Carmelo Carbone

5 Aprile 1973 – Attentato Al Questore Angelo Mangano

Roma. Mercoledì 5 aprile 1973, ore 20. Il questore Mangano esce dall’ufficio dell’Interpol e a bordo della “1100” di rappresentanza, guidata dall’appuntato Casella, si dirige verso casa, in via Tor Tre Teste. Vi arriva intorno alle 20:30.

L’appuntato si è accostato con l’auto al marciapiede sulla sinistra, il dott Mangano scende dall’auto, nello stesso istante un’ “Alfa Romeo 1750” si ferma a qualche metro di distanza dalla “1100” e subito dopo il questore e l’autista, quest’ultimo fermo al volante e col motore acceso in attesa che il questore entri in casa, vengono investiti da una pioggia di proiettili esplosi da pistole e lupare, sparati dai quattro uomini a bordo di un’auto.

Il questore colpito al torace, alla spalla, al braccio ed alla mano, in preda ad un dolore lancinante si accascia sul marciapiede, a questo punto dall’”Alfa Romeo” scende uno dei quattro per dargli il colpo di grazia, gli spara in fronte, Mangano riesce a deviare il colpo che lo ferirà alla mano destra e finirà la sua corsa poco sopra l’occhio sinistro all’altezza del sopracciglio. Sicuro di aver portato a temine il proprio sporco lavoro, il killer sale in auto, dove ad attenderlo ci sono i tre complici, l’auto parte a fortissima velocità e si dirige verso la Casilina.

L’appuntato, nonostante fosse stato colpito da due proiettili, uno alla mascella e l’altro al torace, fu in grado di trascinare il questore gravemente ferito ma cosciente sino all’auto, facendolo sdraiare sul sedile posteriore e messosi al volante, riuscì a raggiungere la vicina “Villa Irma”.

I colpi nel frattempo erano stati uditi dalla cameriera di casa Mangano che si trovava in cucina intenta a preparare la cena.

Ha sentito signora?” – ha domandato – correndo nell’altra stanza dove si trovava la moglie, – “sembra una sparatoria”. – “ma che ti prende? Sarà il tuono” – rispose la moglie del questore.

Anche il cognato del questore che abitava nella casa accanto aveva udito gli spari. La moglie del questore uscì nella via, e vide a terra sul marciapiede un mazzo di chiavi, che subito riconobbe essere quelle del marito. Con un urlo si precipitò in casa invocando soccorso.

Dalla clinica “Villa Irma”, questore ed appuntato, vennero subito trasportati all’ospedale San Giovanni, dove i medici in un primo momento giudicarono gravissime le condizioni del dott. Mangano e meno gravi quelle dell’appuntato Casella. In sala operatoria il professor Grassi incominciò un difficile intervento sul questore. I proiettili che lo avevano colpito alla testa ed al torace erano ritenuti, mentre quelli che lo avevano ferito alla mano sinistra ed al braccio destro presentavano foro di entrata e di uscita. Si accertò successivamente che i proiettili erano stati esplosi da un fucile calibro dodici a canna mozza e da una pistola.

Intanto il Ministro dell’Interno Mariano Rumor ed il prefetto di Roma dottor Ravalli arrivarono in ospedale. Il ministro dirà: “ha una forte fibra, è quasi certo che se la caverà”.

L’indomani un nuovo bollettino medico rettificava il numero di colpi d’arma da fuoco che avevano colpito il questore, non quattro, bensì cinque (un’altra pallottola lo colpì alla mano destra; ferita provocatagli dal riuscito tentativo di deviare il colpo che avrebbe dovuto finirlo). Il professor Grassi fra l’altro annunciò che sarebbero trascorsi tre o quattro giorni prima di sciogliere la prognosi. Intanto le condizioni dell’appuntato Casella considerate in un primo momento come non gravi, furono giudicate più gravi del previsto, in quanto era probabile che un proiettile avesse potuto ledere una vertebra cervicale.

Questore e appuntato ricoverati nella stessa stanza, erano sorvegliati da agenti di polizia in camice da infermieri, non vengono mai persi di vista, neppure durante il trasporto dalla stanza di degenza alla sala operatoria o di medicazione. Altri poliziotti erano di guardia nei corridoi e all’ingresso dell’ospedale, per evitare che i criminali portassero a termine il loro lavoro. Nel frattempo, furono recapitate presso l’ospedale San Giovanni, indirizzate al questore Mangano due lettere minatorie.

In un primo momento come atto dovuto la magistratura istruì la pratica a carico di ignoti. Dopo qualche giorno dalla data del fallito attentato, Mangano indicò agli inquirenti, dal letto dell’ospedale presso il quale era ancora ricoverato in convalescenza, in Frank Coppola il mandante e in Ugo Bossi e Sergio Boffi gli esecutori materiali dell’attentato. Il movente del delitto, disse il questore agli inquirenti, andava ricercato nel desiderio di Coppola di dimostrare alla mafia di non essere una spia di Mangano.

