In quanto criminologo fai-da-te, abitualmente ho a che fare con criminali incalliti e serial killer. In questa mia veste ho recentemente captato un fattaccio palesato ai militari dell’arma il giorno 12 ottobre 2018, quando un tale ha denunciato al Comando Carabinieri di Torino un’inquietante minaccia di stampo mafioso. Del seguente tenore:
“Penso che sia il momento di ridarmi i miei soldi. Ho alcuni amici a Palermo che altrimenti verranno a prenderli in poche settimane. È una tua scelta, continua il tuo gioco o semplicemente paga”.
Non siamo a Bagheria o Corleone e neppure a Mezzojuso. E’ la bella Torino del profondo nord. Chi minaccia non è neppure un siciliano, ma è un cittadino olandese. E non siamo nell’immediato dopoguerrra (la denuncia è di pochi mesi fa). La prima cosa che ho pensato è che il “fascino” del malavitoso è proprio duro a morire. Ancor oggi fa figo atteggiarsi a mafioso. Dà un tono. Dopotutto, nell’immaginario collettivo, anche la mafia ha una sua morale, quella della romantica cultura mafiosa che offre protezione a piccoli ed indifesi commercianti in cambio d’un piccolo compenso. Ad alimentare la leggenda ha indubbiamente contribuito pure lui, Mr. MMD – Mattia Messina Denaro, il più importante latitante di Mafia, che ha stecchito così tante persone che potrebbe riempire un cimitero (più della famigerata MMD, nota metanfetamina che casualmente porta le stesse iniziali). Poco importa se il globo terracqueo ha qualche migliaio di persone in meno, sterminate, uccise, sparate, crivellate. Attività che comunque, a ben vedere, ha offerto un fattivo apporto al PIL (prodotto interno lordo) visto il crescendo del business legato alle esequie del caro estinto.
Vorrei subito provare a sfatare una leggenda metropolitana. Chi pensa che lui sia un cretino si sbaglia di grosso. Senza dubbio Matteo Messina Denaro è un uomo molto colto (mai sul fatto) infatti si è laureato alla Facoltà del Non Rispondere (noto Ateneo universitario) nonché alla Facoltà di Scienze Mortorie, con pieni voti, anche se la sua vera passione sono sempre state le funzioni trigonometriche, in particolare è affascinato dal coseno (e soprattutto la tangente). Alcuni ritengono che abbia anche fatto del bene a tantissime persone, un bene tangibile, palpabile, di calibro molto grosso.
C’è chi vorrebbe ringraziarlo per l’attenzione che ha dedicato ai tanti malcapitati ma Matty (mi scuso se oso confidenzialmente chiamarlo così), sempre schivo e modesto, ha saputo anche mettersi da parte al momento giusto, isolandosi dal resto del mondo e va detto che da 25 anni a questa parte ci sta riuscendo benissimo. Secondo il Guinness World Record il talentuoso Matty da un quarto di secolo è l’incontrastato primatista mondiale di nascondino. Tant’è vero che anche su Youtube son comparsi post inneggianti: “Forza Padrino, col cavolo che lo prendete” (grave reato di ortaggio a pubblico ufficiale). Qualcun s’è arrischiato a volerlo far Santo anche da vivo ma lui modesto come sempre ha dichiarato in più occasioni: “…se mai avessi a divintari santo, vulissi la coppola al posto dell’aurreola…” facendo capire chiaramente che se San Francesco parlava ai lupi, lui parlava con le lupare.
Le prove della sua colpevolezza ci sono, e son tante, non Mangano, ma lui ha pesantemente redarguito l’informazione che s’è ostinata a volerlo far passare per quel losco figuro ch’è: «Pasta, noi siggiliani semo stanghi ti guesta nomea che ti fatto imbedigge lo scsbiluppo della nosgtra piella regghione». Ok va bene Matty, non t’alterare, ho recepito il messaggio. «Grazie a vossia! Ma cu sii, nu sbirro?» «No, no, Matty tranqui», ma non faccio altre domande (intuisco che la mia curiosità comincia a dar fastidio). Non è l’unico contrariato. Anche un’esimio giurista è rimasto infastidito dal mio humor crepuscolare per un’articolaccio che lambisce la classe forense. A Lui mi piacerebbe segnalare un vecchio proverbio cinese che dice: “un uomo che non sa ridere non dovrebbe mai aprire un negozio” (figuriamoci uno Studio Legale). Fortunatamente l’ingegneria del buon’umore ha di recente scoperto che sorridere di tanto in tanto è un carburante che libera endorfine e aiuta a star bene (anche i business lawyer).
Provo allora a far un po’ di archeologia con un balzo nel passato. Come molte cose del presente anche la Mafia ha radici lontane che affondano nella notte dei tempi. C’è chi la fa addirittura risalire al Medio Evo (o giù di lì), com’ha egregiamente sviscerato l’autore di Themis & Metis nel suo articolo: “Breve disamina del fenomeno mafioso del contesto rurale siciliano”, per cui non proietterò altre mie teorie a vanvera, semplificazioni storiche e/o evitando soliti clichè sull’argomento.
Come sapete l’Europa d’un tempo era invasa da barbari, saraceni e orde vandaliche. Mentre gli Unni e gli altri si divertivano a spargere diserbante per non far ricrescere il manto erboso, i Signori del Feudalesimo non si perdevano in ciance: costruivano castelli e feudi ben fortificati, possedevano cavalli addestrati, belle armature, tiravano di scherma, e quindi, da bravi filantropi qual’erano, offrivano protezione al popolino. In cambio chiedevano solo un po’ d’obbedienza e un pochetto di rispetto. Un’impostazione, diciamo, che aveva un vago sapore mafioseggiante ma non per questo alcuna sfruttanza.
