La Themis & Metis intervista l’uomo che ha schiaffeggiato la ‘ndrangheta rifutando ricatti e minacce: Gaetano Saffioti
– Dottor Saffioti, un giorno lei ha detto un “no” che ha cambiato per sempre la sua vita. Ha detto “no” ad un sistema criminale che è ad oggi, il più potente e pericoloso del mondo: la ‘ndrangheta. Può raccontarci i momenti vissuti prima di giungere a quel “no” ?
Momenti? Un piccolo riassunto…
L’esperienza di un calabrese, imprenditore che ha fatto “la scelta sbagliata”. La prima violenza della ‘ndrangheta la provai già alla tenera età di nove anni, quando in vacanza presso una colonia estiva organizzata dalla scuola elementare di Palmi in località S.Eufemia D’Aspromonte, dopo tre giorni di permanenza mi raggiunse mio padre (produttore olio d’oliva e frantoiano) il quale a seguito di minacce ricevute, temendo per la mia incolumità, mi chiese (ordinò) di abbandonare la tanta agognata vacanza perché “sentiva la mancanza della mia presenza a casa”.
Certo non fu facile per me quella scelta obbligata ma il rispetto e l’obbedienza verso il genitore fu più forte del piacere di stare coi coetanei in una nuova e bella esperienza. Mio padre morì all’età di 50 anni per un male incurabile quando io ne avevo solo 15. Mia madre, raggiunta la maggiore età, mi spiegò le vere ragioni che spinsero mio padre, suo malgrado, a togliermi da quel luogo in cui ero felice e spensierato. Solo allora, lo ammetto, riuscii a capirlo e comprenderlo.
Mio padre, come anche ai miei fratelli ( 4 fratelli e 2 sorelle), finchè potè, ci inculcò già dalla giovanissima età i valori della vita, della morale, del lavoro, dell’onestà, del rispetto verso gli altri, ed oltre all’istruzione scolastica, pretese che apprendessimo da lui tutto quello che svolgeva nella sua attività lavorativa e non.
Questa sua scuola di vita fu molto importante per me e lo è tuttora. Ne sento molto la mancanza e non solo per il legame affettivo che ci legava.
Non ci parlò mai delle vicende “ambientali”, per ovvie ragioni di età ma, una volta scomparso, questo peso tocco a mia madre, sia verso noi figli, che con questi estranei.
E’ facilmente intuibile la difficoltà di affrontare tutto da parte di una donna, vedova e madre di 6 figli minorenni e con un’ azienda da mandare avanti.
L’arrivo dell’ennesima richiesta estorsiva la spinse a rivelarci tutto tra le lacrime. Tutto quello di cui era a conoscenza ovviamente. Non credo che mio padre le dicesse tutto.
La sua grande preoccupazione era, non sapere come uscirne. Dicemmo in coro di rivolgersi alle forze dell’ordine ma lei ci supplicò di tenere a mente quale fossero le regole che vigevano (ahimè tuttora) nella cultura calabrese. Se ci si rivolge alle forze di polizia si è infami e traditori (ma di chi?) e l’unica scelta possibile è cercare un intermediario, oppure pagare in silenzio (atto dovuto, lo fanno tutti) ed in ultima analisi andare via (ma dove?) se te lo consentono…
Mia madre ci spiegò che da sempre, nel territorio, esistono famiglie storiche che controllano e gestiscono sia le attività che la vita delle persone. “E’ un fatto normale dare loro quel che chiedono”. Una specie di diritto acquisito. Cominciai a chiedermi se vivessi in Italia o in un paese ove vige la forza bruta, famiglie e regole tribali, genuflettersi oltre a Dio, etc etc…
Insomma, se ero libero.
Da lì, capii in quale contesto avrei dovuto vivere e lavorare.
I pochi ma essenziali insegnamenti che mio padre riuscì a darmi, contribuirono non poco a farmi crescere, studiando e lavorando fino a tarda ora, al fine di dare il mio personale contributo al bene familiare. Dapprima nell’azienda da lui creata, successivamente, seguendo una mia vocazione per il settore edilizio.
