Dopo le prime puntate a tema dedicate all’Enichem di Venezia-Porto Marghera, all’Acna Chimica Organica di Cengio, al petrolchimico ENI di Priolo Gargallo, era impossibile non fare una capatina anche a Brindisi per soffermarsi un attimo a riflettere sulle devastazioni ambientali operate quì dall’ENI, in una bella regione come la Puglia, territorio a spiccata vocazione turistica, dove pare abbia avuto luogo uno degli scempi ambientali più gravi della nostra storia.
A Brindisi casualmente ritroviamo una vecchia conoscenza. Un manager storico dell’ENI, il Dott. Andrea Mattiussi già amministratore delegato della società Montedipe – azienda poi confluita dalla jv Enimont all’Enichem del Gruppo ENI. E’ stato pluriindagato per vari reati quali strage colposa, disastro ambientale, lesioni gravi e 72 morti per malattie (linfomi, mesotelioma, tumori ai polmoni) correlate all’esposizione a sostanze cancerogene e sostanze pericolose come l’amianto, diossine, benzene, stirene, butadiene, acrinlonitrile e dicloretano.
Ha rimediato anche una tenue condanna per l’inquinamento ed avvelenamento del fiume Mincio (Mantova). Dopo i suoi turbolenti trascorsi giudiziari (da cui uscirà praticamente indenne grazie a prescrizioni e gabole varie – vedi documento pdf n. 1) il Manager Eni passerà poi alla società Snia. Una parentesi: data la rilevanza delle tematiche che lambiscono Mattiussi, dedicheremo quanto prima anche un articolo a Mantova nonché Cesano Maderno. Essendo dotato di grande fantasia posso già anticiparvi il titolo dell’articolo: “MANTOVA (o Cesano Maderno): Ecco come l’ENI ha seppellito i suoi vel-ENI”.
Siamo nel sito industriale di Brindisi. In una Nota riservata di Enichem Anic-Montepolimeri indirizzata proprio al ns. benemerito Dr. Mattiussi, viene riassunta la seguente informativa riservata ad uso interno (vedi documento pdf n. 2):
“… la problematica dei residui mercuriosi sempre presente in Fabbrica andò acuendosi in modo rilevante negli anni 1976-77 per la produzione di grossi volumi di fanghi nell’impianto di trattamento acque mercuriose… dopo la fermata del cloro soda i vari residui mercuriosi (fanghi, terre, materiali vari inquinati) presenti in Stabilimento rimasero stoccati in attesa di soluzioni sempre ventilate e mai concretizzate che si rivelavano sempre ipotetiche ed aleatorie. Si andava invece nel frattempo aggravando la situazione dello stoccaggio, creando reali pericoli di inquinamento, sia per il progressivo deterioramento dei contenitori dei residui solidi sia per il rischio di trabocco dei fanghi siti sotto il P.28 nel collettore di scarico a mare, a seguito di aumento del livello per forti pioggie. Detto rischio in qualche occasione si è concretizzato… Relativamente ai rifiuti mercuriosi il censimento indica: n. 740 fusti di fanghi inspessiti, 320 fusti di terra e residui vari inquinati, 100 fusti di grafite, 400 mc. circa di fanghi residui parzialmente inspessiti. Il tutto è stato coperto con scarto di cava per uno spessore di circa 30 cm. Pressato e livellato… su di esso è stato effettuato uno stendimento di sabbia di frantoio rullato con ottenimento di un piano di calpestio camminabile… Non si è ritenuto opportuno né necessario denunciare ad autorità la realizzazione dell’opera sia in relazione alla situazione locale sia in considerazione che non è stato fatto uno scarico sul terreno che rientrava quindi nei disposti della legge …”.
Come potete ben riscontrare anche a Brindisi (come del resto in tutti gli altri siti dell’ENI), la produzione di vel-ENI micidiali è arrivata a toccare livelli da incubo. Tanto che a Brindisi cominciò a porsi il problema di come eliminare questa imponente mole di rifiuti tossico-nocivi. Anche nel caso specifico venne in provvidenziale aiuto la proverbiale ed italica fantasia degli uomini da 110 e lode & Master del “Cane a sei zampe”.
Rispetto al modello adottato in altri siti industriali però (interramento diretto dei rifiuti da parte degli uomini ENI) nel contesto brindisino si pensò bene d’adottare una variante inedita. Per una “bonavota” l’Eni decise di non sporcarsi direttamente le mani. Meglio far fare ad altri il “lavoro sporco”. Entrò così in scena un eclettico personaggio, dotato di bacchetta magica, che rivelò all’ENI come far sparire 2 milioni di metri cubi di fanghi mercuriali. Il machiavellico prestigiatore si chiama Geom. Giuseppe Bonavota da Briatico, classe 1927, un vero mago Zurlì dei rifiuti, che con le sue magie riuscì persino di surclassare l’Eni.