In un certo senso era la società medioevale che li legittimava. Non avevano la coppola ma pure loro, come i Cavalieri Templari al tempo dei Crociati, avevano un forte codice d’onore. I ‘Messeri’ oltre ad esser circondati di rispetto avevano sempre l’armatura fiammante, specialmente i due guanti di metallo rodiato, sempre tirati a lucido. Perché vi chiederete. Per le espressioni di gratitudine dei servi della Gleba che continuavano ossessivamente con la solita cantilena: “baciamo le mani”. Casualmente proprio in questo tempo nasce la Santa Inquisizione, quell’era oscura in cui tutti dovevano pensarla nello stesso modo e chi faceva discorsi un pò strani veniva subito persuaso con metodi convincenti. L’alchimia era ancora agli albori per cui le proprietà scioglienti dell’acido erano ancora addavenì in compenso venivano praticate delle sane torture e si potevano purificare i rei bruciandoli al rogo. Come vedete cambiano le epoche ma la formula vincente della ‘caccia alle streghe‘, rimane pressapoco invariata.
La Sicilia. La splendida Sicilia anche nel tardo Evo è sempre stata terra di infinite contraddizioni e bellezze. Ancor oggi rimane sospesa tra passato e futuro, condannata ad ignobili pregiudizi atavici che perdurano nel presente (“Mafia is wonderful”) passata alla storia per strumenti d’antica beltà ed eleganza che ormai appartengono solo al passato (la ‘Piritera‘ è una delle invenzioni più bizzarre ed originali che mi sia mai capitato di vedere). Ciò non scalfisce d’un micron la stupendità della bella Sicilia. La Sindrome di Stendhal (quello stordimento che aggredisce i viaggiatori davanti alla grandezza delle arti), meritava che nascesse proprio qui, non solo perchè questa terra ha dato i natali (e le pasque) ad alcuni dei personaggi più illustri d’ogni tempo, ma perché possiede un concentrato di capolavori senza eguali al mondo, perché “è proprio in Sicilia che si trova la chiave di tutto, della bellezza, del male e le radici della società” (Calabrò). Bellezze che non smettono tutt’oggi di sconvolgere e d’affascinare, come sostiene anche l’esimio Prof. Vittorio Sgarbi (dotto critico d’arte ed indiscusso cultore del bello).
Forse avrete notato che il mio timido tentativo d’ironia su un’argomento così serio, và molto al di là di intellettualismi e volgarità. Ho sempre sentito dire che la satira può avere un’utile funzione sociologica per veicolare verità, seminare dubbi, smascherare ipocrisie, attaccare pregiudizi, metter in discussione convinzioni. Ma fare dello spirito parlando di Mafia ha senso? Non credo proprio, penso di no. So che porta male. Vi cito l’esempio d’uno sfigato articolista che scriveva sul sito di Indymedia Piemonte, tal Mr. Bean – Interceptor. Ironizzava in modo un pò denigratorio, infatti è stato destinatario d’una mia denuncia per diffamazione a mezzo stampa (non per questo ho preteso che s’oscurasse il suo sito d’informazione). Come noterete oggi porto lo stesso nikname (è un naturale senso di solidarietà col nemico morto sul campo). Perchè penso che in democrazia ognuno – a suo rischio e pericolo – è liberissimo d’esprimere ciò che pensa. E quando ho letto che Indymedia è stata chiusa per la querela d’una multinazionale son rimasto piuttosto basito.
Ebbene, il Mr. Bean-Interceptor di Indymedia ha avuto la malaugurata idea di titolare scherzosamente “Mafioso è bello” pubblicando il memorandum riservato d’una prestigiosa shipping company con l’intento di dimostrare che nel far affari s’ha una marcia in più se ci s’associa in joint venture con partner di chiara caratura mafiosa.
E non s’è accontentato di scriverne uno solo, perché ha pubblicato più d’un articolo cercando di descrivere come non si strizzi solo l’occhiolino all’azienda ritenuta mafiosa, ma non si disdegni neppure d’adottare “una politica aziendale stabilmente caratterizzata dall’abituale ricorso a scorrette pratiche commerciali, spesso sconfinanti nei reati di corruzione, turbativa d’asta e illegale intercettazione di comunicazioni e conversazioni“. Come ha rivelato un’articolo di “Repubblica” questi reportages di Indymedia hanno suscitato un vespaio di prevedibili polemiche, nonché querelle. Pardon, querele (nota arma di distrazione di massa). Infatti la multinazionale denunciando il sito di Indymedia Piemonte per diffamazione ha giustamente ottenuto l’oscuramento dal Tribunale di Milano (tutt’oggi il sito è irraggiungibile). Questo insegna che se non si vogliono bavagli certo spirito e umorismo è meglio non farlo.
A proposito di “intercettazioni di comunicazioni”, visto che è tutt’ora aperto sui media il dibattito su come utilizzi le sue tecnologie una chiacchierata società italiana di Hacking per osteggiare chi fa libera informazione (v. caso Regeni, Khashoggi, e molti, molti, molti, molti, molti, molti altri), segnalo – per chi fosse interessato – i risultati di un’inchiesta condotta dal sito Wikileaks che ha pubblicato documenti inerenti un’indagine della società Hacking Team, responsabile della «tecnologia più malvagia del mondo» (parole non mie ma dell’AD David Vincenzetti) condotta guardacaso contro il sito di contro-informazione di Indymedia ed il suo autore Mr. Bean – Interceptor (investigazione commissionata ad Haching Team proprio da un ex dirigente della multinazionale che ha chiesto il sequestro del sito di Indymedia).
