Siamo abituati, in questo nostro sciagurato Paese, alle assurde coincidenze ed agli assurdi sostenitori delle stesse, campioni di arrampicata libera sugli specchi. E’ con questo spirito che abbiamo accolto la notizia dell’allontanamento del Magistrato Nino Di Matteo dal pool costituito da Cafiero De Raho in Procura Nazionale Antimafia, con l’obiettivo di individuare le entità esterne alle stragi di mafia.
Strano c’era sembrato che un serio professionista, conoscitore della mafia e dei rapporti che legano politica, imprenditoria e criminalità organizzata come Di Matteo, venisse punito con l’estromissione da un gruppo di lavoro che ha pieno titolo di coordinare, a causa di una intervista in cui nessun segreto inerente il lavoro del pool è stato rivelato.
Ancor più strano, che la decisione che ha indignato buona parte della società civile e della stessa magistratura spingendosi a firmare un appello per il suo reintegro che ha raggiunto quasi 100.000 firme – venisse dal Procuratore Nazionale Cafiero De Raho del quale conosciamo posizioni nette che mai, prima d’ora, hanno indotto a dubbi sulla limpidezza del suo agire.
“Qualcosa ci sfugge” ci siamo ripetuti per settimane poi, con lo scandalo scoppiato e non ancora rientrato all’interno del CSM, il mondo della magistratura “voglio posso comando”, ci ha buttati ancora di più nello sconcerto. Ma il peggio doveva ancora venire.
Esattamente venti giorni prima dell’inquietante espulsione di Di Matteo, il magistrato Luca Palamara, ex Presidente dell’ANM indagato per corruzione, parla al telefono con un collega e dice senza tanti giri di parole che Cafiero De Raho deve “allontanare Nino Di Matteo”.
I gruppi di lavoro all’interno del pool mirato ad indagare entità esterne, al momento dell’intercettazione, erano costituiti da ben tre mesi; cosa è accaduto nei venti giorni che hanno poi portato all’allontanamento del magistrato che ha fatto condannare mafiosi e uomini delle istituzioni nel processo trattativa?
De Raho al momento tace. Incomprensibilmente. Confidiamo non lo stia facendo nelle sedi opportune e soprattutto, confidiamo che ci siano queste sedi opportune.
Tocca mantenere vivo lo spirito critico però, non possiamo aspettare le rivelazioni di un oracolo con le mani nelle mani. Proviamo dunque a ripercorrere i fatti.
De Raho accompagnava con queste parole, la notizia dell’estromissione di Di Matteo: “si è interrotto il rapporto di fiducia all’interno del gruppo e con le direzioni distrettuali antimafia”- per via dell’intervista che nulla di nuovo rivelava. E secondo le ricostruzioni dei quotidiani, la decisione di De Raho è stata indotta dallo scontento all’interno del suo ufficio e da una serie di equilibri che rischiavano di saltare senza quella estromissione.
Ci piacerebbe conoscere bene i retroscena di questi equilibri precari che, qualora rispondessero al vero, rappresenterebbero il terreno perfetto in cui Palamara avrebbe arato.
E’ tutto un guardarsi alle spalle dunque anche in ambiti in cui, l’affermazione della giustizia dovrebbe superare qualunque genere di impulso.
Giovanni Falcone aveva determinato l’istituzione della PNA nell’auspicio di individuare e colpire le sempre più misteriose “menti raffinatissime” e non dobbiamo al caso il fatto che a dirigerla, non ci arrivò mai.
Chi arriva a quel vertice, dovrebbe rifletterci più di altri. Ricordiamo che la super procura non può indagare direttamente sulle inchieste ma può assegnare i propri sostituti ai fascicoli d’indagine permettendo cosi l’attività inquirente e di coordinazione con i procuratori sul territorio.
