un tempo era invasa  da  barbari, saraceni e orde  vandaliche. Mentre gli Unni e gli altri si  divertivano a spargere diserbante per non far ricrescere il manto erboso, i  Signori del  Feudalesimo non si perdevano  in  ciance:  costruivano  castelli e  feudi  ben  fortificati,  possedevano cavalli  addestrati,  belle armature, tiravano di  scherma, e  quindi, da bravi filantropi  qual’erano, offrivano  protezione al  popolino.  In  cambio  chiedevano solo un po’ d’obbedienza  e un pochetto di rispetto. Un’impostazione, diciamo,  che aveva  un  vago sapore  mafioseggiante ma non  per questo alcuna sfruttanza.

In  un  certo senso era la  società medioevale che li legittimava. Non avevano la coppola ma pure loro,  come i Cavalieri Templari al  tempo dei  Crociati,  avevano un  forte codice  d’onore.  I  ‘Messeri’  oltre  ad esser  circondati  di  rispetto  avevano sempre l’armatura fiammante, specialmente i due  guanti di metallo rodiato,  sempre tirati a lucido. Perché vi chiederete. Per le espressioni di gratitudine dei servi della Gleba che  continuavano ossessivamente  con  la  solita  cantilena: “baciamo le mani”. Casualmente proprio  in  questo  tempo nasce  la  Santa Inquisizione, quell’era oscura in  cui  tutti  dovevano  pensarla  nello  stesso  modo e  chi  faceva  discorsi un pò strani  veniva subito persuaso  con metodi convincenti. L’alchimia era  ancora  agli albori  per  cui le  proprietà scioglienti dell’acido  erano ancora  addavenì in  compenso venivano praticate delle sane  torture e si potevano purificare i rei bruciandoli al  rogo. Come vedete cambiano  le  epoche ma la  formula vincente della  ‘caccia  alle  streghe‘, rimane pressapoco invariata.

La  Sicilia. La splendida Sicilia anche nel tardo Evo è sempre stata  terra  di  infinite contraddizioni e bellezze. Ancor  oggi rimane sospesa tra passato e futuro, condannata ad ignobili  pregiudizi atavici che  perdurano nel presente  (“Mafia is  wonderful”) passata alla storia per strumenti d’antica  beltà ed eleganza che  ormai  appartengono  solo al  passato (la  ‘Piritera‘  è una  delle  invenzioni più bizzarre ed  originali che  mi sia mai capitato di  vedere). Ciò non scalfisce d’un micron la stupendità della  bella Sicilia. La Sindrome di Stendhal (quello stordimento  che aggredisce i viaggiatori davanti alla grandezza delle  arti), meritava che nascesse proprio  qui, non solo perchè questa terra ha  dato i  natali (e  le  pasque)  ad alcuni dei personaggi più illustri d’ogni  tempo, ma perché possiede  un concentrato di capolavori senza eguali al mondo, perché “è proprio in  Sicilia che  si  trova  la  chiave di tutto, della bellezza, del male e  le  radici  della  società(Calabrò). Bellezze che non  smettono tutt’oggi di sconvolgere  e  d’affascinare,  come sostiene  anche  l’esimio  Prof. Vittorio Sgarbi (dotto critico d’arte ed indiscusso cultore  del bello).

Forse avrete notato  che  il mio timido tentativo d’ironia su  un’argomento così serio, và molto  al  di là  di intellettualismi e  volgarità. Ho sempre sentito  dire  che la satira  può  avere un’utile funzione sociologica per   veicolare verità, seminare  dubbi, smascherare  ipocrisie,  attaccare  pregiudizi, metter  in  discussione convinzioni. Ma  fare dello  spirito  parlando di   Mafia ha senso?  Non  credo proprio,  penso di no.  So  che  porta  male. Vi cito l’esempio d’uno sfigato articolista che scriveva sul sito di Indymedia Piemonte, tal Mr. Bean – Interceptor. Ironizzava in modo un pò denigratorio, infatti è stato destinatario d’una mia denuncia per diffamazione a mezzo stampa (non per questo ho preteso che s’oscurasse il suo sito d’informazione). Come noterete oggi porto lo stesso nikname (è un naturale senso di solidarietà col nemico morto sul campo). Perchè penso che in democrazia ognuno – a suo rischio e pericolo – è liberissimo d’esprimere ciò che pensa. E quando ho letto che Indymedia è stata chiusa per la querela d’una multinazionale son rimasto piuttosto basito.

Ebbene, il Mr. Bean-Interceptor di Indymedia ha avuto la malaugurata idea di titolare scherzosamente “Mafioso è bello” pubblicando il memorandum riservato d’una prestigiosa shipping company con l’intento di dimostrare che nel far affari s’ha una marcia in più se ci s’associa in joint venture con partner di chiara caratura mafiosa.

E  non  s’è  accontentato di scriverne  uno  solo, perché ha pubblicato più d’un  articolo  cercando di descrivere come  non si  strizzi  solo  l’occhiolino all’azienda  ritenuta  mafiosa, ma non si disdegni neppure  d’adottare “una politica aziendale  stabilmente caratterizzata dall’abituale ricorso a scorrette pratiche commerciali, spesso sconfinanti nei reati di corruzione, turbativa d’asta e illegale intercettazione di comunicazioni e conversazioni“.  Come  ha rivelato un’articolo di “Repubblica” questi reportages di  Indymedia hanno  suscitato un vespaio di prevedibili polemiche, nonché querelle. Pardon, querele (nota  arma  di  distrazione  di  massa).  Infatti la multinazionale denunciando il sito  di Indymedia Piemonte per  diffamazione ha giustamente ottenuto l’oscuramento dal Tribunale di  Milano (tutt’oggi il  sito è irraggiungibile). Questo insegna che se  non  si vogliono bavagli certo spirito e  umorismo è meglio non farlo.