Un clamoroso scoop passato sotto silenzio. Il caso è stato anche segnalato all’Autorità Giudiziaria da un’ex agente del Sismi (ex servizio segreto militare ora AISE) sotto processo per un file pedopornografico rinvenuto in uno dei suoi computer e sotto inchiesta in una mezza dozzina di processi in tutt’Italia per “fake evidences” di Indymedia rinvenute sui suoi computers dei servizi.
Io naturalmente, data la serietà della materia, prudenzialmente m’asterrei dal formulare alcun giudizio e dall’osare qualsivoglia gratuita forma d’ironia. Però, senza offendere le alte qualità morali di prestigiose aziende con volgari insinuazioni, un paio di domande mi piacerebbe davvero porle (questo magari sarà oggetto d’un prossimo approfondimento). In tema di trasparenza dell’informazione anche porsi qualche domanda di tanto in tanto potrebbe servire allo scopo.
Tornando al tema della “mafiosità” son personalmente convinto che il disfacimento dell’etica e della morale ormai è parte integrante, assolutamente naturale, della nostra condizione umana, così come l’acne giovanile, l’alito di fogna o la puzza ai piedi. Se lungo l’arco dei millenni la corruzione è sopravvissuta come valido strumento d’equilibrio sociale un motivo dovrà pur esserci. Come sostiene Roberto Scarpinato (procuratore antimafia), la straordinaria continuità storica della corruzione fa capire quanto questa e le culture mafiose siano legate indissolubilmente. A questa dobbiamo buona parte dei progressi in campo economico, tecnologico ed in ambito sociale. Infatti la corruzione tutt’ora vien usata come ultima spiaggia dagli incapaci che non sono in grado di ottenere quel che vogliono con mezzi leciti, con il proprio talento e col sudore della fronte. Come spiegano alcuni antropologi, è un’elevazione derivante dall’eredità atavica che ci portiamo nel nostro DNA, tant’è vero che nel corso del Ventesimo secolo la mafia è progredita in vari settori: nell’ambito del sociale, in ambiti economici e soprattutto nel campo del tessile (celebri i suoi ‘pizzi’ fatti a mano … ‘armata’). Comunque bisogna stare attenti a non cadere nell’equivoco che le nuove mafiosità siano quelle criminali dello stragismo, del tritolo e la lupara. Oggi, in questo bizzarro Paese in cui viviamo, c’è quella delle classi dirigenti, delle economie disoneste, di questi sistemi di potere che continuano a vincere a scapito degli onesti. Come dice un tale che non gradisce esser citato: “quelli son quasi sempre intoccabili e fan più danni delle lupare”. Forse capirete perché questo è stato il tema centrale di precedenti articoli, quì sul blog di Themis & Metis (scusate il citazionismo) dove s’è tracciato l’identikit della mafiosità dei colletti bianchi, dell’alta finanza, quelli che delinquono (spesso impunemente) in giacca e cravatta. Non solo la Mafia del “Piatto sporco”.
In questo la mafia è un pò diversa da altre organizzazioni criminali perché è riuscita a convivere in simbiosi con pezzi del mondo della politica. Non v’è dubbio che esagero nel relegare la forza della mafia al di fuori della mafia. Dire che questo sistema di potere politico-mafioso si sia ben mimetizzata dietro gessati doppiopetto di capitalisti molto meno sinistri di chi latita è semplicemente paradossale, perchè molti di questi personaggi – senza voler far nomi – benchè ingiustamente lambiti da sospetti di mafiosità, in realtà non hanno mai avuto nulla a che fare con la mafia (v. Giulio Andreotti, Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, Carmelo Patti, gli Avv.ti Cesare Previti e Francesco Moretti, Rosario Crocetta, Raffaele Lombardo, Vito Nicastri, Antonello Montante, Totò Cuffaro). Il giornalista Attilio Bolzoni (dell’Espresso) amava raccontare di un’amica cronista (la famosa fotografa Letizia Battaglia), che un giorno disse: “devo chiederti una cosa. Noi ci conosciamo dal 1978. Sai io prima andavo in giro per Palermo e fotografavo la mafia perché li vedevo a terra, durante le guerre di mafia. La Mafia era a terra. C’erano i cadaveri. Poi nella seconda metà degli anni 80 la mafia l’ho vista dietro le sbarre dell’aula bunker dell’Ucciardone e l’ho fotografata là. Adesso non so più fotografarla. Dov’è la mafia? Non è più a terra. Non è più dietro le sbarre. Dov’è?” Bolzoni gli rispose: “bah, Letizia, vai alla Regione Siciliana… oppure ti prendi l’aereo e vai davanti al palazzo della Borsa di Milano e ti fai 100 foto. Prima o poi un’immagine di mafia ti verrà buona. Sei una grande fotografa. Naturalmente l’ho detto scherzosamente”.
