Che il Made in Italy sia The Best in The World lo dicono in tanti. Un primato che tutti nel mondo c’invidiano. Ma primeggiamo anche nella corruzione, state pur certi. La madre di tutte le tangenti probabilmente è Made in Italy.
E’ nostra la “stecca” più grande del mondo. Parliamo di quella con cui il colosso petrolifero italiano Eni avrebbe acquisito (senza partecipare ad alcuna gara), i diritti di esplorazione e sfruttamento della piattaforma petrolifera nigeriana denominata Blocco Opl 245 (v. documento all. pdf n. 1 e sulla quale ha puntato i riflettori anche la trasmissione televisiva Report condotta dal giornalista d’inchiesta Sigfrido Ranucci, una storia con risvolti da vera spy story (puntata trasmessa su Rai3 il 10 aprile).
I giornalisti Luca Chianca e Paolo Palermo di Report son stati sequestrati in Africa per 2 giorni dai Servizi Segreti congolesi mentre indagavano sulle tangenti Eni e spossessati di ogni attrezzatura audio/video. Roba da rischiare fisicamente (a Ilaria Alpi e Hrovatin non è andata cosi bene).
Un’affaire inquietante che vede il coinvolgimento anche di agenti della sicurezza nazionale russa, di Vladimir Putin e l’ex Premier Silvio Berlusconi (i cui nomi a vario titolo compaiono nell’inchiesta). Nonchè di agenti dell’intelligence inglese di Sua Maestà che hanno spiato tutte le comunicazioni di Royal Dutch Shell. A prima vista parrebbe uno strategico giacimento nigeriano attorno a cui si giocano delicati equilibri geopolitici e geostrategici. Ma non è proprio così.
L’Eni, ovviamente, nega ma sembrerebbe che l’ex consigliere di amministrazione indipendente Luigi Zingales abbia rassegnato le sue dimissioni proprio a causa delle preoccupazioni riguardanti i variegati episodi di corruzione da parte dell’Ente petrolifero.
La prima azienda italiana, che assume solo menti ed elementi da 110 e lode, che è la 22° realtà industriale al mondo, che ha decine di migliaia di dirigenti, impiegati e lavoratori dipendenti, è stata raggiunta dall’ennesima indagine per concorso in corruzione internazionale su cui sta indagando la procura di Milano, la stessa che ha disposto il rinvio a giudizio per l’ex numero 1 di Eni, Paolo Scaroni, per l’attuale A. D. Claudio Descalzi, il top manager Eni Roberto Casula (nemmeno sospesi dalle loro funzioni prima/durante/dopo l’indagine) e per il faccendiere Luigi Bisignani nonché diversi affaristi e politici nigeriani.
Data la gravità degli addebiti mossi, com’era fisiologico , l’Eni ha preso subito le distanze, come si legge nel Verbale dell’Assemblea Ordinaria dell’ENI del 13 aprile 2017 (pag. 41): “ribadiamo che in relazione alla licenza OPL 245 Eni ha sottoscritto accordi unicamente con il Governo Federale Nigeriano e, anche per conto di Shell, ha versato il corrispettivo per la licenza, libera da qualsiasi onere e disputa, su un conto vincolato intestato al Governo Federale Nigeriano… Si ribadisce che nell’ambito delle verifiche preliminari a suo tempo condotte non furono individuate chiare evidenze documentali che Dan Etete fosse azionista, consigliere di amministrazione o beneficiario della società Malabu. Eni non ha sottoscritto alcun accordo commerciale con Malabu… Nessun accordo fu mai sottoscritto con Malabu, né quest’ultima ha ricevuto alcun pagamento da Eni.”.
Ma la storia è proprio così? I fatti son ben noti almeno in questo caso non ci sarebbero ENIgmi. Dai vertici delle istituzioni nigeriane sarebbero state richieste delle ‘commissioni’ (ora si chiamano così le tangenti). E che commissioni. Nel 2010 il Dott. Paolo Scaroni, nella sua qualità di Direttore Generale e Amministratore Delegato dell’ENI avrebbe dato il suo benestare al pagamento di queste ‘intermediazioni’ invitando il suo sottoposto De Scalzi ad adeguarsi senza fare troppe obiezioni.
La ‘cresta” risulta sia stata richiesta da Emeka Obi (mediatore dietro cui si nasconderebbe l’ex ministro del petrolio nigeriano Dan Etete) e proposta a Eni attraverso Bisignani e Gianluca Di Nardo. Stiamo parlando di un colossale affare transitato per il tramite di oscuri intermediari e non per mezzo di banche d’affari o merchant bank come sarebbe usuale e logico in questi casi (v. Mediobanca, Merrill Linch, Morgan Stanley, JP Morgan, …).