A proposito di “intercettazioni di comunicazioni”, visto che è tutt’ora  aperto  sui  media il  dibattito su come  utilizzi  le  sue  tecnologie una chiacchierata società italiana di Hacking per osteggiare  chi  fa libera informazione (v. caso Regeni, Khashoggi, e molti, molti, molti, molti, moltimolti  altri),  segnalo  – per  chi fosse interessato – i  risultati  di un’inchiesta  condotta  dal  sito  Wikileaks che ha pubblicato documenti inerenti un’indagine della società  Hacking Team, responsabile della «tecnologia più malvagia del mondo» (parole non mie ma dell’AD  David Vincenzetti) condotta guardacaso contro  il sito  di contro-informazione  di Indymedia ed il  suo autore Mr. Bean – Interceptor (investigazione commissionata ad Haching Team  proprio da  un ex dirigente della multinazionale  che ha chiesto il sequestro del sito  di  Indymedia).

Un clamoroso scoop passato  sotto silenzio. Il  caso  è  stato  anche  segnalato  all’Autorità Giudiziaria da  un’ex  agente  del  Sismi (ex  servizio segreto militare ora  AISE) sotto  processo  per  un  file  pedopornografico rinvenuto in  uno dei  suoi  computer  e sotto  inchiesta  in  una  mezza  dozzina di processi in  tutt’Italia per  “fake evidences”  di  Indymedia rinvenute sui  suoi  computers dei servizi.

Io  naturalmente, data  la  serietà  della  materia, prudenzialmente m’asterrei dal  formulare  alcun  giudizio e  dall’osare qualsivoglia gratuita forma  d’ironia.  Però, senza offendere le alte qualità morali di prestigiose aziende con volgari insinuazioni,  un  paio  di  domande  mi piacerebbe davvero porle (questo magari sarà oggetto  d’un  prossimo approfondimento).  In tema  di trasparenza dell’informazione  anche  porsi  qualche  domanda  di tanto in  tanto  potrebbe servire allo scopo.

Tornando  al tema  della “mafiosità” son personalmente convinto che il  disfacimento  dell’etica  e della morale  ormai è parte integrante, assolutamente naturale, della nostra condizione umana, così come l’acne giovanile, l’alito  di fogna o la puzza ai piedi. Se lungo l’arco dei millenni la  corruzione è  sopravvissuta come valido strumento d’equilibrio sociale un  motivo  dovrà  pur  esserci. Come sostiene  Roberto  Scarpinato (procuratore  antimafia),  la straordinaria continuità storica della corruzione fa capire quanto questa e le  culture  mafiose siano legate  indissolubilmente.  A questa  dobbiamo buona  parte  dei progressi in campo economico, tecnologico ed in ambito sociale. Infatti la  corruzione tutt’ora vien  usata come ultima spiaggia dagli incapaci  che non sono in grado di ottenere quel che vogliono  con  mezzi  leciti,  con il proprio talento e col  sudore della  fronte. Come  spiegano alcuni  antropologi,  è un’elevazione derivante dall’eredità atavica che ci portiamo nel nostro  DNA, tant’è vero che nel corso del Ventesimo secolo la mafia è progredita in vari settori: nell’ambito del sociale, in ambiti economici e soprattutto nel campo del tessile (celebri i suoi ‘pizzi’ fatti  a  mano … ‘armata’).  Comunque bisogna  stare  attenti a non  cadere  nell’equivoco  che le nuove  mafiosità siano  quelle criminali  dello  stragismo, del  tritolo e la  lupara. Oggi,  in  questo bizzarro Paese in cui  viviamo,  c’è quella delle  classi dirigenti,  delle economie  disoneste,   di  questi  sistemi  di  potere che  continuano  a vincere a  scapito degli onesti. Come  dice  un  tale  che  non  gradisce  esser  citato: “quelli son quasi sempre intoccabili e fan più danni delle lupare”. Forse capirete  perché questo è stato il  tema  centrale di  precedenti  articoli, quì  sul blog di  Themis & Metis (scusate il  citazionismo) dove  s’è tracciato l’identikit della  mafiosità  dei colletti  bianchi, dell’alta  finanza, quelli  che  delinquono (spesso  impunemente)  in  giacca  e  cravatta. Non  solo  la  Mafia  del  “Piatto  sporco”.

In  questo  la  mafia è un pò diversa  da  altre organizzazioni  criminali perché  è riuscita a  convivere  in  simbiosi con pezzi  del  mondo della  politica. Non v’è  dubbio che  esagero  nel relegare la  forza  della  mafia al di fuori della  mafia. Dire che questo  sistema di  potere politico-mafioso si   sia  ben mimetizzata dietro gessati doppiopetto di  capitalisti molto meno sinistri di chi latita è semplicemente paradossale, perchè molti di questi personaggi – senza  voler far nomi – benchè  ingiustamente lambiti  da sospetti di mafiosità, in  realtà non hanno  mai avuto nulla a che fare con la mafia  (v. Giulio Andreotti, Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, Carmelo  Patti,  gli Avv.ti Cesare Previti e Francesco Moretti, Rosario Crocetta, Raffaele Lombardo, Vito Nicastri,  Antonello Montante, Totò Cuffaro). Il giornalista Attilio Bolzoni (dell’Espresso) amava raccontare di un’amica cronista (la  famosa fotografa Letizia  Battaglia), che un giorno disse: “devo  chiederti  una  cosa. Noi  ci  conosciamo dal  1978. Sai  io  prima andavo in  giro  per  Palermo e  fotografavo la  mafia  perché  li  vedevo a terra,  durante  le guerre  di  mafia. La  Mafia  era a  terra. C’erano  i  cadaveri. Poi  nella  seconda  metà  degli  anni  80 la  mafia  l’ho vista dietro le sbarre dell’aula bunker dell’Ucciardone e  l’ho  fotografata  là. Adesso  non so  più  fotografarla. Dov’è la  mafia? Non è  più  a terra. Non è  più  dietro  le  sbarre. Dov’è?” Bolzoni gli rispose: “bah, Letizia, vai  alla  Regione  Siciliana… oppure  ti  prendi  l’aereo e  vai  davanti  al  palazzo della  Borsa  di  Milano e  ti  fai  100  foto. Prima o poi un’immagine di  mafia  ti verrà  buona.  Sei  una  grande  fotografa. Naturalmente  l’ho  detto  scherzosamente”.