Si intanto scherzando, scherzando Pulcinella diceva la verità. Ma torniamo a bomba. Parlavo di far dello spirito parlando di mafia. Anche un principe dello sberleffo come Dario Fo (mitico giullare contemporaneo) diceva che: “Quando un popolo non sa più ridere diventa pericoloso”. Voi sapete bene che i ‘buffoni’ del Medio Evo, oltre a rallegrare le Corti, tra una filastrocca e l’altra raccontavano anche delle verità sgradite ai potenti, nascondendole qua e là in mezzo a favolette divertenti. Era un mezzo per dir delle cose burlandosi di censure e beffandosi dei Re, senza per questo rischiare di perdere la testa sotto la mannaia. Un po’ quello che facevano i cantastorie d’un tempo, diffondendo – spesso in dialetto – storie di grandi gesta errando di città in città, accompagnandosi con uno strumento, senza per questo che qualcuno fosse preso dalla smania di ‘sparare sul pianista‘.
Io pochi giorni fa, in modo molto casuale, ho incrociato uno di questi moderni ‘menestrelli’. Un ‘cantore’ di vicende paesane e cittadine (spesso di mafia e malaffari) che ogni giorno, da anni, batte il territorio palmo a palmo in cerca di storie ‘scomode’ da raccontare. E’, come si definisce lui stesso, “un giornalista a KM Zero”. Un vero Artista di Strada, spero mi passi il termine (lo dico in modo tutt’altro che dispregiativo) che produce informazione fresca di giornata, dal produttore al consumatore senza mediazioni, conservanti aggiunti e olio di Palma (neanche di Montichiaro). La sua è una filiera molto corta, senza i filtri e tutti quei passaggi intermedi che spesso annacquano le notizie. Si chiama Giacomo di Girolamo, siciliano DOC, di Marsala, un tipo davvero originale e testardo. Ogni mattina, puntuale come un cronografo svizzero, dalla sua Radio (Radio RMC 101) parla al Matteo Messina Denaro latitante dal 1993, a tu per tu come fossero intimi, lanciando indizi, senza dar fiato ai soliti discorsi stereotipici e/o i consueti luoghi comuni. Come quando interloquisce col Boss dicendogli:
“ho scoperto cos’era la mafia a 14 anni, con un’edizione speciale del TG1. Quel sabato sera finì con telefonate tra parenti ed amici per chiedersi: hai saputo? … non è la Sicilia, forse è la Palestina, l’Irlanda del Nord, è Beirut, il pianeta Kripton… hai visto hanno ‘scoppiato’ il giudice Falcone. E’ stata l’interruzione della mia infanzia. Il lunedì successivo in un’assemblea straordinaria degli studenti della mia scuola, nessuno aveva più voglia ed il coraggio di prendere il microfono per parlare. Il rappresentante degli studenti, per spezzare la tensione cominciò a leggere degli articoli di giornale sulla strage di Capaci. Qualcuno vuole intervenire? Chiese. Alzai timidamente la mano, volevo dir qualcosa. Per la prima volta anch’io volevo dir qualcosa in pubblico. E ciò che dissi fu: ‘dobbiamo fare qualcosa!’. Questo qualcosa venne dopo da sé. Cominciarono ad entrare in classe i giornali, li leggevano, studiavamo ciò che avevamo accanto vicino a noi: le famiglie mafiose, i mandamenti, la guerra di mafia, i Corleonesi, la droga, gli appalti truccati, le estorsioni, il riciclaggio del denaro sporco. Di te sapevamo ancora poco, Matteo. Il mondo non ti conosceva, ma tu conoscevi già bene il mondo. Eri feroce Matteo. Avevi già partecipato ad importanti traffici di droga, decine di omicidi, eppure, noi non ti conoscevamo. Lo Stato non si interessava a te. Noi ragazzini cominciammo invece ad interessarci di te, dei mafiosi della porta accanto, e a fare timidamente qualche nome, e ai nomi associavamo volti. E se Capaci fu una specie di visione, nel luglio successivo, la strage di Via d’Amelio, rappresentò una vera e propria chiamata alle armi. Quel giorno di luglio era domenica e noi eravamo al mare. Le radio cominciarono a dire: ‘un botto a Palermo’. Come ‘un botto a Pelermo’? Che orrore Matteo, tu in quel momento festeggiavi con Vito Mazzara (il killer che tra l’altro ha ucciso anche Mauro Rostagno) l’inaugurazione della sua nuova gioielleria, proprio vicino il piccolo Municipio di Val d’Elice. Festeggiavi con tartine, patatine e spumante. E avrai certamente fatto anche qualche brindisi, per quello che era successo in Via d’Amelio. E avrai pensato a come fottere la terra dopo aver scoppiato anche Borsellino. E’ nel luglio del 1992 che comincia il tuo conto alla rovescia verso la latitanza, Matteo, con la strage di Via d’Amelio. Poi ci sono le stragi del 1993. Dal 2 giugno di quell’anno sei ricercatissimo ed invisibile. Nascono così comitati ed iniziative più disparate: ‘lotta alla mafia, lotta alla mafia, lotta alla mafia’. E dopo? Tante fiaccolate, tanti cortei, tanti lenzuoli, tante primavere, tante manifestazioni, tante petizioni, tante lezioni, tanti libri, tanti film, tante vittime, tante tessere di Libera, tanti pellegrinaggi, tanti processi, tanti slogan, tanto scrivere. Morale? Un Presidente della Sicilia incarcerato per mafia. Il suo successore finito a processo per mafia. Il successore del successore molto malato di antimafia (un’autentica frenesia di appartenenza). E dopo tanto tempo ad un certo punto, mi accorgo che qualcosa è cambiato. Oggi dico ‘antimafia’ e penso: vuota ritualità, protagonismo, sensazionalismo, corsa ai finanziamenti, bugie. Penso che le assemblee scolastiche per parlare di mafia son diventate una buona scusa per non fare più lezione. Le scuole hanno cominciato a ricevere soldi a palate per progetti sulla legalità. Sono cominciate a spuntare decine di finte associazioni antiracket. Abbiamo cominciato a scoprire anche finte vittime di mafia. Abbiamo scoperto che il sindaco che la mattina faceva appelli antimafia, la sera faceva affari con la cosca locale. L’azienda sequestrata al Boss, che dava lavoro a decine di persone, ha chiuso e abbiamo scoperto che l’unico che si è arricchito in quella vicenda (come in altre) di mala gestione dei beni sequestrati è stato proprio l’Amministratore Giudiziario. L’imprenditore che ha lanciato la svolta della legalità nell’associazione degli Industriali è finito indagato per mafia… e mi rendo conto che tutto questo è stato soltanto una parodia di quello che avevo sognato”.