Così, dopo aver adempiuto al servizio di leva che svolsi come agente ausiliare nel corpo degli agenti di custodia ( giusto per non perdere un anno di vita inutilmente, inviando denaro a casa e non viceversa), mi iscrissi alla Camera di Commercio per dare ufficialmente corso alla mia “vocazione”.
Era il Marzo 1981 e da subito ed in percentuale di crescita della mia personale Ditta, nel corso dei successivi anni fui vessato e perseguitato, quasi fosse un delitto quello di crescere e creare occupazione e di conseguenza sviluppo e benessere per se e per gli altri.
Ma le regole della ‘ndrangheta sono queste; chiedere se si può o no partecipare ad un appalto, chiedere se si può assumere una determinata persona, acquistare un terreno, aprire una nuova attività, acquistare dal tale fornitore e via dicendo. Insomma di tutto e di più.
Oramai sapevo le regole non scritte dello ”Stato ‘ndrangheta” e a cosa andavo incontro per il mancato rispetto delle stesse; ciò nonostante cercai sempre come eludere e/o ritardare tale imposizioni e adempimenti. A volte con buoni risultati, altre meno, provocando ritorsioni pesanti: danneggiamenti e atti dinamitardi.
Anche se l’avevo messo in conto, quando si verificava la ritorsione, provavo un grande senso di sconforto e di impotenza, soprattutto per l’incapacità di reagire nelle forme e nei modi che avrei preferito, frenato da ciò che avrebbe sicuramente comportato una scelta così “controcorrente”.
D’altronde, anche in occasione della denuncia di un attentato incendiario che avevo subito, il maresciallo dei carabinieri che raccolse le mie dichiarazioni, non mi incoraggiò a fare i nomi dei probabili esecutori dato che “andrebbe certo incontro a più terribili ritorsioni ed è meglio pensare alla propria famiglia che intraprendere una strada che non la porterà da nessuna parte, viste anche le leggi che ci sono nel nostro Stato”.
L’incolumità della mia famiglia mi stava a cuore più di tutti i beni che possedevo, tuttavia, chiesi a me stesso, se quello era il comportamento da tenere o più verosimilmente inconsapevolmente mi legavo al sistema.
Ero combattuto tra il trovare la mia dignità, mantenere il lavoro, gli operai, la serenità familiare, e contemporaneamente, mi rendevo conto dell’inapplicabilità di ciò nel contesto in cui dovevo convivere ed operare.
Cercavo solidarietà nei colleghi di sventura; le risposte erano ”ma se lo Stato non fa niente e non è cieco, cosa possiamo fare noi? Abbiamo le nostre famiglie, non possiamo rischiare…è stato sempre così e così sarà fino alla fine dei tempi….”. Insofferenza mischiata ad impotenza.
“Vi rendete conto che futuro daremo ai nostri figli? Che eredità lasceremo, noi padri? Che esempio dovranno seguire? mi sgolavo a dire. “Se tu sei uscito pazzo” – mi dissero – “meglio andare via ma non fare denunce”.
Le scelte sono quelle infatti: andare via o continuare ad essere sottomessi.
Ma io non avevo fatto niente di male, e non volevo fuggire dalla realtà, tanto meno, insegnare a mio figlio, indipendentemente da ciò che sarebbe stata la sua attività lavorativa, ad adattarsi a queste regole barbare; non solo, ero cosciente che potevo apportare il mio piccolo contributo a quella comunità sana che vuole emergere ma non trova la spinta necessaria per farlo.
Quindi ho creduto che fosse anche mio dovere di cittadino calabrese, che ama la propria terra, che crede nella libertà, nella dignità di uomo, nei valori morali della vita (oramai quasi surclassati dal materialismo e dal potere), affrontare la questione nel modo più giusto e coerente al quale legavo tutte le mie riflessioni, sempre frenato dalle conseguenze.