Far “svanire” i vel-ENI anziché “seppellirli” o inviarli in Nigeria è certamente un’idea innovativa. Avviene così che il Bonavota, unitamente alla società Micorosa Srl (di Brindisi) e la società Montedipe Spa siglano una “Scrittura Privata” che ha per oggetto:
“ … la reindustrializzazione dell’area di Brindisi”, con la nobilissima finalità del “… reimpiego del personale attualmente in CIGS di Montedipe … sul presupposto che venga installata in un’area confinante con lo stabilimento petrolchimico un’azienda industriale avente come attività il recupero e la lavorazione di sottoprodotti fangosi con esclusivo reimpiego di personale di Montedipe … Montedipe riconoscerà a Micorosa per ciascun dipendente MONTEDIPE in CIGS assunto da Micorosa … un contributo di 15 milioni …”.
Il progetto Micorosa-Bonavota – che trovate anche quì allegato pdf – riscosse immediatamente l’entusiastico consenso dei vertici dell’ENI (e lo credo bene … dissolvere nel nulla 2 milioni di mc di vel-ENI come per incanto) tanto che il prode Mattiussi si studiò a memoria ogni singolo passo del memorandum incorniciando nel suo ufficio la copertina del fantasmagorico dossier che titolava: “Progetto di fattibilità per l’installazione in un’area confinante con lo stabilimento petrolchimico di Brindisi di una azienda industriale avente come attività il recupero e la lavorazione di sottoprodotti fangosi”.
Non potete neanche lontanamente immaginare i ritorni che potrebbero esserci in termini industriali se nel progetto tutto filerà liscio senza intoppi. Se il Bonavota non è un pazzo furioso visionario ed il suo procedimento alchemico dovesse funzionare sarà come aver scoperto il segreto della ‘pietra filosofale’. Sfruttato su larga scala consentirà di smaterializzare come d’incanto tutti i rifiuti killer dell’ENI sparsi in tutti gli stabilimenti d’Italia e del mondo.
Così sul finire degli anni ’80 si moltiplicano freneticamente i contatti tra l’Archimede pitagorico brindisino, il prode Mattiussi ed i vertici dell’Ente Energetico Idrocarburi per mettere a punto le varie fasi dell’affaire. Finchè un giorno Dario Amodio, dirigente di Enichem Anic invia una Nota riservata a Mattiussi per fare il punto della situazione e riassumere a grandi linee i termini del business: “Nota riservata per il dott. Mattiussi – iniziativa Bonavota per il riutilizzo di fanghi da carburo”. Scrive il relatore di Enichem Anic (vedi documento pdf n. 3):
“… a sud dello stabilimento petrolchimico, fuori della recinzione, esiste un’area di circa 44 ettari denominata “Zona Fanghi” adibita a suo tempo a ricevere i residui provenienti dalla produzione di acetilene da carburo. La massa dei fanghi depositata nel tempo può essere valutata ad un milione di mc… disponendo di una così rilevante massa di fanghi ci siamo attivato da tempo per studiarne l’utilizzo e conseguire contestualmente la bonifica della zona eliminando fonti di rischio per le persone che incautamente vi si fossero inoltrate e restituendo al verde l’intera area. Proficui son stati i contatti avviati con un imprenditore locale, che ha trovato la soluzione del problema. Attraverso opportuni processi tecnologici (che di seguito sono indicati) ha trovato il modo di trasformare i fanghi ricavandone prodotti da utilizzare nell’edilizia civile … l’imprenditore di cui si parla è il Geom. Giuseppe Bonavota socio e dirigente di alcune società (Edil Cover, Moviter Sud, Corat Service) che operano a Taranto nel campo dell’edilizia e dell’estrazione e lavorazione calcarei … Essendo la massa stimata dei fanghi clorurati di 1 milione di metri cubi si prevede di dover trattare in totale 10 milioni di quintali … lavorando 2000 quintali al giorno, considerando ogni anno 300 giornate lavorative, si prevede che l’attività avrà una durata di 30 anni”.
Inutile dirlo l’idea è semplicemente geniale. Che dico gENIale. S’elimina una fonte di rischio per l’uomo e l’ambiente togliendo i rifiuti tossico nocivi dai terrENI contaminati dello stabilimento ENI di brindisi per spostare i vel-ENI all’esterno dello stabilimento trasformandoli in tegole, in mattoni, piastrelle, malta da costruzione, asfalti per strade ed autostrade etc etc. Era l’aprile del 1987. Segnatevi bene sul calendario sta data nella quale è stata concepita sta genialata d’idea. Come si legge nel memorandum questa tipologia di “smaltimento” avrebbe richiesto perlomeno 30 anni di lavorazioni. Se non fosse stato per lui (sempre l’eclettico e magico Geom. Bonavota) a quest’ora sarebbero stati ancora lì a trasformare fanghi clorurati imbottiti di mercurio in malte bastarde.
Ed anche stronze, se posso aggiungere. Perché Zurlì aveva ben altri progetti di smaltimento. Che prevedevano comunque sempre la pronuncia della fatidica frase “sim-sala-bim”. Come per incanto tutti i vel’ENI sparirono per davvero. Ancor tutt’oggi non si sa bene dove siano finiti, è un ENI-gma. Si sa solo che imponenti concentrazioni proprio di quegli inquinanti e vel’ENI che doveva trasformare son stati riscontrati sottoterra nell’area che doveva servire per la realizzazzione del progetto. Oggi quell’area brindisina, è diventata una “death valley” e vien da tutti chiamata “discarica Micorosa”. Sin’oltre i 5 mt di profondità son stati trovati sepolti nelle viscere della terra, tonnellate e tonnellate di vel-ENI fra cui dicloroetilene, il famigerato cloruro di vinile, benzene, arsenico, e altri contaminanti per volumi complessivi che superano di 4 milioni di volte i limiti consentiti dalla legge.