Dopo questa presentazione non potevo non raggiungerlo subito (via Skype) per fargli qualche domanda e uno scambio di riflessioni…
“Ciao Giacomo? Ci sei …?”
“… … …”
“Giacomo? Non Ti vedo?”
“… … …”
“Eccomi...”.
“Ciao Giacomo ho letto alcune cose che hai scritto/detto e vorrei chiederti: parlando di Mafia sarebbe sin troppo facile cedere alla tentazione di facili modismi discorsivi. Ho notato che tu affronti il tema della mafia in generale con modi diversi di argomentare”.
“Forse perchè non sono uno ‘scrittore antimafia’, (come se fosse un marchio Mozzarella DOP...) … e già in partenza mi son seduto dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati…” (cita Brecht) “… Se l’avversario, il nemico non lo conosci non potrai mai combatterlo, o meglio, se cercherai di combatterlo perderai sempre. La Mafia raccontata 40 anni fa non esiste più, perché quella Mafia è un fenomeno vivo in continua evoluzione, che si trasforma giorno per giorno. Cambia pelle, cambia vestito, si mimetizza in continuazione. Quando la vai a cercare nei cantieri è nell’alta finanza. Quando la cerchi nei campi è nelle città… Noi purtroppo abbiamo smesso di studiare mentre i mafiosi invece continuano a studiare… Matteo Messina Denaro probabilmente non comanda più e chi comanda ora è al riparo perché tutti gli sforzi investigativi e d’intelligence son tutti concentrati su Matteo… mi spiace solo constatare che i vecchi concetti, ormai superati, la classe politica continua a considerarli documenti di straordinaria attualità...”.
Ti domando: “In che senso non studiamo più e la Mafia si? Giacomo fammi un’esempio”.
“Ti faccio subito un’esempio. Qualche tempo fa hanno attentato alla vita del Presidente del Parco dei Nebrodi, Antoci. Il giorno dopo che cosa ci siamo detti tutti? Ah la Mafia dei pascoli, la mafia antica ritorna etc etc. Io nel frattempo, in questi giorni sto raccontando in radio quello che avviane a casa mia. L’uccisione del maresciallo Mirarchi a Marsala che è diventato un caso di cronaca nazionale. Questa uccisione è collegata ad una battaglia che i Carabinieri fanno contro i coltivatori di marijuana. Da noi succede questo, dei miei vicini di casa che hanno dei pezzi di terreno (dato che l’una ormai neanche regalata l’accettano) stanno affittando questi terreni a dei ‘benefattori’ i quali se li prendono, pagano tanto, fanno piantagioni di canapa (che da noi cresce benissimo). Tutti piantano Canapa e melograni, c’è quest’abbinamento. Dopodichè i rumeni vengono utilizzati per la guardiania ed invece i magrebini per la coltivazione. Il sistema è questo. Io questa cosa – a mio rischio e pericolo – la racconto da un anno e mezzo. In realtà nella speranza che qualcuno faccia qualcosa. Devi sapere un dato, che una piantagione di marijuana, tipo 800 piantine, rendono anche 1,2 milioni. Stiamo parlando di numeri importanti. Che c’entra sta cosa con Nebrodi? Centra, perché mentre giravo per le campagne per capire cosa stava succedendo, c’era uno della zona il quale mi fa (parlando di terreno agricoli e mafia): ‘io con queste cose non voglio avere nulla a che fare perché di computer non ne capisco niente’. E come? Noi ci raccontiamo di questa mafia agricola, la mafia dei Nebrodi, i pastori mafiosi etc etc, e questo mi parla di computer? Vengo così a scoprire di cosa stava parlando. Lo sai come fanno i mafiosi, nel Nebrodi e dalle mie parti, ad individuare su quali terreni mettere le mani? Hanno messo le mani su un software della Regione (che la Regione ha pagato l’ira di dio e non utilizza e i mafiosi si). Questo software in tempo reale ti dice chi ha quel terreno, chi sono i proprietari dei terreni e che cosa c’è. E’ una specie di Google Maps. Ecco la Regione non l’utilizza, neanche per prevenire gli incendi, perché abbiamo scoperto (e di questo si dovrebbe occupare il giornalismo) che in Sicilia ci sono 4 enti dovrebbero proteggerci dagli incendi (la Protezione Civile, la Forestale, la Regione Siciliana e Vigili del Fuoco) e hanno pensato 4 software diversi che non si parlano tra loro. Quindi i dati non se li comunicano. I mafiosi invece sanno mettere le mani su questo software e da lì decidono quali terreni aggredire, sanno a chi è intestato, e cosa metterci. Questo per dire che noi non studiamo più ed invece i mafiosi studiano alla grande. Quest’idea che ci facciamo della mafia rurale, antica, etc etc può valere per i 4 reduci che ogni tanto arrestano, ma non vale per tutto quello che c’è intorno alla mafia, che oggi rappresenta il vero nodo criminale nel Paese, e che noi non raccontiamo mai. Non ci deve scandalizzare Bruno Vespa che intervista Salvuccio Riina, perché i giornalisti questo devono fare. Io lo dico sempre, il giornalista è come l’ippopotamo, deve essere felice al sole come nel fango. Nel senso che deve stare con tutti, con gli angeli e con i dannati della terra. Ci deve invece scandalizzare il fatto che Vespa parli di Totò Riina in una puntata che è un’apostrofo rosa tra la puntata sui matrimoni del secolo e le ricette di Massimo D’Alema, quando invece ogni giorno il Servizio Pubblico di questo dovrebbe parlare. Di tutto ciò che sta attorno alla mafia e che non si racconta perché purtroppo spesso è una mafia della classi dirigenti. Perchè come dice il mio maestro Attilio (Bolzoni dell’Espresso ndr), il problema oggi nel paese non sono i poteri illegali, ma il modo illegale con cui agiscono i poteri legali”.