Come ogni cosa che mal si sopporta, arriva il momento della classica goccia che fa traboccare il vaso, e di gocce ve ne furono parecchie; dall’autista che sotto la minaccia delle armi dovette, suo malgrado, dare fuoco al camion che stava guidando, al dottor Pennisi che rese dichiarazioni provocatorie usando la parola “codardia” verso gli imprenditori, a tutti i rospi che quotidianamente dovevo ingoiare.
Fu così, che decisi di immolare sull’altare del sacrificio tutti i miei sogni, le mie aspettative di crescita, consapevole che la scelta sbagliata non sarebbe rimasta immune da una consistente quota di dolore e da un disagio sufficientemente profondo per rendere amaro anche al più solare dei sorrisi ed allo strenuo esercizio per una salvifica ironia. Ma finalmente “LIBERO” da questa idra, fosca, vivida piaga, presenza endemica nel territorio.
– Qualche anno fa, a Rosarno, c’era una casa da demolire; il primo sindaco che ne ha richiesto la demolizione, ha ricevuto in risposta parecchi colpi di Kalashnikov contro il municipio e quando, dopo molti anni, si è finalmente giunti alle concrete pratiche per la demolizione, non si trovava nessuna impresa disposta a partecipare al bando di gara perchè la casa abusiva era della famiglia Pesce, nota affiliata alla ‘ndrangheta nella piana di Gioia Tauro. Eppure quella demolizione fu fatta, e la fece proprio lei senza accettare compensi per il lavoro svolto. Un gesto eroico e simbolico. Cosa provò quel giorno ?
Uno dei punti fermi con il procuratore Pennisi della DDA di Reggio Calabria, durante la fase di deposizione delle denunce, fu quella che le stesse non avrebbero dovuto comportare l’allontanamento del sottoscritto dalla località di origine ad altra località protetta e/o cambio d’identità e/o vivere mantenuto da uno stipendio dallo Stato; perché questo messaggio sarebbe stato devastante come esempio e non avrebbe certo favorito un’emulazione da parte di altri imprenditori.
Si doveva trasmettere tutt’altro e cioè che la vita non solo continua ma migliora, continuando a svolgere la propria attivià, la propria vita normalmante. Una grande vittoria nel contrasto alla ‘ndrangheta. Lo Stato avrebbe dimostrato che è il vero padrone del territorio, i cittadini avrebbero avuto un esempio tangibile che si deve reagire perchè l’alternativa esiste.
Restare era ed è fondamentale per essere una risorsa e non un peso allo Stato e alla società civile. Non un gesto eroico ma una scelta responsabile da parte di chi ama la propria terra. Le guerre si combattono in trincea in prima linea e non scappando. E come non si abbandona un amico in difficoltà cosi non si deve abbandonare una terra e i suoi abitanti.
Restando, ho continuato a essere utile allo Stato con altre denunce che hanno portato non solo ad arresti ma alla confisca di beni, ed in merito alla domanda specifica effettuando ciò che sembrava impossibile. La soddisfazione fu tanta. Un’altra occasione per dimostrare con i fatti che le mie denunce non erano solo una questione personale, ma un tassello per completare quel puzzle di vedere realizzato il sogno di una Calabria libera. Quando c’è sinergia tra Stato e società civile tutto è possibile. Non basta la sola repressione
– La ‘ndrangheta è l’unica organizzazione criminale presente in tutto il mondo, su tutti e cinque continenti. Una potenza che si è sviluppata all’ombra di un atteggiamento istituzionale inappropriato e “distratto”. Di pochi giorni fa l’omicidio del giornalista slovacco Jan Kuciak attribuito a tre uomini vicini alle attività della ‘ndrangheta in Slovacchia. Pochi mesi fa, un’ altra giornalista, Daphne Caruana Galizia, è stata uccisa con una bomba a Malta e fra le piste seguite, anche qui, troviamo la mafia calabrese. Lei vive nel quartier generale di una potenza criminale che opera su ben 30 nazioni e non ha mai manifestato l’intenzione di andarsene. Perché ?