 

Si intanto scherzando, scherzando Pulcinella diceva  la  verità. Ma  torniamo  a  bomba. Parlavo  di far dello  spirito  parlando di mafia. Anche un  principe dello  sberleffo come Dario Fo (mitico giullare contemporaneo) diceva che: “Quando  un  popolo  non sa più  ridere  diventa  pericoloso”. Voi sapete bene che  i ‘buffoni’  del  Medio Evo, oltre  a rallegrare  le  Corti,  tra una filastrocca e l’altra raccontavano  anche delle verità sgradite  ai  potenti, nascondendole qua  e là in mezzo a favolette divertenti. Era un mezzo per dir delle cose burlandosi di censure e beffandosi  dei Re, senza  per  questo  rischiare di perdere la  testa sotto la  mannaia. Un po’ quello che facevano i cantastorie d’un tempo, diffondendo  – spesso in  dialetto – storie  di grandi gesta  errando di  città  in  città, accompagnandosi con  uno  strumento, senza  per  questo  che qualcuno  fosse preso  dalla smania  di ‘sparare  sul  pianista‘.

Io pochi  giorni  fa,  in  modo molto casuale,  ho incrociato  uno  di  questi  moderni ‘menestrelli’. Un  ‘cantore’  di vicende paesane e cittadine (spesso di  mafia e  malaffari)  che  ogni  giorno, da  anni,  batte  il  territorio palmo a  palmo in cerca di  storie  ‘scomode’ da  raccontare. E’,  come si  definisce  lui stesso, “un  giornalista  a KM Zero”. Un vero  Artista  di  Strada, spero mi passi il  termine (lo  dico  in modo  tutt’altro  che  dispregiativo) che produce informazione  fresca di  giornata, dal  produttore al consumatore  senza  mediazioni,  conservanti aggiunti e  olio di  Palma (neanche di  Montichiaro). La  sua  è  una  filiera  molto corta, senza  i filtri e tutti quei passaggi intermedi che  spesso  annacquano  le notizie.  Si  chiama Giacomo di Girolamo,   siciliano DOC, di Marsala,  un  tipo  davvero  originale  e testardo. Ogni  mattina,  puntuale come un cronografo svizzero,  dalla sua  Radio (Radio RMC 101)  parla al  Matteo Messina  Denaro latitante  dal  1993, a tu per  tu come fossero  intimi,  lanciando  indizi, senza  dar  fiato ai soliti discorsi  stereotipici e/o i consueti luoghi comuni. Come  quando interloquisce  col  Boss  dicendogli:

“ho  scoperto cos’era  la mafia a 14 anni, con un’edizione speciale del TG1.  Quel  sabato sera  finì  con  telefonate  tra  parenti ed  amici  per  chiedersi: hai  saputo? … non è la  Sicilia, forse è  la  Palestina, l’Irlanda  del  Nord, è Beirut, il  pianeta Kripton… hai  visto hanno  ‘scoppiato’ il giudice Falcone. E’ stata l’interruzione  della  mia  infanzia. Il  lunedì  successivo in  un’assemblea  straordinaria  degli  studenti della  mia  scuola, nessuno aveva più voglia  ed  il  coraggio di  prendere  il  microfono  per parlare. Il rappresentante  degli  studenti, per  spezzare  la  tensione cominciò  a leggere degli articoli di  giornale sulla  strage  di  Capaci. Qualcuno  vuole  intervenire? Chiese. Alzai  timidamente  la  mano,  volevo  dir qualcosa. Per  la  prima  volta  anch’io volevo dir  qualcosa  in pubblico. E ciò  che  dissi  fu: ‘dobbiamo  fare  qualcosa!’. Questo  qualcosa venne  dopo  da  sé. Cominciarono  ad  entrare  in  classe i giornali,  li  leggevano, studiavamo  ciò  che avevamo  accanto vicino  a noi:  le  famiglie mafiose, i mandamenti, la  guerra  di  mafia, i  Corleonesi, la  droga, gli  appalti  truccati, le  estorsioni, il riciclaggio del denaro sporco. Di  te  sapevamo  ancora  poco,  Matteo. Il mondo  non  ti  conosceva,  ma  tu  conoscevi  già  bene  il mondo. Eri  feroce  Matteo. Avevi  già  partecipato  ad  importanti  traffici  di  droga, decine  di  omicidi, eppure, noi  non ti  conoscevamo. Lo  Stato  non si  interessava  a  te. Noi ragazzini cominciammo  invece  ad  interessarci di te, dei  mafiosi della  porta   accanto, e a  fare  timidamente  qualche  nome, e  ai  nomi  associavamo  volti.  E  se  Capaci  fu  una  specie di  visione,  nel  luglio  successivo,  la  strage  di  Via  d’Amelio, rappresentò  una  vera  e  propria chiamata alle armi. Quel  giorno  di luglio  era  domenica e  noi  eravamo  al  mare. Le  radio  cominciarono  a  dire: ‘un  botto  a  Palermo’. Come   ‘un  botto  a  Pelermo’? Che  orrore  Matteo,  tu in  quel momento festeggiavi  con  Vito  Mazzara (il  killer  che  tra  l’altro  ha  ucciso anche  Mauro Rostagno) l’inaugurazione  della  sua  nuova gioielleria,  proprio  vicino  il  piccolo  Municipio  di  Val  d’Elice. Festeggiavi con  tartine, patatine  e spumante. E  avrai certamente  fatto  anche  qualche  brindisi, per  quello  che  era  successo  in Via  d’Amelio. E  avrai  pensato  a  come  fottere la terra  dopo  aver  scoppiato anche Borsellino. E’  nel  luglio  del  1992  che  comincia  il  tuo  conto  alla  rovescia verso  la  latitanza, Matteo, con  la  strage  di  Via  d’Amelio. Poi  ci  sono  le  stragi  del 1993. Dal 2  giugno  di  quell’anno sei  ricercatissimo  ed  invisibile. Nascono  così comitati  ed  iniziative più  disparate: ‘lotta  alla  mafia, lotta  alla  mafia, lotta  alla  mafia’. E dopo? Tante  fiaccolate, tanti  cortei, tanti  lenzuoli, tante  primavere, tante  manifestazioni, tante petizioni, tante  lezioni, tanti  libri, tanti  film, tante  vittime, tante  tessere di  Libera, tanti  pellegrinaggi, tanti  processi, tanti  slogan, tanto  scrivere. Morale? Un  Presidente  della  Sicilia  incarcerato  per  mafia. Il  suo  successore finito  a processo per  mafia.  Il  successore  del  successore molto malato  di  antimafia (un’autentica  frenesia  di  appartenenza). E  dopo  tanto  tempo ad  un  certo punto, mi accorgo  che  qualcosa  è  cambiato. Oggi  dico  ‘antimafia’ e  penso: vuota  ritualità, protagonismo, sensazionalismo, corsa  ai  finanziamenti, bugie. Penso che le  assemblee  scolastiche  per parlare  di  mafia  son  diventate  una  buona  scusa per  non  fare  più lezione. Le  scuole  hanno  cominciato  a  ricevere  soldi  a  palate per  progetti  sulla  legalità. Sono  cominciate  a  spuntare  decine  di  finte  associazioni  antiracket.  Abbiamo  cominciato  a  scoprire anche  finte  vittime di  mafia. Abbiamo  scoperto  che  il sindaco  che  la  mattina faceva  appelli  antimafia, la  sera  faceva  affari  con  la  cosca locale. L’azienda  sequestrata  al  Boss,  che  dava  lavoro  a  decine di persone, ha  chiuso e  abbiamo  scoperto che  l’unico  che  si  è  arricchito in  quella vicenda (come  in  altre) di  mala  gestione  dei  beni  sequestrati è  stato  proprio l’Amministratore  Giudiziario. L’imprenditore  che  ha  lanciato  la  svolta  della  legalità nell’associazione  degli  Industriali è  finito  indagato  per  mafia… e mi  rendo  conto che  tutto questo è stato  soltanto  una  parodia  di  quello  che avevo  sognato”.

Dopo  questa  presentazione non  potevo  non raggiungerlo subito (via  Skype) per  fargli  qualche domanda e  uno  scambio di  riflessioni…

Ciao Giacomo?   Ci  sei …?

“…  … …”

Giacomo? Non  Ti vedo?

“…  … …”

Eccomi...”.

“Ciao Giacomo ho  letto  alcune cose che hai  scritto/detto e vorrei chiederti: parlando  di Mafia sarebbe sin  troppo  facile   cedere  alla  tentazione  di  facili  modismi discorsivi. Ho notato che tu affronti il  tema della mafia in generale con  modi diversi di argomentare”.

Forse perchè non  sono uno  ‘scrittore  antimafia’, (come  se  fosse un  marchio  Mozzarella DOP...) … e già  in  partenza mi  son seduto dalla  parte  del torto perché  tutti  gli  altri  posti  erano  occupati…” (cita Brecht) “… Se  l’avversario, il  nemico  non  lo  conosci  non  potrai  mai  combatterlo, o  meglio, se  cercherai di  combatterlo perderai  sempre. La Mafia raccontata 40  anni  fa  non  esiste  più, perché  quella  Mafia  è  un  fenomeno  vivo  in  continua evoluzione, che  si  trasforma  giorno  per  giorno. Cambia  pelle, cambia  vestito, si mimetizza  in continuazione. Quando la vai a cercare  nei  cantieri  è  nell’alta  finanza. Quando  la  cerchi nei  campi  è  nelle  città… Noi  purtroppo abbiamo smesso di studiare  mentre  i  mafiosi invece continuano  a studiare… Matteo Messina Denaro  probabilmente  non  comanda  più e  chi  comanda  ora è  al  riparo perché tutti  gli  sforzi  investigativi e   d’intelligence son  tutti  concentrati su  Matteo… mi  spiace  solo  constatare che i  vecchi concetti, ormai superati,  la classe  politica continua a  considerarli documenti  di straordinaria  attualità...”.

Ti domando: “In  che  senso  non studiamo  più e la  Mafia  si?  Giacomo fammi un’esempio”.