Una precisazione, a scanso di equivoci. Il De Scalzi qui evocato non è il chitarrista front-man del complesso genovese dei New Trolls (c’è chi li ha confusi) , bensì il Claudio Descalzi Direttore Generale della Divisione Exploration & Production di Eni ed attualmente Amministratore Delegato e numero 1 dell’ENI. Anche se per la verità tra i due vi sono delle affinità: il musicista ha composto Concerto Grosso il petroliere invece ha prodotto un “Grosso Sconcerto”.
De Scalzi stesso però s’è affrettato a stroncare sul nascere qualsiasi illazioni su presunte collusioni e pastette: “L’Eni ha trattato esclusivamente con il Governo Nigeriano e con nessun mediatore e/o intermediario”. Perchè allora, in una non propriamente brillante intercettazione telefonica De Scalzi ha confidato a Bisignani (che è un chiacchierato faccendiere pluri-indagato e condannato) “allora, di noi non sa niente nessuno. Io comunque l’offerta, finché non siamo d’accordo io e te, non la mando avanti” (14 ottobre 2010 ore 13,25 utenza telefonica 3…..). All’interrogativo De Scalzi non ha fornito risposta. Altro ENIgma.
Per accedere alla Data Room del Blocco OPL 245 i nigeriani han richiesto all’ Eni di pagare 500.000 Euro. Alla faccia della Due Diligence. Ma non pensate male, non è come immaginate voi malvagi, un’antipasto di tangente. Nell’industria mineraria e Oil&Gas in caso di vendita di un importante asset è assolutamente normale che durante le negoziazioni possa esser richiesto ai potenziali acquirenti di pagare un costo per accedere alla documentazione (le fotocopie d’altronde hanno un costo). Ma se per caso aveste ancora dei dubbi sulle ottime procedure interne e la rettitudine dell’Eni, potete fugarli leggendo le seguenti esaurienti rassicurazioni:
“In data 10 Gennaio 2017 Eni ha completato con successo il processo di verifica effettuato dalla società RINA Services, principale organismo di certificazione in Italia, che ha valutato la conformità del Compliance Program Anti-Corruzione di Eni ai requisiti della norma ISO 37001: 2016, primo standard internazionale per la certificazione dei sistemi di gestione anticorruzione. Eni è stata la prima azienda italiana a ricevere tale certificazione che conferma la qualità del sistema di regole e controlli volti a prevenire la corruzione, sviluppato fin dal 2009 in linea con il principio della “tolleranza zero”, espressa nel Codice Etico Eni”.
Rina Service. Si si, avete letto bene. E’ l’azienda di certificazione controllata dal Registro Italiano Navale di Genova. Quella sotto indagine perché accusata di rilasciare false certificazioni (2 arresti al Rina, 35 indagati e convocato in Procura il Presidente/AD Ing. Ugo Salerno).
Non approfondiamo oltre senno usciamo dal seminato. Tralascio anche di accennare al Dott. Attilio Befera (ex AD e Presidente di Equitalia e Direttore dell’Agenzia delle Entrate) che ricopre l’importante e garantitiva carica di Presidente dell’Organismo di Vigilanza dell’Eni quindi responsabile anche del ACC (Anti Corruption Compliance). Ruolo che richiede integrità morale e coerenza. Infatti Befera è stato ingiustamente criticato per aver fatto uno scontuccio sulle tasse ai Benetton e dopo è andato a lavorare per loro (attualmente è coordinatore dell’Organismo di vigilanza di Atlantia S.p.A.).
Che l’ENI abbia pagato solo il legittimo governo Nigeriano e nessun intermediario è assodato, ed infatti è ciò che avviene. Nell’agosto del 2011 su un conto parallelo (quindi non ufficiale) del Governo di Lagos a Londra arriva un mega-accredito di 1 miliardo di $. E’ l’espediente perfetto, in caso di sgamo, per giustificare la destinazione istituzionale dei fondi. Infatti per quel miliardo piovuto dal cielo, a Londra, nessuno batte ciglio. Nessun controllo, nessuna segnalazione. Il casino scoppia quando il miliardo vien quasi subito dirottato su un conto della Banca Svizzera Italiana di Lugano con destinazione finale in Libano.
Quì salta la triangolazione, perché la banca elvetica intuisce odor di frode e blocca la montagna di soldi rispedendoli al mittente. Il percettore della ‘regalia’, Dan Etete, l’ex Ministro del Petrolio nigeriano (personaggio accusato di attività criminali), rimane a bocca asciutta. Si scopre poi che l’account della discordia appartiene all’ex viceconsole in Nigeria, Gianfranco Falcionie che per pura “coincidenza” ha una florida azienda (Petrol Service), con know-how e tecnologie per il trasporto del petrolio, guardacaso proprio consulente e fornitore di Eni e Shell.