Il questore, a tal proposito, dichiarò agli inquirenti che fin dai tempi immediatamente successivi alla fuga di Liggio, aveva cercato di convincere Coppola a fargli qualche rivelazione che potesse essergli utile per catturare il bandito, e che in un colloquio del 2 aprile 1973, si era convenuto che Coppola avrebbe dovuto dargli queste notizie per il 5 aprile. Senonché Coppola, messo alle strette dai mafiosi (in particolare da Gaetano Badalamenti) per allontanare da sé ogni sospetto e anche per conservare la posizione di prestigio che aveva nel mondo della droga, avrebbe organizzato e fatto attuare l’agguato. Il procedimento a carico degli imputati li vedrà assolti per non aver commesso il fatto.

Il pentito collaboratore di Giustizia Antonino Calderone, ritenuto attendibile dal giudice Falcone, racconterà moltissimi anni dopo i dettagli dell’attentato, riferitigli dal fratello Pippo allora capo di Cosa nostra a Catania.

Vi ricordate il famoso attentato al questore Angelo Mangano di cui tanto si è parlato sui giornali? Ebbene sono in grado di riferirvi come si sono svolte le cose. Uno degli autori dell’attentato fu Liggio, ma gli altri partecipanti non erano siciliani ma napoletani. Ho appreso queste circostanze da Pippo, il quale commentò con Stefano Bontade – per fortuna nnessun palermitano è coinvolto in una cosa fatta così male” – e ancora: “i napoletani che stavano con Liggio erano Ciro Mazzarella e Michele Zaza, entrambi contrabbandieri. Mazzarella guidava l’automobile che si avvicinò all’ingresso della casa di Mangano. Liggio scese dalla macchina per sparare in testa al Mangano da una distanza ravvicinata per essere sicuro di non sbagliare, senonché o per difetto dell’arma o per difetto delle cartucce o per altri motivi, Mangano non fu ferito mortalmente… Nello Pernice mi disse anche che Liggio non riusciva a darsi pace per questo fallimento”.

Il questore Angelo Mangano, dopo aver lottato con tutte le proprie forze la mafia, dopo aver fatto emergere collusioni di quest’ultima con alcuni apparati dello Stato, dopo il fallito attentato dal quale si salvò per miracolo, dopo la discutibilissima “relazione” redatta dell’onorevole Francesco Mazzola comunicata alla Presidenza della Camera il 26 febbrario 1975, viene assalito da una profonda amarezza, per come è stato trattato da quello Stato che ha servito senza risparmiarsi, mettendo continuamente a repentaglio la propria vita.

Infatti, l’onorevole Mazzola, nella suddetta relazione avente per argomento la vicenda della manipolazione delle bobine relativa alle intercettazioni telefoniche connesse alla latitanza ed alla irreperibilità di Liggio, critica aspramente il comportamento di Mangano, dando di fatto maggior credito alle farneticanti dichiarazioni del mafioso Frank Coppola piuttosto che alle verità del questore. Prosegue poi, dando quasi per scontato che Mangano avesse chiesto dei soldi a Coppola per far cancellare alcuni passaggi contenuti sui nastri che lo compromettevano.

Ricordiamo che nel 1981 in sede giudiziaria la vicenda vedrà il questore Mangano prosciolto in istruttoria da questa infamante accusa, mentre Coppola verrà rinviato a giudizio per diffamazione. Il processo a suo carico si interromperà per la morte del mafioso avvenuta l’anno successivo. L’onorevole Mazzola continua insinuando che l’attentato subito da Mangano non era sicuramente di matrice mafiosa; accusa quasi il questore di essere colluso con Liggio e di aver fallito tutte le operazioni antimafia che ha fatto.

Fortemente amareggiato, dunque, Mangano redige a sua volta un documento che invia alle maggiori cariche statuali, ovvero: all’onorevole presidente della Commissione Antimafia, al presidente della Camera dei Deputati, al presidente del Senato, al Ministro degli Interni e al Capo della Polizia, con cui chiede: «di acclarare la realtà dei fatti storici» in modo da riabilitare agli occhi dell’opinione pubblica la sua figura di uomo

e di funzionario. Infatti si tentò di far sparire Mangano dalla scena italiana, incaricandolo “di recarsi a Manila nelle isole Filippine per compiti di studi e ricerca sull’organizzazione dei servizi di Polizia” La misura era oltremodo colma! Mangano rifiutò l’incarico!

Ricordiamo quel che disse Buscetta al giudice Falcone nel momento in cui iniziò a collaborare con la giustizia.“Cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto con Cosa nostra non si chiuderà mai”.

Intervista al questore Mangano.

Da “L’EUROPEO” del 5 luglio 1973 (tre mesi dopo il gravissimo attentato a Mangano) di Enzo Magrì.

Magrì: “Questore Mangano , lei lo sa che fino a qualche giorno fa alcuni pensavano che fosse stato lei a organizzare la messinscena dell’attentato”?

Mangano: “Questo si che lo so. So che circolavano queste voci. Qualcuno l’ha addirittura scritto. Si è vero, si è parlato di una messinscena. Di tante messinscena: la messinscena della cattura di Luciano Liggio; del conflitto a fuoco col bandito Graziano Mesina; della cattura del mafioso Panzeca. Tutte messinscena. Tutte finzioni. Tutte “verità di Mangano”.