Una bomba nucleare ecologica mai disinnescata proprio alle spalle dell’Oasi Naturale delle Saline (e lì sti vel-ENI ci sono ancora tutti). Non è un caso che a Brindisi dalla fine degli anni ’80 in poi siano registrate stranissime morti probabilmente riconducibili agli agenti chimici killer, in primis il cloruro di vinile. Voi direte: tranquilli perché tanto in questo paese c’è l’obbligatorietà dell’azione penale. Infatti per tutto questo non ha mai pagato nessuno (e forse mai nessuno pagherà).
Però finalmente, dopo oltre 50 anni, qualcosa di concreto si sta facendo per porre rimedio. E’ stato affidato l’appalto da milioni di euro per la (pseudo) bonifica ad una ditta in odore di ‘ndrangheta e Mafia molto vicina alla cosca del boss Nitto Santapaola. Quindi tornando a bomba (quella ecologica), dopo l’intervento della DDA di Catania nella Discarica Micorosa nulla è cambiato. I velENI – quelli che nel frattempo non si son ancora dispersi nell’ambiente – son sempre sottoterra dov’erano, che attendono l’impresa che dovrà rimuoverli fisicamente, infustarli e poi riseppellirli nuovamente sempre lì, nel sottosuolo della Valle della Morte. Tombati per sempre nelle viscere della Madre Terra.
Questo il nuovo fantasmagorico progetto di lavoro. Dopo mezzo secolo un grande piano, non c’è che dire. Fate schifo.
Tornando agli anni ’70, alcuni dicono che quelli erano altri tempi. Erano tempi in cui tutti facevano “i cazzi che volevano”. A Brindisi inquinava pure la Guardia di Finanza pensate un pò. Si legge in una nota di Enichem Anic (vedi documento pdf n. 4).
Lo stabilimento Montedipe di Brindisi “non è mai stato dotato di un impianto di trattamento centralizzato delle acque di processo di scarico dei vari impianti produttivi, e nemmeno di impianti di trattamenti specifici, e quindi tali acque di processo confluivano direttamente nei collettori di raccolta delle acque di raffreddamento che scaricavano a mare… attualmente son stoccati in stabilimento 82.000 metri cubi di soluzione acquosa di Sali sodici (provenienti dallo stabilimento Enichem Agricoltura di M. Sant’Angelo) che occorre smaltire sia per liberare i serbatoi che su sollecitazione dell’Amministrazione Provinciale di Brindisi… con l’acquisizione della proprietà Montedipe è stato riscontrato che gli scarichi civili della Caserma della G. d F. e degli alloggi sociali confluiscono a mare, a cielo aperto attraverso una spiaggia. Pertanto è opportuno convogliare tale scarico al trattamento biologico… tale scarico è causa di esalazioni maleodoranti in particolare durante il periodo estivo quando si registra una notevole presenza di persone sulla spiaggia. Per tali motivi e onde evitare coinvolgimenti e strumentalizzazioni esterne è opportuno convogliare tale scarico all’impianto biologico dello stabilimento…”.
Avvertenza: se capitate nei pressi di Brindisi e avete proprio voglia di farvi una nuotatina da quelle parti, occhio a non farvi un pieno di colifecali. Se invece siete indigeni del luogo ed avvertite strane patologie, ringraziate l’ENI. E potete esprimere un ringraziamento anche all’On.le Stefania Prestigiacomo (illustre ex ministro dell’Ambiente) che è rimasta così profondamente toccata dall’emozionante storia ambientale dell’ENI che aveva quasi deciso di condonarle, con apposito decreto, tutti i più gravi disastri ambientali della sua storia. Area Brindisina inclusa. Una cosa così vergognosa che più vergognosa di così non si può. Senza offesa, proporrei due “Brindisi” una per la nostra ex ministra dell’ambiente e uno anche per Eni e Montedison.
Sì perché la storia di quest’ecatombe nasce da molto lontano. Se ne rinviene traccia già dai primi anni ’80. Quando comincia a prendere forma l’idea di un matrimonio mortale, quello conosciuto dai più come la famosa joint venture Enimont tra le società Eni e Montedison. Inquinare da soli è bello ma farlo insieme è meglio. Una storia d’“amore criminale” che sfocia in un matrimonio alquanto travagliato e di breve durata.
Funestato da “Mani Pulite” e dalle mega tangenti Enimont imbrattate di sangue. Inoltre non dimentichiamoci il tragico epilogo che colpì i due rivali delle nozze Enimont, il Presidente di Eni, Gabriele Cagliari e quello di Motedison, Raoul Gardini, suicidi entrambi a 3 giorni di distanza l’uno dall’altro (puro caso). Il primo soffocato con un sacchetto di plastica il 20 luglio 1993 il secondo con un colpo di rivoltella alla tempia il 23 luglio 1993.