Vedi com’è piccolo il mondo. E’ anche un competitor del Cav. Gianni Zonin, (la sua famiglia in provincia di Alessandria possiede una sontuosa azienda vitivinicola sulle colline di Gavi). Ma è da scellerati puri pensare di trasferire una somma così ingente senza lasciare tracce e soprattutto senza destare sospetti. Così vien deciso di far sparire il miliardo diluendolo in molte tranches come vedremo.
Dan Etete per portare a compimento l’affare dovrebbe però prima ricevere dal Ministro delle risorse Petrolifere nigeriano Diezani Alison Madueke, il benestare del presidente nigeriano Jonathan con cui autorizzi a disporre del 100% dell’OPL 245. Come avviene.
Con questa singola operazione il Presidente Jonathan, i membri del governo e altri pubblici ufficiali nigeriani si pappano ben 520 milioni di $ mentre entrano in tasca a Dan Etete 250 milioni di $ (sperperati in acquisto di immobili, aerei, auto blindate e molto altro). Mentre l’affare fila liscio come il petrolio e va in porto la lista dei beneficiari si allunga: oltre al presidente della Nigeria Jonathan Goodluck si scatenano gli appetiti di alti membri del governo nigeriano in carica all’epoca dei fatti che vogliono anche loro metter le mani su una fetta della torta, segnatamente lo stesso succitato Ministro del Petrolio Diezani Alison Madueke, l’ex Ministro della Giustizia Muhammed Adoke Bello, diversi pubblici ufficiali nigeriani quali il Ministro della Difesa Aliyu Gusau, il membro della House of Representatives Umar Bature, l’ex senatore Ikechukwu Obiorah (che si intasca ben 11.465.000 di $), l’ex Procuratore Generale Cristopher Bajo Oyo (che ripone in saccoccia la pochezza di 10.026.280 di $), e vari intermediari che gireranno a loro volta parte dei proventi della frode a favore di amministratori di Shell ed Eni.
Al vicentino Paolo Scaroni, dovrebbero rimanere poco più che le briciole, secondo quanto dichiara un supertestimone: 50 milioni di dollari, verdone più verdone meno, trasportati cash per suo conto con un aereo in Italia. Quattrini che han preso letteralmente il volo. Chi ne sa qualcosa di più sui dettagli dell’espatrio del contante probabilmente è lui, Mr. Fabio Ottonello (l’Eni affitta sempre un aereo da lui). Ottonello ha sposato la figlia dell’attuale presidente Sassou Nguesso ed è Console onorario del Congo a Brazzaville dove anche il manager De Scalzi è di casa (la signora Ingoba, moglie di De Scalzi è congolese). C’è un’intrigante video della testimonianza di Ottonello, che però non ho sottomano al momento. Potete richiederne una copia ai servizi segreti congolesi che l’hanno sequestrato alla troupe di Report.
Ora, non stiamo parlando di posizioni di terz’ordine e marginali nella società del cane a 6 zampe, ma personaggi di prim’ordine in posizione apicale in seno ad Eni spa. Vedi Roberto Casula Top Manager di Eni, che con beata nonchalance s’è cuccato in un sol botto una maxi-stecca di 50 milioni di $, personalmente consegnati in contanti nella sua elegante abitazione di Abuja in Nigeria. Chissà la fatica per contarli e che sudata dover riempire in fretta e furia decine di trolley American Tourister.
Ma molti di quei quattrini pagati dall’ENI, come accennavamo poc’anzi, si sono volatilizzati disperdendosi in 1000 rivoli tra Nigeria, Svizzera, Singapore, Europa e Brasile, molti prelevati in contanti. Sui conti dell’ex dirigente Eni Vincenzo Armanna, i magistrati hanno scoperto un versamento di 1,2 milioni dollari ricevuti da Bajo Ojo. Più di 7 milioni di dollari sono andati al Tesoro Francese (a pagamento di una condanna per riciclaggio di Dan Etete), 94mila dollari per sponsorizzare un safari in Nuova Zelanda.
Oltre 50 milioni di dollari vengono girati ad una compagnia aerea di Oklahoma City per l’acquisto di un aereo, un Aircraft Bombardier registrato presso una società anonima delle British Virgin Islands comprato da una società registrata presso l’isola di Man (praticamente impossibile risalire ai proprietari). Poi ci sono 2 milioni swiftati in California ad una casa di produzione cinematografica, nonché 5 milioni di $ ad una società informatica di Washington, 400.000 $ per l’acquisto di 3 Cadillac Escalade a New York. Altri 57 milioni di dollari vengono dirottati negli Stati Uniti e 100 milioni di $ spariscono nel nulla del Triangolo delle Bermuda.