Ti chiedo ancora: “ti vedo un po’ come un moderno Indiana Jones alla ricerca di misteri da svelare… tra un reportage è l’altro, tra le tue trasmissioni e le inchieste sul campo hai trovato anche il tempo di scrivere dei libri, sempre dedicati ai temi a te cari e a Matteo, uno di questi ha per titolo ‘L’Invisibile‘. Perchè?”
“Perchè io e Matteo in fondo ci somigliamo, siamo 2 invisibili. Lui è uccel di bosco da decenni io perché racconto cose destinate a non piacere. Sono impopolare per quel che dico, quindi invisibile, come Matteo. Non potrebbe esser altrimenti, io non scrivo per cercare consensi né popolarità, né per piacere a qualcuno… nel mio lavoro cerco sempre di tenere presente la regola delle 3 ‘S’: Sei, Sempre, Solo… Dall’Invisibile, la biografia di Matteo Messina Denaro, ho trovato poi gli spunti per scrivere un reportage pazzo, che ho chiamato ‘Cosa Grigia’, l’idea cioè di raccontare la mafia oltre la mafia, quello zona grigia oggi diventata sistema criminale”. Qualche tempo fa è stata emessa una sentenza da parte del Tribunale delle Misure di Prevenzione di Trapani circa la confisca dei beni per oltre un miliardo di euro al defunto Carmelo Patti (patron della Valtur) imprenditore di Castelvetrano, personaggio con un notevole curriculum accademico (possesso della licenza elementare). Un’impero costruito partendo dal nulla con l’appoggio della Mafia. Patti fece salto di qualità negli anni ’80, quando cominciò a lavorare per conto della Fiat (e l’Alfa Romeo), nel cablaggio delle automobili. Dalla Punto, come in altre macchine Fiat prodotte in quegli anni, c’è uno zero virgola qualcosa prodotto da Patti nel trapanese. Il suo commercialista è un’anonimo professore che ha solo lui come cliente, ma ha anche un vantaggio sorprendente: la sorella ha dato una figlia a Messina Denaro, ne è in pratica il cognato. Patti è diventato forte grazie alla mafia, ed è cresciuto grazie alle commesse della Fiat. Durante una fastosa cerimonia (era presente anche l’avvocato Gianni Agnelli) gli venne consegnato il “Premio Europeo per la Qualità”. E con gli Agneli Patti poi s’alleò per l’acquisto di Valtur. A me sorge una domanda, e la domanda è questa: scusate, e la Fiat? La Fiat non è stata mai lambita da alcuna inchiesta, sia chiaro. Ma mi chiedo: al di là del piano giudiziario, perché la Fiat da tutta questa vicenda ne è uscita indenne? Intoccabile? Possibile che ancora una volta dobbiamo credere che a Torino, ai piani alti del Lingotto, non sapessero chi fosse il loro fornitore di fili, terminali e conduttori? E’ l’ora di porsela, questa domanda…”.’
Vabbè, qui devo controbattere: “se è per questo c’è chi afferma che c’è la Fiat anche dietro i depistaggi della strage di Bologna e che Romiti era molto preoccupato dopo la caduta del Mig libico sulla Sila (ha anche incontrato Santovito del Sismi). Ma non targiversiamo, ti chiedo: da ciò che scrivi mi pare d’intuire che hai conosciuto due dei residenti più detestati di tutta l’isola, l’indifferenza ed il pregiudizio. Forse anche per questo sei diventato un’invisibile. Tu ti sei quindi trovato tra due fuochi: la mafia e l’antimafia. Hai scritto al riguardo un’altro libro interessante proprio sul tema: ‘Contro l’Antimafia‘. E’ un titolo forte e amaro, che affronta un tema che disturba, perchè la scelta di questo titolo?”