Ma questa non è solo una storia di velENI sepolti. C’è un documento inedito rimasto anch’egli sin’oggi occultato (come i velENI di cui si parla), in un cosiddetto “armadio della vergogna” che racconta gli obbrobri che sarebbero dovuti rimanere sopiti per molto tempo ancora. Per la prima volta oggi, per voi, lo riesumiamo.
E’ una bozza del Collegio Arbitrale di Enimont, tra le parti Eni e Montedison dove son allegati “Fascicoli riservati” e quelle che vengono denominate “schede ecologiche” (alcune di queste le abbiamo già pubblicate in precedenti articoli quì sul sito di Themis & Metis). Se volete dargli un’occhiata e leggerlo per intero armatevi di santa pazienza. Sono 619 pagine fitte di date, luoghi, fatti, interramenti, inquinamenti, disastri ecologici e chi più ne ha più ne metta, venuti a galla a seguito della “due diligence” ambientale (ma di cui tutti gli ‘addetti ai lavori’ erano al corrente da oltre mezzo secolo).
Anche questo dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, come le situazioni di scempio perpetrate nei vari stabilimenti chimici e petrolchimici fossero cosa nota e tenuta ben nascosta. Incredibile, l’ ENI ha sepolto per decenni i suoi velENI ed ha avuto il buon gusto di contestare a Montedison d’aver fatto altrettanto. Le comiche: il bue che dice cornuto al Toro, pardon all’asino.
Se ci pensate bene quello dell’Arbitrato è lo strumento perfetto, essendo una forma di ‘giustizia’ privata molto discreta, ideale per esporre certi fattacci lontano dai riflettori della giustizia ordinaria. La ratio dell’operazione è quella di litigare potendo sviscerare in tutta tranquillità le varie criticità tributarie e contabili (dei quali non ce ne può fregar de meno), ricostruendo meticolosamente in tutta comodità le porcate atomiche perpetrate nei vari stabilimenti oggetti di apporto nella joint venture Enimont.
Porcherie che da sole han prodotto (e continueranno a causare) decine di migliaia di vittime. Più dei narcos messicani/colombiani e della Mafia italiana messi insieme. Tra le aziende coinvolte vengono citati gli Stabilimenti di Acerra (Montefibre), Acna Chimica Organica (Enichem), di Mantova (Montedipe), di Ferrara (Agrimont), di Porto Marghera (Montedipe, Enichem, Agrimont, Montefibre), Vercelli (Montefibre), Villadossola (Montedipe), Viguzzolo (Auschem), Novara (Montedipe), Margherita di Savoia (Saibi), Castellanza (Alchemia), Crotone (Ausidet), Priolo Gargallo (Montedipe), Cesano Maderno (Acna Spa), Coleraine (Irlanda del Nord), Miranda De Ebro (Spagna), Nichols (Florida), Enichem France, Montefibre Hispania, Montefibre UK, Nippon Montedison KK, etc etc e naturalmente dulcis in fundo anche il nostro insediamento industriale killer di Brindisi (Montedipe).
Io che ho avuto lo stomaco di leggere tutto il dossier, vorrei poter stendere un velo pietoso sulle schifezze perpetrate in tutti questi stabilimenti industriali. Per cui se siete incuriositi e proprio volete arrischiarvi a fare altrettanto, mettetevi comodi e leggete cosa si scrive in queste 619 pagine. Non crederete ai vostri occhi. Intanto per il momento mi rassegno a sintetizzarvi, già che siamo in argomento, quanto rivelato sullo stabilimento di Brindisi.
Prima di lasciarvi però concludo con un’ultima garbata polemica: potrà forse sembrare eccessivo ma per me inquinare ed uccidere l’ambiente equivale ad avvelenare la popolazione mondiale. E’ come uno sterminio di massa a tutti gli effetti. E’ un crimine contro l’umanità!
Ma questo lo penso solo io che son un cretino. Non troverete uno straccio di politico disposto a darmi ragione (o proporre delle leggi in tal senso). Viste le dimensioni e le proporzioni titaniche di queste devastazioni ambientali, in linea puramente teorica, dovrebbero rimanere solo 2 alternative per sperare nella sopravvivenza: emigrare su un altro pianeta o varare un’ imponente “Piano Marshall” per risanare l’habitat devastato nel quale viviamo (fantascienza).
In questa seconda ipotesi opterei per la scelta fatta dagli alleati dopo il secondo conflitto mondiale: fare sfilare tutti i cittadini davanti ai siti industriali responsabili dell’assassinio di massa dell’ecosistema. Come gli abitanti di Weimar (Germania) che son stati fatti sfilare davanti ai corpi senza vita degli esseri umani sterminati dai Nazisti nei forni crematori di Buchenwald.
Una sorta di pellegrinaggio attraverso questa “mostra degli orrori”, per dare consapevolezza dei crimini perpetuati dalle multinazionali e perchè in futuro nessuno osi più ripetere questi genocidi. Un’olocausto di cui io non voglio esser corresponsabile.
Un popolo che accetta silente queste mostruosità, non è vittima, è complice.
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Bozza Riservata del Verbale di Collegio Arbitrale Eni-Montedison che è composto dal Presidente, Prof. Avv. Franzo Grande Stevens, mitico consulente legale dell’Aga Khan e di tutta tutta la cremè dell’imprenditoria italiana (la Fam. Agnelli/Fiat, Carlo De Benedetti, Ferrero, Lavazza etc etc). Gli Arbitri sono il Dott. Angelo Casò, l’Avv. Bruno Elia, il Prof. Mario Massari, l’ Avv. Alessandro Pedersoli.