Ti  faccio  subito  un’esempio. Qualche  tempo  fa hanno  attentato alla  vita  del Presidente del Parco dei Nebrodi, Antoci. Il  giorno  dopo  che  cosa  ci  siamo  detti  tutti? Ah  la  Mafia  dei  pascoli, la  mafia  antica ritorna  etc  etc. Io  nel  frattempo,  in  questi  giorni  sto  raccontando in radio  quello  che  avviane  a  casa  mia. L’uccisione  del  maresciallo Mirarchi a  Marsala che  è  diventato  un  caso  di  cronaca nazionale. Questa  uccisione è  collegata ad  una  battaglia  che  i  Carabinieri  fanno contro  i  coltivatori  di  marijuana. Da  noi  succede questo,  dei miei vicini  di  casa  che hanno  dei  pezzi  di  terreno (dato  che  l’una  ormai neanche  regalata  l’accettano) stanno affittando  questi  terreni a  dei ‘benefattori’ i quali  se  li  prendono, pagano  tanto, fanno  piantagioni  di canapa (che  da  noi cresce  benissimo). Tutti  piantano Canapa e  melograni, c’è quest’abbinamento. Dopodichè i rumeni  vengono utilizzati  per  la  guardiania  ed  invece i  magrebini per  la  coltivazione. Il  sistema  è questo. Io  questa  cosa – a mio rischio e  pericolo – la  racconto  da  un  anno  e  mezzo. In realtà  nella speranza  che  qualcuno faccia  qualcosa. Devi   sapere  un  dato, che  una  piantagione  di  marijuana, tipo 800  piantine,  rendono  anche  1,2  milioni. Stiamo parlando  di  numeri  importanti. Che  c’entra  sta  cosa  con  Nebrodi? Centra,  perché  mentre  giravo per  le  campagne per  capire cosa  stava succedendo, c’era  uno  della  zona il  quale  mi  fa (parlando  di  terreno  agricoli e  mafia):  ‘io  con  queste  cose  non  voglio  avere  nulla  a  che  fare  perché  di  computer non  ne  capisco  niente’. E  come?  Noi  ci  raccontiamo  di  questa  mafia  agricola, la mafia  dei  Nebrodi, i pastori mafiosi  etc  etc, e questo  mi  parla  di  computer? Vengo  così a  scoprire di  cosa  stava parlando. Lo  sai  come  fanno  i  mafiosi, nel  Nebrodi e  dalle  mie  parti, ad  individuare  su  quali  terreni mettere le mani? Hanno  messo le  mani  su  un  software della  Regione (che  la  Regione  ha  pagato l’ira  di  dio e non  utilizza e i  mafiosi  si). Questo  software in  tempo  reale ti  dice  chi  ha  quel  terreno, chi  sono  i  proprietari dei  terreni  e che  cosa  c’è. E’  una  specie  di  Google Maps. Ecco  la  Regione non  l’utilizza,  neanche  per  prevenire  gli  incendi, perché  abbiamo  scoperto (e  di  questo  si  dovrebbe  occupare  il  giornalismo) che  in  Sicilia  ci  sono  4  enti dovrebbero  proteggerci  dagli  incendi (la  Protezione  Civile, la  Forestale, la  Regione  Siciliana e Vigili del Fuoco) e  hanno  pensato  4 software  diversi che  non si  parlano  tra  loro. Quindi i  dati  non  se  li  comunicano. I  mafiosi  invece  sanno  mettere  le  mani su  questo  software e  da lì  decidono quali  terreni  aggredire, sanno a chi è  intestato, e  cosa  metterci. Questo  per  dire che  noi  non  studiamo  più ed  invece i  mafiosi  studiano alla grande. Quest’idea  che  ci  facciamo  della  mafia rurale,  antica, etc  etc può  valere  per  i  4  reduci  che  ogni  tanto  arrestano, ma  non  vale  per  tutto  quello  che  c’è  intorno  alla  mafia, che  oggi  rappresenta  il  vero  nodo  criminale  nel  Paese, e  che  noi non  raccontiamo  mai. Non  ci  deve  scandalizzare  Bruno Vespa  che  intervista Salvuccio Riina, perché  i  giornalisti  questo  devono  fare.  Io  lo  dico  sempre,  il  giornalista è  come l’ippopotamo, deve  essere  felice  al  sole come  nel  fango. Nel  senso  che deve  stare con tutti,  con  gli angeli  e con  i  dannati  della  terra. Ci  deve invece scandalizzare  il  fatto che Vespa parli  di  Totò Riina in una puntata che  è  un’apostrofo  rosa tra  la  puntata  sui  matrimoni  del  secolo e  le  ricette  di  Massimo D’Alema,  quando  invece  ogni  giorno il  Servizio  Pubblico di  questo  dovrebbe  parlare. Di  tutto  ciò che  sta  attorno  alla  mafia e  che  non  si  racconta perché  purtroppo  spesso è  una  mafia  della  classi  dirigenti. Perchè come  dice  il  mio  maestro  Attilio (Bolzoni dell’Espresso ndr),  il  problema  oggi  nel  paese non  sono  i  poteri  illegali, ma  il  modo  illegale con cui  agiscono i poteri  legali”.

Ti  chiedo ancora: “ti vedo un po’  come  un moderno Indiana  Jones alla ricerca di misteri da  svelare… tra un  reportage  è  l’altro, tra le  tue  trasmissioni e le inchieste  sul  campo   hai trovato anche  il  tempo di  scrivere  dei libri, sempre  dedicati  ai  temi  a te  cari e a Matteo, uno di  questi ha  per titolo  ‘L’Invisibile‘. Perchè?