In parte credo di aver già risposto ma aggiungo: so di essere un sassolino nella scarpa della ‘ndrangheta e che anche venisse tolto oramai ha lasciato una piaga insanabile nella pianta del loro piede. Continuo a sbugiardare chi si riempie la bocca di codici etici e protocolli di legalità, metto in evidenza quelle che sono le remore alla denuncia, al cambiamento di mentalità, esortando i conterranei ad uscire da quel torpore che da troppo tempo alberga in essi.
Abbiamo una terra bellissima, bagnata da due mari con le montagne al centro, abbiamo storia e cultura, basterebbe rivalutare queste risorse naturali per creare lavoro e sviluppo cosa che la ‘ndrangheta soffoca altrimenti il suo ruolo svanirebbe nel consenso sociale.
Ogni calabrese che va via per le più svariate ragioni, anche comprensibili, è una sconfitta, un pugno allo stomaco, ma dovrebbe reagire e puntando i piedi seguire il mio pensiero: questo è il mio cielo, questo è il mio mare. Questa è la mia terra, qui è la mia vita.
Il popolo calabrese ha bisogno di toccare con mano con esempi credibili ( non sono presuntuoso), e i risultati ci sono. C’è un timido risveglio, lento ma progressivo, bisogna continuare a dare non fragile speranze ma solide certezze.
Mi riempie di gioia ricevere messaggi come questo:” …non ci abbandoni, continui a rimanere, abbiamo necessità di persone come lei, ed è grazie a lei se i nostri figli potranno andare per il mondo e senza abbassare mai lo sguardo e guardare negli occhi chiunque potrà gridare con fierezza e orgoglio “SONO CALABRESE,SONO CALABRESE!!!”
– Pochi mesi fa, abbiamo apprezzato la sua intervista per la trasmissione “Presa diretta”, in cui ha raccontato parte della sua vicenda personale e professionale. Abbiamo cosi scoperto, che, dopo le sue denunce, che hanno portato all’arresto di ben 48 persone legate alla ‘ndrangheta, non si è innescato alcun meccanismo premiale nei confronti del suo coraggio e della sua collaborazione tutt’altro che facile. Si è invece innescato un meccanismo di isolamento che ha drasticamente ridotto i suoi affari in Calabria e nel resto d’Italia. Non cosi all’estero per fortuna. Il suo cemento è stato utilizzato persino sulla pista dell’aereoporto Charles de Gaulle di Parigi. Da calabrese le confesso che questa è la parte più difficile da accettare. Ma una volta i buoni non stavano tutti da una parte e i cattivi dall’altra ? Dobbiamo dedurre che la Pubblica amministrazione, con cui lei lavorava frequentemente prima delle denunce, e l’impresa privata, siano prevalentemente filo- mafiose ?
Non è solo un problema di ‘ndrangheta intesa come ala militare o criminale pura ma di un sistema collusivo e corruttivo che vede coinvolte persone insospettabili non sorde alle sirene del facile guadagno.
Ognuno, dove arriva il proprio raggio di azione vuole fare la “cresta” dal dipendente pubblico che vede la scrivania come il proprio feudo, al funzionario che deve vistare una pratica, all’ingegnere che deve firmare uno stato dei lavori e via dicendo. Quando è acclarato da che parte stai sei automaticamente escluso da questo sistema e quindi non “affidabile”a intrattenere rapporti con chiccessia.
Se non “oleate” le ruote del sistema, non andate da nessuna parte; questo è il messaggio che passa e che ogni volta cerco di “sputtanare”. Per queste ragioni, si sceglie di adattarsi adeguandosi ad una mafiosità anche se non direttamente appartenente a clan. E’ successo anche quando mi sono offerto di effettuare gratuitamente i lavori di rimozione delle macerie a seguito del terremoto ad Amatrice. Non ti vogliono! Perché è un business e nessuno ne avrebbe beneficio se lavori gratis, tranne i cittadini che ancora aspettano.