Magrì: “Questore Mangano, un’ultima domanda: Perché lei, tra tanti importanti poliziotti, è l’uomo più discusso, diciamo invidiato? Perché i suoi nemici sono arrivati al punto di pensare che lei si fosse organizzato persino un attentato?

Mangano: “Forse perché ho dei meriti che altri non hanno. Di Liggio c’è ne uno solo e l’unico a catturarlo sono stato io. Forse per questo mi odiano”.

Magrì: “Chi?”.

Mangano: “La mafia non sempre spara” (palese riferimento alla “macchina del fango” che l’ha investito. n.d.a.).

___________

Il 25 febbraio 1975, nell’articolo intitolato “Nastri nostri”, apparso sul settimanale “Panorama”, Roberto Fabiani descrive in questo modo la figura del questore Angelo Mangano. “Dice raramente la verità, e nessuno si spiega il perché, sul suo luogo di nascita: è di Giarre Riposto, in provincia di Catania, ma di solito dice che è nato a Catania. Nel ‘67 davanti alla Corte d’Assise di Cagliari dichiarò di essere nato a Greve, provincia di Enna. (Mangano è nato a Giarre e non a Giarre Riposto che alla data di nascita del questore ed anche oggi sono due comuni autonomi, inoltre non esiste alcun comune denominato Greve in provincia di Enna.-n.d.a.).

Ha precedenti inquietanti: nel ’41 venne condannato dal Tribunale militare a tre anni di reclusione per diserzione continuata, ma nel suo fascicolo personale, al Ministero dell’Interno, il certificato penale dichiara il classico “nulla”. (Il curriculum del questore Mangano depositato presso il Ministero dell’Interno è immacolato. Il dott. Mangano fu promosso applicato di Pubblica Sicurezza il 1° aprile 1942. Durante il periodo nazifascista, conseguì la nomina a funzionario ausiliario e venne destinato alla questura di Torino, che, però, non raggiunse. Fu quindi dichiarato rinunciatario.- n.d.a.). .Nel 1967, durante il suo soggiorno in Sardegna, dove lo aveva spedito Vicari per dare la caccia ai banditi, collezionò una serie di denunce per falso in atto pubblico e calunnia. E al processo contro Graziano Mesina, il pubblico ministero disse testualmente: “Mangano dovrebbe comparire in quest’aula nella stessa gabbia in cui sono rinchiusi i banditi”. (visto il tono dell’articolo dubitiamo molto sul fatto che il pubblico ministero abbia potuto fare tale dichiarazione.-n.d.a.)

Frugando negli archivi dell’Antimafia, per giunta, i commissari hanno trovato un pacco di rapporti spediti dai procuratori della Repubblica di mezza Sicilia (nell’isola Mangano ci ha passato quasi due anni, ancora una volta inviato speciale di Vicari per dare la caccia ai mafiosi) che dicono del questore tutto il male possibile. (casomai è vero il contrario, il dott. Mangano fece pervenire alla Commissione Antimafia “rapporti riservati” con i quali accusava alcuni organi delle istituzioni, magistrati e politici di essere collusi con la mafia.-n.d.a.)

Come ha fatto allora Mangano a salire nella carriera senza trovare nessun ostacolo? La Commissione ha risposto: protezione ad oltranza da parte di Vicari, a cui Mangano è legato da rapporti che sono ancora tutti da chiarire e che risalgono ai tempi roventi dell’assassinio del bandito siciliano Salvatore Giuliano. (Mangano ebbe il suo primo incarico in Sicilia nel novembre del 1963, quindi con la vicenda del bandito Giuliano che ebbe il suo epilogo il 5 luglio 1950 con la messinscena del finto conflitto a fuoco con i carabinieri , non ebbe nulla a che fare.-n.d.a).

Di questo suo singolare collaboratore prediletto Vicari diede solo una volta, anni fa, un giudizio a mezza bocca: “I delinquenti non si combattono con i galantuomini’…” (Non ci risulta che Vicari abbia mai fatto questa affermazione. Ci risulta da atti e fatti invece il contrario, ovvero che Vicari nutrisse una smisurata fiducia nell’uomo e nel funzionario Angelo Mangano.- n.d.a.).

_______________

Dal giorno dell’attentato e per il resto della sua vita soffrì di quotidiani e fortissimi mal di testa a causa delle schegge dei proiettili che gli rimasero conficcate in testa e che non fu in alcun modo possibile rimuovere. Si spense improvvisamente all’età di 85 anni, il primo aprile del 2005, a causa di un’ emorragia cerebrale causata dalle schegge rimaste l’encefalo.

Nessuna via gli è stata intitolata e nessun luogo porta il suo nome. Molti oggi ignorano chi sia questo impavido, onesto e probo servitore dello Stato. Fu un uomo che spese e sacrificò la propria vita alla ricerca delle verità. Verità che in quel contesto storico sarebbe stato più comodo e conveniente non cercare. Fu per questo un uomo scomodo da vivo, il suo ricordo, una “scomoda” verità da morto.

Ti potrebbe interessare anche?