Circa lo Stabilimento Montedipe di Brindisi si dice, sintetizzo (vedi documento pdf n. 5):
“… Scarico abusivo sul suolo dello stabilimento, causato dal rigurgito della fognatura ostruita per l’accumulo nella stessa di sostanze anche tossico-nocive formatesi nel tempo. La fognatura in oggetto è infrastruttura conferita da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l. le cui quote sono state apportate ad Enimont. La rete fognaria dell’impianto MDI (Difenilmetandiisocianato), ubicato nello stabilimento di Brindisi, negli anni 1985, 1986, 1987, e 1988, si era ostruita più volte, e si erano verificate perdite di refluo fognario. Nella rete fognaria dell’impianto MDI dello stabilimento di Brindisi confluivano, negli anni 1985, 1986, 1987 e 1988, le acque reflue di processo del medesimo impianto (anilina, difenilmetandiisocianato, e MCB). Negli anni 1985, 1986, 1987 e 1988 circa 700 mc. del terreno circostante l’impianto MDI erano stati oggetto di allagamenti e spanti di refluo fognario proveniente dal medesimo impianto e successivamente al 15/12/1988, si è provveduto ad effettuare più operazioni di pulizia della rete fognaria dell’impianto M.D.I., ubicato nello stabilimento di Brindisi, dalle quali è derivata una quantità di rifiuti pari a 300 ton…. Mantenimento in due serbatoi di uno stoccaggio, non autorizzato, di rifiuti tossici e nocivi derivanti dalla produzione di diamminodifenilmetano (DADPM). I serbatoi e gli impianti del reparto “MDI”, nel quale il rifiuto è prodotto, sono stati conferiti dalla Montedipe S.p.A. alla Montedipe S.r.l. le cui quote sono state apportate ad Enimont. Alla data del 15/12/88, circa 200 ton. di residuo solido di diamminodifenilmetano (DADPM), fuori specifica e provenienti dalle lavorazioni effettuate nell’impianto “MDI” ubicato nello stabilimento di Brindisi, erano stoccate da tempo in due serbatoi siglati F101 e F102. Dal 1985, le 200 ton. di residuo solido di diamminodifenilmetano (DADPM) fuori specifica e provenienti dalle lavorazioni effettuate nell’impianto “MDI” dello stabilimento di Brindisi, stoccate nei serbatoi siglati F101 e F102, non sono state più utilizzate nel processo produttivo.Il residuo solido di diamminodifenilmetano (DADPM) fuori specifica, è il residuo dei processi di lavorazione di sostanze contenenti anilina, effettuati nell’impianto MDI al 15/12/1988. Alla data del 15/12/1988, non esistevano provvedimenti di autorizzazione allo stoccaggio del residuo solido di diamminodifenilmetano (DADPM) fuori specifica e presente nei due serbatoi siglati F101 e F102, siti nello stabilimento di Brindisi… Accumulo, non denunciato né autorizzato, in una vasca interrata dello stabilimento, di rifiuti di varia natura, anche tossici e nocivi, contenenti tra l’altro metalli tossici, in particolare mercurio. Tale accumulo privo di autorizzazione costituisce pertanto una discarica abusiva di rifiuti tossico-nocivi. L’area interessata da tale discarica è stata conferita da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l, le cui quote sono state apportate ad Enimont. Alla data del 15.12.88, in una vasca interrata, profonda circa 3 mt., ubicata nello stabilimento di Brindisi, ed in particolare nell’area denominata “ex P22” e ricoperta con terra, erano depositati (in parte sfusi ed in parte raccolti in fusti) fanghi e residui mercuriosi. L’accumulo di rifiuti, depositato negli anni 1980-1982 nella vasca ubicata in area dello stabilimento di Brindisi denominata “ex P22” ed esistente alla data del 15/12/1988, alla stessa data era sprovvisto di autorizzazione né alcuna domanda al riguardo era stata presentata all’Autorità competente… Accumuli, non autorizzati e privi di sistemi di protezione del suolo, in N. 10 vasche a cielo aperto, di rifiuti tossici e nocivi con infiltrazione di inquinanti nel sottosuolo e nella falda sottostante. Tali accumuli privi di autorizzazione costituiscono pertanto discariche abusive di rifiuti tossico-nocivi.L’area interessata da tali discariche è stata conferita da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l., le cui quote sono state apportate ad Enimont. Nello stabilimento di Brindisi, negli anni antecedenti al 15/12/1988, le melme ed i fanghi oleosi derivanti dalle pulizie dei serbatoi delle apparecchiature degli impianti petroliferi e dei fondi delle vasche “API”, venivano depositati in dieci vasche a cielo aperto contigue fra loro, di capacità di circa 1000 mc. ciascuna. Le sostanze di rifiuto (melme e fanghi oleosi) accumulate nel tempo in dieci vasche contigue fra loro, site nello stabilimento di Brindisi, erano costituite, tra l’altro, da residui bituminosi e naftenici. Il deposito e l’accumulo di sostanze di rifiuto (residui bituminosi e naftenici) derivanti dalle produzioni e da serbatoi dello stabilimento di Brindisi nonché lo stoccaggio delle stesse in dieci vasche a cielo aperto, contigue fra loro, erano privi di autorizzazione