Perchè  io  e  Matteo in  fondo ci  somigliamo,  siamo  2 invisibili. Lui  è  uccel  di  bosco da  decenni io perché  racconto cose  destinate  a  non  piacere. Sono impopolare per  quel  che dico, quindi invisibile, come Matteo. Non  potrebbe  esser altrimenti, io non scrivo  per  cercare  consensi né  popolarità, né per piacere  a  qualcuno…  nel  mio  lavoro  cerco  sempre  di  tenere  presente  la  regola  delle  3 ‘S’: Sei, Sempre, Solo… Dall’Invisibile, la biografia di Matteo Messina Denaro, ho trovato  poi gli spunti per scrivere un reportage pazzo, che  ho chiamato ‘Cosa Grigia’, l’idea cioè di raccontare la mafia oltre la mafia, quello zona grigia oggi diventata sistema criminale”. Qualche tempo fa è stata emessa una sentenza da parte del Tribunale delle Misure di Prevenzione di Trapani circa la confisca dei beni per oltre un miliardo di euro al defunto Carmelo Patti (patron della Valtur) imprenditore di Castelvetrano, personaggio con  un  notevole curriculum accademico (possesso della licenza elementare). Un’impero costruito partendo dal nulla con l’appoggio della  Mafia. Patti fece  salto di qualità negli anni ’80, quando cominciò a lavorare per conto della Fiat (e l’Alfa  Romeo), nel cablaggio delle automobili. Dalla Punto, come in altre macchine Fiat prodotte in quegli anni, c’è uno zero virgola qualcosa prodotto da Patti nel trapanese. Il suo commercialista è un’anonimo professore che ha solo lui come cliente, ma ha anche un vantaggio sorprendente: la sorella ha dato una figlia a Messina Denaro, ne è in pratica il cognato. Patti è diventato forte grazie alla mafia, ed è cresciuto  grazie alle commesse della Fiat. Durante una fastosa cerimonia (era presente anche l’avvocato Gianni Agnelli) gli venne consegnato il “Premio Europeo per la Qualità”. E con gli Agneli Patti poi s’alleò per l’acquisto di Valtur. A me sorge una domanda, e la domanda è questa: scusate, e la Fiat? La Fiat non è stata mai lambita da alcuna inchiesta, sia chiaro. Ma mi chiedo: al di là del piano giudiziario, perché la Fiat da tutta questa vicenda ne è uscita indenne? Intoccabile? Possibile che ancora una volta dobbiamo credere che a Torino, ai piani alti del Lingotto, non sapessero chi fosse il loro fornitore di fili, terminali e conduttori? E’ l’ora di porsela, questa domanda…”.’

Vabbè, qui devo controbattere: “se è   per  questo c’è    chi afferma  che  c’è  la  Fiat anche  dietro i depistaggi della strage  di Bologna  e che  Romiti  era  molto  preoccupato dopo  la  caduta  del Mig libico  sulla Sila (ha anche incontrato Santovito del Sismi). Ma  non  targiversiamo, ti chiedo: da  ciò  che  scrivi mi  pare  d’intuire  che  hai  conosciuto due dei  residenti più  detestati di  tutta  l’isola,  l’indifferenza  ed il  pregiudizio.  Forse  anche per  questo sei diventato un’invisibile. Tu  ti  sei quindi trovato  tra  due  fuochi: la  mafia  e  l’antimafia. Hai  scritto al  riguardo un’altro libro interessante proprio sul tema: ‘Contro l’Antimafia. E’ un  titolo  forte e  amaro,  che affronta un tema che disturba,  perchè la  scelta di questo  titolo?”

‘Contro l’antimafia’, è un  titolo devastante me  ne  rendo  conto, è molto  più che provocatorio, perché  da giornalista e  da  siciliano sono  disgustato dal potere oligarchico e arraffone di certe associazioni antimafia (specialmente una). L’ho  scritto  per denunciare i limiti di un movimento dove oggi si aggirano tanti impostori. Purtroppo è  nei  fatti,  l’oligarchia  dell’Antimafia si  è  ridotta  alla  reiterazione di  riti e  mitologie di  simboli deprimenti, di  gesti  svuotati  di  significato. E’  diventato  un  circuito  autoreferenziale che  mette  sempre e solo in  mostra  le  sue  icone:  il  prete  coraggioso, l’imprenditore  di  turno  il  nuovo  Libero Grassi, il Magistrato  iperscortato  che  rischia  la  vita  per  tutti  noi  etc  etc. Come sono  inorridito dalle  ‘Fabbriche  di  Parcelle’ (di cui  ho  scritto  nel mio libro) che  vede  protagonista proprio  un’Associazione  Antiracket  di Marsala. Una  pagina  nera  per  l’antimafia  in Sicilia.  Un’associazione antiracket che dovrebbe  esser paladina della  legalità che  per  giunta non ha mai assistito nemmeno un imprenditore vittima di estorsione. Forse saprai  che solo  il  3% dei  beni  confiscati  alla  mafia è  stato  restituito  alle  comunità da  dove  provenivano le rapine. Per  ogni  villetta  assegnata ad  una   benemerita  associazione altre  100  marciscono  e cadono  in  stato  di  abbandono o rovina (quando  non  rimangono  addirittura  ancora in  mano ai  mafiosi)… per  non  parlare  delle aziende sottratte ai  mafiosi che  son state  fatte  fallire dallo Stato, aziende  produttive con molti dipendenti che si  sarebbero  potute  valorizzare  mettendole  sul  mercato, vanificando il  riutilizzo sociale  di  quest’enorme patrimonio di  beni  confiscati”.

Chiedo: “Ecco, proprio a  proposito di  quello  che  hai  scritto in questo libro, ho  letto di  questo  business  delle ‘parti  civili’,  questi  personaggi  in  giro  per  l’Italia, avvocati che  si  sono arricchiti costituendosi  Parte Civile senza  aver  mai  assistito processualmente  nessuna vittima di  mafia.  Mi  puoi dire  qualcosa?”

