Angelo Migliore

Mafia politica. L’origine della collusione II parte

 

Prosegue il racconto sulla commistione tra mafia e politica 

Omicidio di Joe Petrosino

Il 12 marzo del 1909 il tenente di polizia americano, di origini italiane, Joe Petrosino, capo di uno speciale corpo investigativo istituito negli USA per combattere la mafia, al tempo in America conosciuta con la definizione di “mano nera”, e che era venuto in Sicilia proprio per approfondire le indagini sui rapporti tra la mafia siciliana e quella statunitense, mentre fa rientro all’Hotel de France dove alloggia, in piazza Marina a Palermo, viene assassinato a colpi di pistola.

La polizia italiana accentra i sospetti quale esecutore materiale dell’omicidio sul capomafia Vito Cascio Ferro, da Bisacquino, personaggio che aveva trascorso alcuni anni in America, dove aveva stipulato accordi coi mafiosi di quello Stato, che peraltro viene trovato in possesso di una foto del poliziotto. L’indagine subisce un immediato impedimento ai suoi sviluppi allorché si tratta di smontare un alibi precostituito ad arte: l’onorevole Domenico De Michele Ferrandelli, politicamente filogiolittiano, mafioso pubblicamente riconosciuto, dichiara che il Cascio Ferro, al momento del delitto era ospite a casa sua, a settanta chilometri da Palermo.

Il nome di Vito Cascio Ferro è il primo di una lista di mafiosi compilata dal Petrosino, che viene trovata nella sua camera d’albergo il giorno dell’assassinio.

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Omicidio di Bernardino Verro

Il 3 novembre 1915, mentre percorre la strada che dal municipio lo porta a casa, assieme alla compagna, Maria Rosa Angelastri, e alla figlioletta di appena un anno, viene fatto segno a numerosi colpi di pistola esplosi da due sicari, rimanendo ucciso sul colpo poiché raggiunto da undici colpi di cui quattro al capo.

Il Verro, se pure con trascorsi di appartenenza alle cosche mafiose, con regolare rito di affiliazione, (ma fu una sua scelta deliberata per poter ottenere quella forza necessaria alla difesa dei diritti dei contadini durante l’attività dei “Fasci Siciliani” di fine ‘800, al fine di poter contrastare il potere assoluto dei grandi feudatari e dei loro fidi gabellotti), si era reso promotore della formazione di cooperative agricole tra contadini, a Corleone e in altri centri circostanti, perciò arrecando un danno consistente ai latifondisti che dettavano le condizioni e i prezzi di mercato, costringendo i contadini a vivere in uno stato di assoluta indigenza.

Nel 1910 aveva indetto uno sciopero di protesta contro il sindaco di Corleone, denunciando pubblicamente la sua collusione con le cosche mafiose, rimanendo vittima, per tale ragione, di un primo attentato alla sua persona, in seguito al quale, per puro caso, era rimasto solo ferito.

Nel 1914 viene eletto sindaco di Corleone con grande successo elettorale, continuando la sua caparbia lotta a fianco dei contadini.

Era davvero troppo per la mafia, alleata dei potenti feudatari e dei loro sodali gabellotti, che vedevano compromessi i loro interessi.

 

Discorso di Vittorio Emanuele Orlando

L’onorevole Vittorio Emanuele Orlando, già presidente del Consiglio, nel 1925, allorché il governo Mussolini decide di adottare misure drastiche contro la mafia, inviando in Sicilia il prefetto Cesare Mori, in un pubblico comizio, pronuncia queste parole:

<<Ora io vi dico che se per mafia si intende il senso dell’onore portato fino alla esagerazione, l’insofferenza contro ogni prepotenza e sopraffazione, portata sino al parossismo, la generosità che fronteggia il forte ma indulge al debole, la fedeltà alle amicizie, più forte di tutto, anche della morte, se per mafia si intendono questi sentimenti e questi atteggiamenti, sia pure con i loro eccessi, allora in tal senso si tratta di contrassegni indivisibili dell’anima siciliana e mafioso mi dichiaro e sono lieto di esserlo!>>.

Dunque per l’Orlando la mafia era solo un’espressione della sicilianità, in cui aveva la pretesa di rilevare solo gli aspetti positivi in essa insiti, piuttosto che un fenomeno criminale a tutto tondo. Nella qualità di docente, giurista, statista e buon ultimo siciliano, ci viene il sospetto che egli, piuttosto che non aver capito nulla della mafia, fosse invece interessato a deviarne ogni obbiettiva e realistica analisi.