alla data del 15/12/1988. Le dieci vasche a cielo aperto, site nello stabilimento di Brindisi, in cui erano stati depositati rifiuti bituminosi e naftenici, erano prive, alla data del 15/12/1988, di sistemi di protezione del fondo e delle sponde. Le sostanze (melme e fanghi oleosi) depositate nelle dieci vasche sono state chiuse con terreno da riporto nel 1983. Le sostanze (melme e fanghi oleosi) depositate nelle dieci vasche sono state ivi abbandonate dal 1962 al 1983 ed erano residui delle lavorazioni svolte nello stabilimento di Brindisi… Stoccaggio in 4 vasche, non autorizzato, di fanghi contenenti sostanze tossiche e nocive, provenienti da operazioni di pretrattamento di reflui dell’impianto M.D.I. nonché dalla pulizia di fogne/apparecchiature dello stesso. Spandimento nel suolo, con percolazione nel sottosuolo e nella falda, di sostanze inquinanti a causa di una fessurazione prodottasi in una delle quattro vasche di stoccaggio dei suddetti fanghi. Le vasche sono state conferite da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l., le cui quote sono state apportate ad Enimont. In data anteriore al 15/12/1988, nello stabilimento di Brindisi, i fanghi derivanti dalle operazioni di pretrattamento dei reflui, dalle pulizie di fognature e di apparecchiature dell’impianto M.D.I., venivano depositati in quattro vasche da circa 300 mc. ciascuna, ubicate presso l’impianto M.D.I. stesso. La Starec ha prelevato un campione delle sostanze depositate nelle quattro vasche ubicate presso l’impianto M.D.I. dello stabilimento di Brindisi, e dal Rapporto Starec al quale si riferisce l’analisi dei campioni risulta la qualità di rifiuti di rifiuti tossico nocivi delle sostanze analizzate. Le quattro vasche, site presso l’impianto M.D.I. dello stabilimento di Brindisi ed utilizzate per il deposito di fanghi ed altre sostanze di rifiuto, non erano, alla data del 15/12/1988, autorizzate allo stoccaggio di rifiuti. Alla data del 15/12/1988, il volume di fanghi accumulati in quattro vasche site presso l’impianto M.D.I. di Brindisi, ammontava a circa 1000 mc., ed in una delle quattro vasche, site presso l’impianto M.D.I. di Brindisi, nelle quali Montedison, in data anteriore al 15/12/1988, aveva depositato fanghi derivanti dalle operazioni di pretrattamento dei reflui dell’impianto stesso, si è prodotta una fessurazione e parte del contenuto della vasca si è infiltrato nel suolo sottostante. In una zona posta a circa 100 metri dalle quattro vasche di stoccaggio dei fanghi dell’impianto M.D.I. di Brindisi, a sud delle stesse ed in prossimità del muro di cinta dello stabilimento (lato mare), è stato riscontrato un affioramento di acque, la cui analisi (come risulta dai bollettini prodotti dalla Parte ENI sub Fascicolo 16, all. a.6-1) ha rilevato la presenza di sostanze inquinanti di natura tossico-nociva con le stesse caratteristiche delle sostanze contenute nelle quattro vasche site presso l’impianto MDI di Brindisi… Omesso smaltimento di rifiuti abbandonati all’interno dei componenti dell’impianto anidride ftalica, dismesso da parte Montedison. I componenti dell’impianto in oggetto e, conseguentemente i rifiuti ivi abbandonati sono stati conferiti da Montedipe S.p.A. (che aveva ceduto a terzi, prima del 15/12/1988, alcuni di tali componenti) a Montedipe S.r.l.. L’impianto di produzione di anidride ftalica, sito nello stabilimento di Brindisi, fu definitivamente fermato dalla parte Montedison nell’anno 1983 ed alcune apparecchiature residuate dopo lo smantellamento dell’impianto anidride ftalica dello stabilimento di Brindisi, fermato definitivamente nel corso dell’anno 1983, furono vendute a terzi da parte di Montedipe S.p.A., anteriormente al 15/12/1988. Nel corso delle operazioni di smantellamento aventi ad oggetto le restanti strutture dell’impianto di anidride ftalica, non cedute a terzi dalla Montedipe S.p.A., furono rinvenuti abbandonati (nell’area in cui era ubicato l’impianto stesso) rifiuti derivanti dalle operazioni di pulizia di apparecchiature e di altre parti dell’impianto. I rifiuti derivanti dalle operazioni di pulizia delle apparecchiature e dell’impianto anidride ftalica, ubicato nello stabilimento di Brindisi e fermato definitivamente nel 1983, erano esistenti nello stabilimento stesso alla data del 15/12/1988 ed ammontavano a circa 500 ton. Lo stabilimento di Brindisi non aveva alcuna autorizzazione per la discarica di rifiuti derivanti dalle operazioni di pulizia delle apparecchiature e dell’impianto anidride ftalica del medesimo stabilimento. Per il completamento degli interventi si deve ancora sostenere un costo pari a lire 193,2 milioni… Omessa denuncia di detenzione ed omesso smaltimento di trasformatori provenienti dallo smantellamento di impianti dismessi. Si tratta di 3 trasformatori contenenti PCB (policlorobifenile), sostanza altamente tossica e cancerogena. Tali apparecchiature appartengono ai beni