“Guarda,  un  giorno  mi  ha chiamato  un’amico,  un  giornalista di Bologna, che  mi  dice: ‘sai quì  è iniziato  il  processo  alle ‘ndrine emiliane, un  processo  corposo, roba  tosta’. Bene,  dico  io, l’ho  letto. Il  processo  si  chiama ‘Emilia’  come l’operazione ti  ricordi? E mi  dice: ‘lo  sai  che  tra  le  parti  civili c’è  pure  un’associazione  della  tua  città, Marsala’. Marsala? E  cosa  c’entra? ‘Me  lo  sto chiedendo  anch’io. Il  Giudice  l’ha  ammessa. L’avvocato è  venuto  alla  prima  udienza e poi  non  si  è  fatto  più  vedere. L’associazione  antiracket  di  Marsala parte  civile  sul  processo  alla ‘ndrangheta  in Emilia. Roba  da  non  credere’. E’  roba  forte,  spiego  io,  ma  è  una  storia  lunga. E’  la  storia  di  un’associazione antiracket che è diventata una  fabbrica  di parcelle. Dominus ne  è Giuseppe Gandolfo, avvocato. Non è socio  dell’associazione  antiracket di  Marsala  ma è  colui che  nei  fatti  la  comanda. Dalla  sua  stanza  escono  gli  atti  dell’associazione, è  lui  che  ne cura  la  segreteria, sceglie  i  presidenti  e li  fa  votare  all’assemblea  dei  soci, e  ne  ha  fatto  (in maniera  legale) una  macchina  da  soldi, tramite la  sistematica costituzione di  parte  civile  nei  processi  per  mafia, estorsione, inquinamento, corruzione. Prima  solo  a  Marsala, adesso  in  tutta  Italia. L’Associazione  Antiracket di  Marsala  non ha  mai  assistito alcun  commerciante. Organizza  ogni tanto  dei  convegni (ovviamente  sulla  ‘Trattativa’), non  ha  mai  sporto  una  denuncia  pubblica o  pubblicato  uno  studio, niente. Indirettamente però, ha  fatto  tante  campagne  elettorali perchè  negli anni  è  diventata  una  sorta di  comitato  politico. Lo  stesso  avvocato ha  tentato  di  farsi eleggere in tutte  le  competizioni con  diverse  formazioni  politiche. Da  Italia dei  Valori al PD. Oggi i Soci  dell’Associazione Antiracket  di  Marsala, sono  gli  stessi  che  costituiscono il  Movimento 5 Stelle  in città. C’è  dunque  questa  associazione antiracket  a Marsala, io  ne  sono  socio per  me  è  come  uno  Studio Medico  Omeopatico. Ho  raccontato  molte  volte come  è  andata. Era l’estate del 2001 e  mi  ero  appena  laureato  in  Giurisprudenza, avevo  23  anni. Prese  fuoco  uno  stabilimento balneare e Prefetto  e Sindaco  fecero  un’appello: ‘non  possiamo  stare  a  guardare’. Fù emanato  un’avviso pubblico  che  invitava  imprenditori, commercianti e  giovani a  un’assemblea per  costituire  un’associazione  antiracket. La  prima cosa  che  pensai leggendo  il  manifesto, fu  che  la  scelta  dello  Studio del Notaio fosse  infelice per  la  firma  di  quell’atto costitutivo. Si  trattava  infatti di  uno Studio  angusto  e mi  chiedevo  come  avrebbe  potuto contenere  tutte  le  persone che  avrebbero  partecipato alla  costituzione  della  prima  Associazione  Antiracket di Marsala. Mi  presentai  puntuale  all’Assemblea. Ebbene, eravamo solamente  due! Io ed  il Notaio. Poi  arrivò  un amico. Poi  il Sindaco. Partirono  una  serie  di  telefonate ed  alla  spicciolata  arrivarono i  rappresentanti  dei Sindacati, alcune  Associazioni  di  Categoria, commercianti, ed  arrivammo  alla decina. E  nacque  così,  tra  sforzi  immani, l’Associazione Antiracket  di Marsala. Che  da  allora  non  ha  fatto molto per  spostarsi  da  quei numeri  e  riscattare  quella  solitaria  costituzione. Doveva  essere eletto  il  Presidente alla  prima  Assemblea. Nessuno  voleva  farlo. Fummo costretti  ad  una  drammatica  riffa, ad  una  specie  di  estrazione. Nel  silenzio  dello studio  notarile il  nome  sorteggiato fù quello  di  un  timido  commerciante, tale  Michele  Lusseri. Appena  il  Notaio  pronunciò  alto  il  suo  nome lui,  come la  Cavallina  Storna di Pascoli,  emise  una  specie  di  nitrito  scomposto. Piangeva. Passarono  gli  anni e  dell’Associazione  non  si  seppe  più nulla. Michele  Lusseri però,  che  fin dall’inzio  diceva  di  volersi  dimettere non  piangeva  più. Rideva. Perchè  si  era  costruito un  piccolo  regno  tutto  suo;  una  stanza  con  telefono, fax  all’interno  del  Comando  dei  Vigili e  una  cassa  da  amministrare. E  aveva  scoperto (o  meglio  glielo avevano  spiegato) il  meccanismo  delle  costituzioni  di  Parte Civile. E  l’Associazione  aveva  incominciato  ad  incassare i  risarcimenti  dei  processi  per  mafia ed  estorsione. Soldi  ne  giravano  tanti. Che  fine  abbiano  fatto io  non lo  so. Cercai  di  capirci  qualcosa ma  non mi  fu  concesso. La  cosa  si  faceva  sempre  più imbarazzante, molti  soci  si  erano  dimessi. Nel  frattempo  Lusseri,  dopo  alcune  disavventure  economiche, si  dava  all’affare per  eccellenza: un  Centro  Scommesse. Il  Presidente  dell’Associazione Antiracket che  gestisce  un  Centro  Scommesse. Hai  capito  perchè  hai  vinto  Matteo? Uno stanzone  anonimo,  con  tanti  tavolini, le  sedie,  un  paio  di  televisori, un  distributore  di snack e  un  computer. Non avverte  alcun  disagio a  fare  il  biscazziere. Forse  per  i  suoi  clienti  sarebbe  imbarazzante il  contrario,  sapere  cioè che  il titolare  del Centro Scommesse è  anche  il  Presidente  dell’Associazione  Antiracket. Ma lui fa  in  modo  di non farlo  intendere. L’Associazione  Antiracket  di  Marsala chiede  la  costituzione di  Parte Civile in  tanti  processi. E’  come  giocare  al ‘Gratta e Vinci’. Cerchi  di  pescare  quello  fortunato. Per  questo  forse  al Presidente  gestire  un  Centro  Scommesse  pare una  cosa  naturale. E’  la  continuazione  dell’attività  dell’Associazione con altri  mezzi. Una  volta  sono  andato  a trovare  il  Presidente  nel  suo  studio, e  gli ho  chiesto:  ‘ma  non ti  imbarazza fare  soldi  così  e  rappresentare  l’Antiracket?’ Lui  m’ha  fissato  per  alcuni  secondi poi  m’ha  fatto  un  gran  sorriso: ‘ma  perchè tu  la  bolletta  non  la  giochi?’ Quando  rendo  pubblica  la  vicenda accadono  due  cose. La prima è  che  Lusseri mi  leva  il saluto. La seconda è  che  l’Avv. Gandolfo (il dominus dell’Associazione) decide  di  creare  il  suo piccolo  capolavoro. Fà  tesserare  in  massa  l’Associazione,  i  suoi  collaboratori, i  parenti e  gli  aderenti  al Movimento 5 Stelle. Ottenuto  il  controllo  totale  dell’Associazione fà dimettere Lusseri e  come Presidente mette  uno del  suo ‘giro’. Viene  convocata  l’Assemblea  Straordinaria  dei  Soci per  riscrivere  lo  Statuto. E  che  succede? Siccome  i  processi  per  estorsione  languono bisogna  allargare  il  giro.  E  allora  l’Associazione  Antiracket  nello  Statuto inserisce  anche  la  tutela  da  altri  reati. Tutti  dentro: truffe, violenza,  corruzione, manca  solo  l’abigeato. E  siccome  anche  il  Tribunale  di  Marsala  sta  stretto, inseriscono  sedi  in  tutt’Italia: Roma, Milano, Lecco, Bologna. E  allora  mi  rivolgo di  nuovo  a lui.  Sì proprio  a  lui. Hai  capito  Matteo? L’Associazione  Antiracket di  Marsala apre  una  sede  a  Lecco. Esportiamo  legalità mi verrebbe  da dire. Questa  è  una  lettera  di  resa  Matteo, perchè  mi  pare,  così  da  osservatore, uno  che  di  cose  ne  ha  viste  tantissime, di  storie  ne  ha  sentite parecchie, che  si  sia  come  chiuso  un  cerchio. Mentre  mezzo  secolo  fa i  mafiosi venivano  mandati  al  confino nel  nord-Italia, adesso  è l’antimafia  che  va  al  confino. E  come  allora il  sistema  punitivo  fu  un  involontario ma formidabile  volano per  le  famiglie  mafiose meridionali che  aprirono sezioni  distaccate delle  loro  cosche  al  nord,  allo  stesso  modo  quest’antimafia fasulla noi  l’esportiamo  al  nord per  cercare  di  allargare  business,  di  raschiare  qualcosa  nella  parte  produttiva  del  Paese, dato  che quì  al  Sud non  c’è più molto  da  raschiare e  le  bocche  da  sfamare  sono  tante. Sia  in  parte  di  Mafia  che  in  parte  di  Antimafia”.

