Un caloroso applauso al detenuto Salvatore Buzzi, ha accompagnato la sentenza della cassazione sul processo denominato mafia capitale che lo vedeva fra i gli imputati di spicco. Da qualche giorno dunque, non si parla più di mafia nella capitale ma di altro e per cercare di capire la forma e la sostanza di questo “altro”, non possiamo affidarci alle sentenze.
Se a Reggio Calabria o a Palermo un delinquente uccide, estorce, ricatta e minaccia pubblici ufficiali, si parla di metodi mafiosi. Se le medesime cose avvengono a Milano sono metodi mafiosi solo se a compierli sono dei meridionali; se ad esempio sono lombardi, diventano “atti delinquenziali”.
Gli stessi fatti riscontrati a Roma però, ci trovano impreparati sulla definizione; secondo gli ermellini infatti, gli affari di Buzzi e Carminati non comprendono mafia tanto che i due, sono in attesa dei benefici penitenziari conseguenti alla sentenza che fa decadere l’associazione mafiosa.
Per iniziare, stop al carcere duro ma in fondo, cosa hanno fatto di male?
Massimo Carminati fra un’ estorsione aggravata e l’altra, corrompeva il mondo con le buone maniere tipiche di un membro della banda della Magliana.
Imputazioni simili per Buzzi, che nel suo rispettabile passato, annovera l’assassinio del suo amico e socio con 34 coltellate.
Non è mafia dicono, e già si parla di richieste di scarcerazione. Il punto è, che ripercorrendo la storia di questi due signori, “i non mafiosi” o “i diversamente mafiosi”, la colpa più grande, è di chi si è illuso che finalmente sarebbero finiti assicurati alla giustizia dopo lunghi anni di delinquenza organizzata.
Quante e quali sono le manine provvidenziali intervenute in loro aiuto ?
“Salvatore Buzzi, condannato a 30 anni per omicidio volontario, fu un detenuto modello: nel 1983 fu il primo carcerato in Italia a laurearsi in cella, in Lettere e Filosofia, con la votazione di 110 e lode. Il quotidiano «la Repubblica» gli dedicò un articolo. Il 29 giugno 1984 Buzzi organizzò un convegno sulla condizione delle carceri in Italia. Fu uno dei primi convegni su temi giuridici organizzati da un detenuto nelle carceri italiane.
“A volte l’uomo inciampa nella verità, ma nella maggior parte dei casi si rialza e continua per la sua strada”, diceva Winston Churchill…
“Nell’aprile 2005 il Tribunale di Perugia ha condannato Massimo Carminati a quattro anni di reclusione per un furto avvenuto a Roma il 17 luglio del 1999 ai danni del caveau della Banca di Roma che si trovava all’interno al Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio. Considerato la mente di tutta l’operazione, assieme ad una banda composta da circa 23 persone compresi i complici interni, Carminati riuscì a trafugare da 147 cassette di sicurezza di “proprietà” di dipendenti del palazzo 50 miliardi di lire in oro e gioielli, oltre a diversi documenti riservati appartenenti a giudici e pubblici ministeri che sarebbero serviti per ricattare alcuni magistrati.
Il 21 aprile 2010 a Roma la sentenza della Cassazione conferma la pena a 4 anni. Nel maggio del 2010 il procuratore generale di Perugia dispone la sospensione dell’esecuzione della pena. Poi arriva l’indulto del 2006: a luglio 2010, tre mesi dopo, Carminati ottiene l’affidamento in prova e a gennaio 2011 la pena è estinta.”
Come si possa definire estraneo alla mafia il raggio d’azione criminale di Buzzi e Carminati risulta inspiegabile ma vincono loro, ancora una volta. Vince la corruzione di uomini dentro le istituzioni che non possono permettersi di tenere sotto chiave questi due signori. Semplicemente, vince “il mondo di mezzo”.