aziendali apportati da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l., le cui quote sono state apportate in Enimont. Nel corso degli anni 1989-1990, nello stabilimento di Brindisi, fu provveduto allo smantellamento delle sezioni di sintesi e distillazione dell’impianto di produzione di Metanolo e, durante tali operazioni, furono rinvenuti tre trasformatori contenenti PCB (policlorobifenile) da tempo inutilizzati e abbandonati. Il policlorobifenile (PCB) è sostanza altamente tossica e cancerogena. I tre trasformatori contenenti PCB, rinvenuti durante lo smantellamento dell’impianto Metanolo di Brindisi, erano esistenti nello stabilimento stesso, già alla data del 15/12/1988. La detenzione dei tre trasformatori, rinvenuti durante lo smantellamento di sezioni dell’impianto Metanolo di Brindisi, non era stata notificata né risultava autorizzata alla data del 15/12/1988. Per le operazioni di smaltimento per termodistruzione dei tre trasformatori a PCB siti nello stabilimento di Brindisi è stato concluso un contratto con la Matra col quale è stato fissato in Lire 76.160.000 il prezzo complessivo delle operazioni di smaltimento per termodistruzione dei tre trasformatori a PCB… Smaltimento di rifiuti provenienti dalle lavorazioni industriali di Brindisi, depositati senza protezioni del suolo in bacini limitrofi allo stabilimento su aree poi cedute a Terzi. Lo stabilimento di Brindisi è stato conferito da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l. le cui quote sono state apportate ad Enimont. Negli anni dal 1962 al 1969, lo Stabilimento Polymer di Brindisi (facente parte del Gruppo Montedison) ha prodotto acetilene da carburo di calcio con residui di lavorazione, costituiti da idrato di calcio, in quantità pari a circa 800.000 mc. Nel periodo intercorrente tra il 1962 ed il 1969, i residui costituiti da idrato di calcio venivano scaricati in sospensione acquosa in una serie di bacini siti nella zona sud dello stabilimento di Brindisi, vicino al mare, realizzati con argini in terra intorno ad invasi naturali. I residui di lavorazione costituiti da idrato di calcio e pari a circa 800.000 mc, a seguito del drenaggio e della evaporazione della componente acquosa, a partire dal 1969, si sono progressivamente inspessiti nello strato superficiale consentendone il calpestio. Negli anni dal 1969 al 1975, Montedison scaricò nel bacino più adiacente al muro di cinta dello stabilimento di Brindisi, code clorurate, provenienti dell’impianto “DCE/OXY” sito in detto stabilimento, in quantità pari a circa 20.000 mc. Successivamente al 1975, si sono evidenziate infiltrazioni delle code clorurate, depositate nel bacino più adiacente al muro di cinta, nella zona sud dello stabilimento di Brindisi verso un rigagnolo che corre lungo i bacini e che venne quindi spostato il punto di versamento di dette code nel bacino attiguo. A partire dal 1973, in uno dei bacini situati nella zona sud dello stabilimento di Brindisi, furono convogliati anche reflui acquosi dell’impianto anidride ftalica, situato nello stabilimento di Brindisi. I reflui acquosi, provenienti dall’impianto anidride ftalica e depositati in uno dei bacini situati nella zona sud dello stabilimento di Brindisi, avendo componente acida, hanno reagito con il calcio idrato, precedentemente depositato in detto bacino, creando una serie di cunicoli sotterranei. Sul fondo dei bacini, situati nella zona sud dello stabilimento di Brindisi, si riscontrano sacche di prodotto liquido (percolato attraverso le crepe nel fango) e ricoperte da uno strato di prodotto polimerizzato. Lo Studio redatto da Aquater nel luglio del 1991 ha evidenziato la presenza di clorurati anche sulle acque di falda superficiale. Tutta l’area era stata promessa in vendita dalla Parte Montedison alla Micorosa srl perchè la stessa vi esercitasse attività di recupero dei fanghi depositati nei bacini; che Enichem, prima di dar corso alla cessione, ha disposto una serie di accertamenti a tutela della sua posizione di temporanea proprietà, anche in relazione alle situazioni di compromissione ambientale sopra descritte; che di ciò ha fatto espressa menzione alla Montedison con lettera del 25.5.91, esprimendo riserve di rivalsa per ogni pregiudizio derivante dalla situazione sopra descritta. Acquisite le necessarie garanzie, Enichem, in adempimento degli impegni assunti da Montedison, con atto datato 30.1.92, ha venduto l’area di cui sopra alla società Micorosa srl, che ivi sta installando uno stabilimento industriale per la produzione di calce (e recuperando i fanghi industriali di Montedison per farne mattoni!)