 

Concordo con le  pigrizie dell’antimafia di Stato, le  ipocrisie  di  certi apparati e la  cd antimafia  sociale  (fatta  anche  di  questi imbonitori,   predicatori  di  legalità ed imbroglioni)  … “allora ti domando per  concludere: visto che  non  offri  morali  consolatorie, dico  che è sin troppo facile  criticare essendo  negativi più  difficile esser  propositivi e  costruttivi. Questa  è la  critica  ma  qual’è  la  tua  proposta?”

“Il  mio  mestiere  è  quello  di  raccontare  in  modo  onesto  ed  obiettivo, tutti i  fatti  a  mia  conoscenza, senza  nascondere nulla. Informo  per dare  consapevolezza. Per  il lavoro che  faccio guardo  la  realtà studiando i  fenomeni  di  cui  voglio interessarmi facendo in  modo che  anche chi  mi  legge  s’arricchisca con altri  punti di  vista.  Chiaramente occupo  un  posto  scomodo  perché  questo  non  lo  vuole far nessuno… è un  lavoro  che mi è costato tanta fatica perché continuo a metterci metto dentro perizia, tanta  attenzione e meraviglia”.

Concludo con i  saluti: “Grazie  Giacomo  della  chiacchierata e delle  tue risposte….

“… … … ”

Giacomo? Non  ti  vedo più  ci  sei …?

“…  … …”

Giacomo? Sei  già  sparito … ?

“…  … …”

E’ di  nuovo  invisibile.