‘Contro l’antimafia’, è un titolo devastante me ne rendo conto, è molto più che provocatorio, perché da giornalista e da siciliano sono disgustato dal potere oligarchico e arraffone di certe associazioni antimafia (specialmente una). L’ho scritto per denunciare i limiti di un movimento dove oggi si aggirano tanti impostori. Purtroppo è nei fatti, l’oligarchia dell’Antimafia si è ridotta alla reiterazione di riti e mitologie di simboli deprimenti, di gesti svuotati di significato. E’ diventato un circuito autoreferenziale che mette sempre e solo in mostra le sue icone: il prete coraggioso, l’imprenditore di turno il nuovo Libero Grassi, il Magistrato iperscortato che rischia la vita per tutti noi etc etc. Come sono inorridito dalle ‘Fabbriche di Parcelle’ (di cui ho scritto nel mio libro) che vede protagonista proprio un’Associazione Antiracket di Marsala. Una pagina nera per l’antimafia in Sicilia. Un’associazione antiracket che dovrebbe esser paladina della legalità che per giunta non ha mai assistito nemmeno un imprenditore vittima di estorsione. Forse saprai che solo il 3% dei beni confiscati alla mafia è stato restituito alle comunità da dove provenivano le rapine. Per ogni villetta assegnata ad una benemerita associazione altre 100 marciscono e cadono in stato di abbandono o rovina (quando non rimangono addirittura ancora in mano ai mafiosi)… per non parlare delle aziende sottratte ai mafiosi che son state fatte fallire dallo Stato, aziende produttive con molti dipendenti che si sarebbero potute valorizzare mettendole sul mercato, vanificando il riutilizzo sociale di quest’enorme patrimonio di beni confiscati”.
Chiedo: “Ecco, proprio a proposito di quello che hai scritto in questo libro, ho letto di questo business delle ‘parti civili’, questi personaggi in giro per l’Italia, avvocati che si sono arricchiti costituendosi Parte Civile senza aver mai assistito processualmente nessuna vittima di mafia. Mi puoi dire qualcosa?”
“Guarda, un giorno mi ha chiamato un’amico, un giornalista di Bologna, che mi dice: ‘sai quì è iniziato il processo alle ‘ndrine emiliane, un processo corposo, roba tosta’. Bene, dico io, l’ho letto. Il processo si chiama ‘Emilia’ come l’operazione ti ricordi? E mi dice: ‘lo sai che tra le parti civili c’è pure un’associazione della tua città, Marsala’. Marsala? E cosa c’entra? ‘Me lo sto chiedendo anch’io. Il Giudice l’ha ammessa. L’avvocato è venuto alla prima udienza e poi non si è fatto più vedere. L’associazione antiracket di Marsala parte civile sul processo alla ‘ndrangheta in Emilia. Roba da non credere’. E’ roba forte, spiego io, ma è una storia lunga. E’ la storia di un’associazione antiracket che è diventata una fabbrica di parcelle. Dominus ne è Giuseppe Gandolfo, avvocato. Non è socio dell’associazione antiracket di Marsala ma è colui che nei fatti la comanda. Dalla sua stanza escono gli atti dell’associazione, è lui che ne cura la segreteria, sceglie i presidenti e li fa votare all’assemblea dei soci, e ne ha fatto (in maniera legale) una macchina da soldi, tramite la sistematica costituzione di parte civile nei processi per mafia, estorsione, inquinamento, corruzione. Prima solo a Marsala, adesso in tutta Italia. L’Associazione Antiracket di Marsala non ha mai assistito alcun commerciante. Organizza ogni tanto dei convegni (ovviamente sulla ‘Trattativa’), non ha mai sporto una denuncia pubblica o pubblicato uno studio, niente. Indirettamente però, ha fatto tante campagne elettorali perchè negli anni è diventata una sorta di comitato politico. Lo stesso avvocato ha tentato di farsi eleggere in tutte le competizioni con diverse formazioni politiche. Da Italia dei Valori al PD. Oggi i Soci dell’Associazione Antiracket di Marsala, sono gli stessi che costituiscono il Movimento 5 Stelle in città. C’è dunque questa associazione antiracket a Marsala, io ne sono socio per me è come uno Studio Medico Omeopatico. Ho raccontato molte volte come è andata. Era l’estate del 2001 e mi ero appena laureato in Giurisprudenza, avevo 23 anni. Prese fuoco uno stabilimento balneare e Prefetto e Sindaco fecero un’appello: ‘non possiamo stare a guardare’. Fù emanato un’avviso pubblico che invitava imprenditori, commercianti e giovani a un’assemblea per costituire un’associazione antiracket. La prima cosa che pensai leggendo il manifesto, fu che la scelta dello Studio del Notaio fosse infelice per la firma di quell’atto costitutivo. Si trattava infatti di uno Studio angusto e mi chiedevo come avrebbe potuto contenere tutte le persone che avrebbero partecipato alla costituzione della prima Associazione Antiracket di Marsala. Mi presentai puntuale all’Assemblea. Ebbene, eravamo solamente due! Io ed il Notaio. Poi arrivò un amico. Poi il Sindaco. Partirono una serie di telefonate ed alla spicciolata arrivarono i rappresentanti dei Sindacati, alcune Associazioni di Categoria, commercianti, ed arrivammo alla decina. E nacque così, tra sforzi immani, l’Associazione Antiracket di Marsala. Che da allora non ha fatto molto per spostarsi da quei numeri e riscattare quella solitaria costituzione. Doveva essere eletto il Presidente alla prima