Angelo Migliore

Giulio Andreotti l’estinto per prescrizione. Rapporti mafia politica V parte

Prosegue il racconto sulla commistione tra mafia e politica 

Giulio Andreotti

E’ stato sottoposto a giudizio a Palermo per associazione per delinquere. Mentre la sentenza di primo grado, emessa il 23 ottobre 1999, lo aveva assolto perché il fatto non sussiste, la sentenza di appello, emessa il 2 maggio 2003, distinguendo il giudizio tra i fatti fino al 1980 e quelli successivi, stabilì che Andreotti aveva «commesso» il «reato di partecipazione all’associazione per delinquere» (Cosa Nostra), «concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980», reato però «estinto per prescrizione». Per i fatti successivi alla primavera del 1980 è stato invece assolto.

La sentenza della Corte di Appello di Palermo del 2 maggio 2003, in estrema sintesi, parla di una «…autentica, stabile ed amichevole disponibilità dell’imputato verso i mafiosi fino alla primavera del 1980». Interrogato dalla Procura di Palermo il 19 maggio 1993, il sovraintendente capo della polizia Francesco Stramandino, dichiarò di aver assistito il 19 agosto 1985, in qualità di responsabile della sicurezza dell’allora Ministro degli Esteri Andreotti, ad un incontro tra lo stesso politico e quello che solo successivamente sarà identificato come boss Andrea Manciaracina, all’epoca sorvegliato speciale e uomo di fiducia di Salvatore Riina. Lo stesso Andreotti ammise in aula l’incontro con Manciaracina, non potendo a quel punto negarlo, ma ebbe l’ispirazione di trovarne la motivazione con “problemi relativi alla legislazione sulla pesca”.

Pur confermando che Andreotti incontrò uomini appartenenti a Cosa nostra anche dopo la primavera del 1980, il tribunale stabilì che mancava «qualsiasi elemento che consentisse di ricostruire il contenuto del colloquio». Sia l’accusa sia la difesa presentarono ricorso in Cassazione, l’una contro la parte assolutiva e l’altra per cercare di ottenere l’assoluzione anche sui fatti fino al 1980, anziché il proscioglimento per prescrizione. Tuttavia la Corte di Cassazione il 15 ottobre 2004 rigettò entrambe le richieste confermando la prescrizione per qualsiasi ipotesi di reato fino alla primavera del 1980 e l’assoluzione per il resto. Nella motivazione della sentenza di appello si legge (a pagina 211):

<< Quindi la sentenza impugnata, al di là delle sue affermazioni teoriche, ha ravvisato la partecipazione nel reato associativo non nei teriduttivi di una mera disponibilità, ma in quelli più ampi e giuridicamente significativi di una concreta collaborazione>>.

 

Marcello Dell’Utri

Il 9 maggio 2014 la Corte di Cassazione ne conferma in via definitiva la condanna a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, avendo accertato che lo stesso  intrattenne stretti rapporti con  l’organizzazione mafiosa di Stefano Bontate, Totò Riina e Bernardo Provenzano sino alla stagione delle stragi di Falcone e Borsellino, facendo da intermediario fra esse e Silvio Berlusconi, al tempo ancora non entrato in politica.

La Cassazione ritiene pienamente confermato l’incontro del 1974, anno in cui si fa risalire l’inizio dei rapporti con la mafia, tra Berlusconi, Dell’Utri e i capimafia Francesco Di Carlo, Stefano Bontate e Mimmo Teresi in uno degli uffici del futuro presidente del Consiglio, in foro Bonaparte a Milano, dove fu presa la decisione di far giungere Vittorio Mangano presso l’abitazione di Berlusconi ad Arcore, ufficialmente nella qualità di stalliere, per garantire la protezione di Berlusconi e dei suoi familiari.

Mangano, già con precedenti a carico che lo fanno ritenere un mafioso, diverrà nel prosieguo capo mandamento del rione Porta Nuova di Palermo.

Pienamente riscontrata anche “la risultante di convergenti interessi di Berlusconi e di Cosa Nostra” e “il tema della non gratuità dell’accordo protettivo, in cambio del quale sono state versate cospicue somme da parte di Berlusconi in favore del sodalizio mafioso che aveva curato l’esecuzione di quell’accordo, essendosi posto anche come garante del risultato”. Nelle 146 pagine di motivazioni, la suprema Corte parla “senza possibilità di valide alternative di un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell’Utri che, di quella assunzione, è stato l’artefice grazie anche all’impegno specifico profuso da Cinà” (n.d.r. Antonino Cinà, mafioso).

Il Dell’Utri, già in rapporti d’affari con l’imprenditore Berlusconi fin dagli anni settanta, nel 1993 è uno dei principali artefici della fondazione di Forza Italia insieme a Silvio Berlusconi che lo farà eleggere prima alla Camera dei Deputati, poi al Parlamento Europeo e infine al Senato della Repubblica.

Il suo ruolo di mediatore tra l’organizzazione Cosa Nostra e Berlusconi consentirà a questi di riportare il noto successo alle elezioni politiche del 1994, soprattutto in Sicilia.

Nel 2008 viene ancora eletto al Senato per il PDL, sigla sotto la quale è transitato il vecchio partito Forza Italia, pur avendo già riportato una condanna in primo grado per associazione di tipo mafioso.

Nel 2014, dopo la sentenza di secondo grado che conferma la pena inflittagli, si rende latitante, rifugiandosi in Libano con documenti falsi. Verrà però localizzato dalle forze di polizia italiane, estradato in Italia e definitivamente arrestato.

Nell’aprile del 2018 sarà ancora condannato in primo grado alla pena di anni 12 nel processo sulla trattativa Stato-mafia, di cui si dirà a seguire.

Silvio Berlusconi ebbe a definirlo pubblicamente “un eroe”, non è facile comprendere bene – rectius, si comprende benissimo – per quali ragioni.

 Salvatore Cuffaro, inteso “Totò vasa-vasa”

È stato condannato definitivamente a sette anni di reclusione per favoreggiamento personale verso persone appartenenti a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio. Scontata la pena, è ritornato in libertà il 13 dicembre 2015.

Politico di lungo corso, già appartenente alla vecchia DC, era transitato al CDU, poi all’UDEUR e infine all’”UDC. Ha ricoperto più volte il ruolo di assessore al Governo della Sicilia. Nel 2004, eletto deputato al Parlamento Europeo come capolista, aveva rinunciato al seggio a favore del secondo degli eletti Raffaele Lombardo.

E’ stato eletto Presidente della Regione Sicilia nel 2001, incarico che ha mantenuto fino al 2006. Nel 2006 verrà rieletto per il secondo mandato consecutivo ma nel 2008, a seguito di condanna in primo grado e interdizione perpetua dai pubblici uffici, sarà costretto a dimettersi.