Assueffazione, autoassoluzione, autogiustificazione di taluni atteggiamenti e comportamenti che portano a non aver rispetto di se stessi degli altri.Mi sforzo di far capire che come stiamo vivendo o meglio sopravvivendo non è responsabilità di una singola parte, bensi questi fenomeni esistono perché gli consentiamo di esistere, a volte per paura ma il più per convenienza.
Dimenticando che i primi e soli a pagarne le conseguenze sono proprio i cittadini che pensano erroneamente solo perché non direttamente coinvolti, di esserne esenti. Ma ci indigniamo quando vediamo una scuola cadere con una piccola scossa di terremoto, o un ponte crollare. L’indifferenza è il male di questa società. Ognuno si dovrebbere chiedere sarebbe successo ciò che è successo se non fossi stato indifferente?
– Per anni ci hanno additati come mafiosi e omertosi: i cittadini calabresi parte integrante del sistema criminale per cultura e indole. Cosa sente di dire a chi, nonostante la crescita esponenziale delle attività criminali legate alla ‘ndrangheta nel nord Italia e nel resto del mondo, continuano a sfoggiare vecchi luoghi comuni ?
La ‘ndrangheta ha le radici in Calabria e dobbiamo sdradicarle, ma come una pianta, quando viene trapiantata, cresce e mette radici nella misura in cui il terreno è accogliente. Così la ‘ndrangheta è cresciuta e prospera al nord come nel resto del mondo perche non hanno esercitato atto di respingimento (pecunia non olet), anzi hanno accolto pensando solo al guadagno e sottovalutando il grave pericolo di infiltrazione oggi impregnazione.
Oggi, la ‘ndrangheta non è coppola e fucile (quando spara vedi Duisburg o i fatti slovacchi ), non commette errori, ma alta im-prenditoria. Il nord commise l’errore del marinaio a poppa che gridava al fuoco e loro a prua gridarono “non è un nostro problema” poi, la nave inevitalbilmente brucio’ tutta e affondò. L’Europa sta commettendo lo stesso errore.
– Aristotele diceva “Solo chi ha superato le sue paure sarà veramente libero”. Lei è arrivato a questa libertà vera e autentica che va oltre l’immagine di un uomo che vive perennemente scortato dottor Saffioti ?
La libertà non è in ciò che fai o in come lo fai e la nostra vita, non dipende da cosa succederà domani ma da come si reagirà.
L’importante è non confondere la paura con il terrore, che ti paralizza, crea panico.
La paura serve a riconoscere i pericoli, anche quotidiani e semplici, dando la possibilità di evitarli o affrontarli prendendone le giuste misure. Per vincere la paura di ritorsioni, non è servito trovare il coraggio, ma una paura più forte: quella di non aver fatto nulla per cambiare le cose e lasciare in eredità a chi verrà dopo di me un mondo malato.
I nostri figli devono poter respirare “il fresco profumo di libertà” .
Insegnare loro che non devono sottomersi, che possono scegliere se essere collusi e corrotti o persone perbene con tutto ciò che ne comporta. Scegliere di essere locomotiva e non vagone.
Scegliamo di essere protagonisti della nostra vita e non semplici comparse
Scegliamo di aggiungere vita ai giorni, piuttosto che giorni alla vita.
Non sappiamo quando e dove moriremo ma scegliamo come morire da uomini liberi e non da schiavi
Scegliamo il Bene comune, il noi piuttosto che l’io.
Forse nella vita non capiterà l’occasione per dimostrare di essere coraggiosi, ma tutti i giorni abbiamo la possibilità di dimostrare di non essere dei vigliacchi, girando lo sguardo da un’altra parte.
In quanto siamo tutti dei pellegrini, e come tali di passaggio, non porteremo via nulla ma possiamo lasciare tanto. Forse non ricchezze materiali ma qualcosa di inestimabile valore molto più bello e importante, che serve anche come monito.
Non dovremo abbassare mai lo sguardo e guardando negli occhi chiunque, potremo affermare: “sono una persona perbene”.