Assemblea. Nessuno voleva farlo. Fummo costretti ad una drammatica riffa, ad una specie di estrazione. Nel silenzio dello studio notarile il nome sorteggiato fù quello di un timido commerciante, tale Michele Lusseri. Appena il Notaio pronunciò alto il suo nome lui, come la Cavallina Storna di Pascoli, emise una specie di nitrito scomposto. Piangeva. Passarono gli anni e dell’Associazione non si seppe più nulla. Michele Lusseri però, che fin dall’inzio diceva di volersi dimettere non piangeva più. Rideva. Perchè si era costruito un piccolo regno tutto suo; una stanza con telefono, fax all’interno del Comando dei Vigili e una cassa da amministrare. E aveva scoperto (o meglio glielo avevano spiegato) il meccanismo delle costituzioni di Parte Civile. E l’Associazione aveva incominciato ad incassare i risarcimenti dei processi per mafia ed estorsione. Soldi ne giravano tanti. Che fine abbiano fatto io non lo so. Cercai di capirci qualcosa ma non mi fu concesso. La cosa si faceva sempre più imbarazzante, molti soci si erano dimessi. Nel frattempo Lusseri, dopo alcune disavventure economiche, si dava all’affare per eccellenza: un Centro Scommesse. Il Presidente dell’Associazione Antiracket che gestisce un Centro Scommesse. Hai capito perchè hai vinto Matteo? Uno stanzone anonimo, con tanti tavolini, le sedie, un paio di televisori, un distributore di snack e un computer. Non avverte alcun disagio a fare il biscazziere. Forse per i suoi clienti sarebbe imbarazzante il contrario, sapere cioè che il titolare del Centro Scommesse è anche il Presidente dell’Associazione Antiracket. Ma lui fa in modo di non farlo intendere. L’Associazione Antiracket di Marsala chiede la costituzione di Parte Civile in tanti processi. E’ come giocare al ‘Gratta e Vinci’. Cerchi di pescare quello fortunato. Per questo forse al Presidente gestire un Centro Scommesse pare una cosa naturale. E’ la continuazione dell’attività dell’Associazione con altri mezzi. Una volta sono andato a trovare il Presidente nel suo studio, e gli ho chiesto: ‘ma non ti imbarazza fare soldi così e rappresentare l’Antiracket?’ Lui m’ha fissato per alcuni secondi poi m’ha fatto un gran sorriso: ‘ma perchè tu la bolletta non la giochi?’ Quando rendo pubblica la vicenda accadono due cose. La prima è che Lusseri mi leva il saluto. La seconda è che l’Avv. Gandolfo (il dominus dell’Associazione) decide di creare il suo piccolo capolavoro. Fà tesserare in massa l’Associazione, i suoi collaboratori, i parenti e gli aderenti al Movimento 5 Stelle. Ottenuto il controllo totale dell’Associazione fà dimettere Lusseri e come Presidente mette uno del suo ‘giro’. Viene convocata l’Assemblea Straordinaria dei Soci per riscrivere lo Statuto. E che succede? Siccome i processi per estorsione languono bisogna allargare il giro. E allora l’Associazione Antiracket nello Statuto inserisce anche la tutela da altri reati. Tutti dentro: truffe, violenza, corruzione, manca solo l’abigeato. E siccome anche il Tribunale di Marsala sta stretto, inseriscono sedi in tutt’Italia: Roma, Milano, Lecco, Bologna. E allora mi rivolgo di nuovo a lui. Sì proprio a lui. Hai capito Matteo? L’Associazione Antiracket di Marsala apre una sede a Lecco. Esportiamo legalità mi verrebbe da dire. Questa è una lettera di resa Matteo, perchè mi pare, così da osservatore, uno che di cose ne ha viste tantissime, di storie ne ha sentite parecchie, che si sia come chiuso un cerchio. Mentre mezzo secolo fa i mafiosi venivano mandati al confino nel nord-Italia, adesso è l’antimafia che va al confino. E come allora il sistema punitivo fu un involontario ma formidabile volano per le famiglie mafiose meridionali che aprirono sezioni distaccate delle loro cosche al nord, allo stesso modo quest’antimafia fasulla noi l’esportiamo al nord per cercare di allargare business, di raschiare qualcosa nella parte produttiva del Paese, dato che quì al Sud non c’è più molto da raschiare e le bocche da sfamare sono tante. Sia in parte di Mafia che in parte di Antimafia”.
Concordo con le pigrizie dell’antimafia di Stato, le ipocrisie di certi apparati e la cd antimafia sociale (fatta anche di questi imbonitori, predicatori di legalità ed imbroglioni) … “allora ti domando per concludere: visto che non offri morali consolatorie, dico che è sin troppo facile criticare essendo negativi più difficile esser propositivi e costruttivi. Questa è la critica ma qual’è la tua proposta?”
“Il mio mestiere è quello di raccontare in modo onesto ed obiettivo, tutti i fatti a mia conoscenza, senza nascondere nulla. Informo per dare consapevolezza. Per il lavoro che faccio guardo la realtà studiando i fenomeni di cui voglio interessarmi facendo in modo che anche chi mi legge s’arricchisca con altri punti di vista. Chiaramente occupo un posto scomodo perché questo non lo vuole far nessuno… è un lavoro che mi è costato tanta fatica perché continuo a metterci metto dentro perizia, tanta attenzione e meraviglia”.
Concludo con i saluti: “Grazie Giacomo della chiacchierata e delle tue risposte….
“… … … ”
“Giacomo? Non ti vedo più ci sei …?”
“… … …”
“Giacomo? Sei già sparito … ?”
“… … …”
E’ di nuovo invisibile.