Tra prima e dopo sono stati fagocitati appunto oltre 1 miliardo di dollari in mazzette ENI. Come scrisse l’autorevole Global Witness. “hanno consapevolmente stipulato un accordo corrotto privando il popolo nigeriano di 1 miliardo di dollari, più di tutto il bilancio sanitario del paese per il 2016″. Roba da far impallidire tutte le tangenti di “Mani Pulite” messe insieme.
E’ a sto punto che incrociamo un’altro episodio di corruzione internazionale che presenta dei singolari parallelismi. Il 29 agosto 2011, dal conto di Malabu (che ENI non conosce), presso First Bank of Nigeria, vengono bonificati 180 milioni di $ a favore della società Mega Tech Engineering dei Paesi Bassi. E’ un’entità piuttosto nota, collegata al cittadino britannico Jeffrey Tesler. Lo stesso intermediario dell’affaire Opl 245. E’ un caso.
Sempre lo stesso Tesler coinvolto tempo addietro nello scandalo delle tangenti nigeriane di ‘Bonny Island’, dove saltarono fuori tangenti, pardon, ‘commissioni’ di oltre 130 milioni di dollari destinati a rimpinguare i conti off-shore di alti Pubblici Ufficiali nigeriani, tra cui, pura coincidenza, l’onnipresente Ministro del Petrolio Dan Etete.
I nomi di questo e molti altri funzionari nigerini corrotti li ritroviamo tutti nei Panama Papers dove figurano i conti esteri segreti dei paradisi fiscali dove son spariti molti dei quattrini (una cassaforte perfetta per nascondere flussi finanziari illeciti come tangenti, evasione fiscale, traffico d’armi e droga, commercio di organi, etc etc).
In quel caso le mazzette furono pagate dal consorzio internazionale ENI-Tskj. L’ENI fu pesantemente sanzionata dal Department of Justice statunitense. Essendo quotata negli States, per scongiurare guai peggiori dovette transare pagando sull’unghia 350 milioni di euro alla Sec (la Consob americana). Due anni e mezzo dopo quel bonifico da 180 milioni Tesler viene colto da conflitti interiori e crisi di coscienza. Il 9 gennaio 2014, si reca spontaneamente alla locale stazione di polizia di Colindale, vicino Londra, con al seguito una bella valigetta Sansonite ricolma di banconote con dentro ben 378.670 sterline, raccontando agli agenti che è “un regalo” dei nigeriani da parte di Dan Etete, un modesto acconto sui 2 milioni di $ che gli verranno corrisposti in cambio di … immaginatelo voi. Lui ha delle amnesie e non lo ricorda più.
Un gruppo ben rodato di criminali professionisti dislocati in più Stati, un’associazione per delinquere di stampo transnazionale che delinque in giacca e cravatta, da Milano alla Nigeria, passando per Londra, l’Aja, Lugano e Roma. Viste le dimensioni delle corruzioni internazionali, in questo caso, sarebbe oggettivamente un po’ riduttivo parlare solo di “white collar crime” Made in Italy. Ma è innegabile che anche in questo caso ‘noi’ ci siamo ben distinti per l’italica fantasia corruttiva.
Il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza con i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno messo tutto nero su bianco nell’Avviso di Conclusione delle Indagini Preliminari (Proc. 54772/13 RGNR) ed hanno avuto il loro bel da fare per venire a capo di questo mega scandalo v. documento all. pdf n. 2. Nel quale è bene precisarlo, l’odierna Eni e l’attuale Governo Nigeriano dovrebbero essere parti lese.
Quindi sorge spontanea la domanda: in considerazione dei potenziali impatti finanziari discendenti dalle accuse di corruzione riguardanti l’OPL 245 quali accantonamenti sono stati effettuati dall’ENI Spa nei suoi Bilanci? Nessuno. Zero Euro tondi tondi. Sul come mai alcuni protagonisti di questa colossale Fraud Story siano ancora lì al loro posto non fatemi domande fuori luogo, non saprei proprio che risponderVi.
Dovrei scendere in un fastidioso/noioso discorso sull’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza da parte dell’ente petrolifero e le Autorità di Controllo (se ancora esistono).
Quel che è certo e che ciò che non doveva accadere è accaduto. Quel che non poteva succedere è successo. Quello che non ci s’aspettava s’è avverato è l’ENI è stata lì passivamente a guadare incapace di rendersi conto di quanto stava avvenendo. A quanto pare, di questi fatti criminogENI nessuno s’è mai accorto di niente nemmeno al quartier generale dell’ENI.
Vedete, architettare siffatte operazioni fraudolente è un po’ come costruire i ponti. Se nessuno controlla, le strutture prima o poi crollano. Alla fine gli stralli han ceduto ed il castello dell’ENI è collassato.
E restituire? Sarebbe un bel gesto. Magari in comode rate di 600.000 euro all’anno per 1820 anni.