De Raho ha annunciato la creazione dei tre pool – stragi, delitti di mafia e possibili coinvolgimenti di entità esterne, stragi e delitti di terrorismo e ricerca di latitanti – lo scorso dicembre e come da procedura, lo ha comunicato a quel CSM che oggi scopriamo essere gravato da ombre inquietanti e sul quale nutriamo legittimi dubbi riguardo la funzione di imparzialità e di equa distanza dal potere politico dal quale risulta non solo condizionato ma fortemente compromesso.
Immaginare le reazioni di alcuni consiglieri galoppini del potere che fanno capo a questo o a quel referente politico non è difficile. E come non comprendere lo stato di panico che sicuramente si è diffuso nel sentire il nome di Di Matteo, quel magistrato che né la mafia, né le istituzioni sono riusciti a fermare per tutta la durata del processo trattativa.
Non dimentichiamo che proprio nel corso di quel processo, da alcune intercettazioni, venne fuori che gli imputati Mori e De Donno, si rivolgevano a membri del CSM per chiedere spinte e solleciti in questioni che li riguardavano cosi come l’imputato Nicola Mancino il quale, fra una telefonata e l’altra a Giorgio Napolitano – presidente della Repubblica e del CSM – era ricevuto senza indugio e imbarazzo da fior fiori di magistrati che vedevano in Nino Di Matteo l’elemento di fastidio non certo negli imputati che si trovavano dinanzi.
Un organo di auto governo che non si è saputo distinguere a tutela dei magistrati liberi, li ha, anzi, messi in difficoltà quando ha potuto ed ha spesso agito sotto l’impulso della smania di potere.
La forte sensazione di trovarsi difronte alla “fratellanza giuridica” di cui si parla nello statuto del Grande Oriente d’Italia:
“La Fratellanza Giuridica è costituita da Fratelli attivi e quotalizzanti nelle rispettive Logge della Comunione italiana, appartenenti alle seguenti categorie professionali, e che ne facciano domanda: avvocati e procuratori legali –cancellieri – docenti di materie giuridiche – dottori commercialisti – magistrati – notai – ragionieri – ufficiali giudiziari.”
Sono maturi i tempi per ravvedersi internamente? Non lo sappiamo anzi, ne dubitiamo fortemente, ma un elemento di ottimismo ci sarebbe e riguarda proprio Nino Di Matteo che ha deciso di candidarsi alle elezioni suppletive del Csm che si svolgeranno il 6 e il 7 ottobre prossimi.
Il magistrato siciliano, potrebbe dare un valido contributo alla Commissione Antimafia nata in seno al CSM sotto la presidenza di Sandro Pertini che, nel 1982, dopo l’omicidio Dalla Chiesa, lottò affinché l’organo da lui presieduto, esprimesse un segnale forte e chiaro in materia di lotta alla mafia: “nella sicura convinzione di interpretare la volontà massima della magistratura di continuare a battersi con fermezza e con spirito unito con tutti gli organi statali per garantire sicurezza di vita e di pace ai cittadini e per salvaguardare le istituzioni democratiche”.
Vedesse in cosa hanno trasformato oggi il Consiglio Superiore della Magistratura…
Parole, quelle di Pertini, che non hanno trovato ampio riscontro negli anni a seguire; a tal proposito, ricordo una dichiarazione che Nino Di Matteo fece in un momento di consapevole sconforto: “Noi non abbiamo avuto né l’aiuto, né il sostegno e né lo stimolo a cercare la verità; piuttosto in certi momenti riteniamo di avere avuto degli ostacoli che potevano essere evitati. La lotta alla mafia non è più prioritaria, nemmeno fra i magistrati”.
Eppure, recidendo alcuni rami gravemente infettati dalla corruzione, forse è possibile costruire un nuovo equilibrio; al momento, ci basterebbe sapere se Luca Palamara è una specie di Nostradamus, o se i suoi auspici nei confronti di Di Matteo, hanno trovato accoglienza presso qualcuno alla PNA anche se di fatto, sono stati espressi da De Raho.