… Smaltimento improprio di rifiuti speciali in zona “Oasi protetta”, presso lo stabilimento di Brindisi. Lo stabilimento di Brindisi è stato conferito da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l. le cui quote sono state apportate ad Enimont. In data 15.3.83 la Montepolimeri, poi Montedipe spa, presentava alla Regione Puglia istanza di autorizzazione per attività di smaltimento rifiuti speciali in discarica alla quale l’Amministrazione dava seguito con la richiesta di ulteriori informazioni. Successivamente Montedipe spa, con lettera del 15.3.85, indirizzata alla Regione Puglia, dichiarava di aver sospeso l’utilizzo della discarica. In particolare trattasi di discarica di rifiuti speciali effettuata con caratteristiche e modalità di sistemazione non adeguate che comportano obblighi di messa in sicurezza o di bonifica in capo ad Enichem. La discarica in zona Oasi Protetta era anche denominata negli anni 1983, 1984 e 1985 come discarica in zona Saline della Contessa… Discarica di rifiuti speciali (assimilabili agli urbani e provenienti dallo stabilimento di Brindisi) sita in area venduta dalla parte Montedison alla ditta D’Antona prima della data degli apporti (30/6/1989). Richiesta di eventuale risarcimento danni avanzata dalla ditta Dantona con riferimento alla discarica in oggetto. Lo stabilimento di Brindisi è stato conferito da Montedipe S.p.A. a Montedipe s.r.l. le cui quote sono state apportate ad Enimont. In data anteriore al 30.6.1989, Montedison ha realizzato una discarica non autorizzata mediante deposito su un terreno, senza sistemi di protezione, di rifiuti provenienti dallo stabilimento di Brindisi e derivanti da demolizioni di parti murarie dello stabilimento, di capannoni, ecc. L’area esterna allo stabilimento di Brindisi, nella quale insiste la discarica non autorizzata, è stata ceduta dalla parte Montedison alla ditta D’Antona in data anteriore al 30.6.1989. La ditta D’Antona, dopo il 30/6/1989, ha chiesto a funzionari dello stabilimento di Brindisi il risarcimento dei danni (per un importo pari a 3000 milioni) conseguenti all’esistenza sul terreno compravenduto di una discarica non autorizzata di rifiuti, provenienti dallo stabilimento di Brindisi. Su tale discarica, esterna allo stabilimento di Brindisi, nessuna operazione di bonifica è stata intrapresa da Enichem, la quale non è né il produttore di tali rifiuti, nè il cedente dell’area in oggetto… Danno a terreno di proprietà di Terzi (sito in Brindisi, “zona Montenegro”) e compromesso dal deposito, negli anni 1980-1983, di rifiuti provenienti dalle lavorazioni dello stabilimento. I rifiuti sono stati prodotti nello stabilimento di Brindisi a seguito di attività industriali ivi svolte dalla Montedipe S.p.A. Lo stabilimento di Brindisi è stato conferito da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l. A seguito di un incendio verificatosi nel giugno del 1989 in un terreno di proprietà di terzi (sito in zona Montegro, all’esterno dello stabilimento di Brindisi), e adibito a discarica senza autorizzazione, l’Amministrazione Provinciale di Brindisi verificò l’esistenza di rifiuti (in particolare residui ftalici e naftenici) la cui tipologia era riconducibile a scarti delle lavorazioni svolte nello stabilimento Montedipe di Brindisi. Seguì un’indagine, svolta dalla Provincia con il supporto tecnico ed operativo dell’ENEA e successivamente, l’Amministrazione Provinciale, in data 1.3.91, anche nell’interesse della proprietaria del terreno Sig.ra Anna Rizzi, richiese a Montedipe, quale responsabile dei rifiuti ivi rinvenuti, di provvedere alla bonifica del sito mediante asporto e idoneo smaltimento. La Montedipe srl, in data 24.5.91, si impegnava con l’Amministrazione Provinciale a bonificare tutto il terreno ed, in pari data, sottoscriveva la convenzione con la ditta BrinCalce per lo smaltimento (mediante combustione) di parte dei residui ftalici, provenienti dalle operazioni di bonifica. L’Amministrazione Provinciale di Brindisi, con nota dell’1.3.91, n. 832, chiedeva a Montedipe srl il rimborso di lire 284 milioni, pari alle spese sopportate dall’ENEA per l’intervento di bonifica del terreno in questione. EniChem inoltre, ha già iniziato lo smaltimento presso le fornaci della BrinCalce dei residui ftalici provenienti dalle operazioni di bonifica del terreno di proprietà di Terzi sito in “Zona Montenegro”. Il recupero ambientale del terreno di proprietà di Terzi e sito in “Zona Montenegro” è stato eseguito con: 1) lo smaltimento (mediante combustione) presso la ditta BrinCalce dei residui ftalici, previi recupero, triturazione, raccolta in cassoni scarrabili (n. 32), trasferimento del materiale in sacconi da 1 mc. e deposito provvisorio di questi ultimi in area protetta dello stabilimento di Brindisi; 2) lo smaltimento in discarica di categoria 2C, interna allo stabilimento di Brindisi dei rifiuti naftenici (716 ton. di sostanze classificate tossico-nocive dall’E.N.E.A.) previa raccolta in cassoni scarrabili. Il terreno sito nella zona Montenegro dall’inizio delle operazioni di bonifica (24/9/1990) e sino al 15/7/92 è stato sorvegliato da un servizio continuo di guardiania richiesto dalle Autorità preposte. Le sostanze presenti nella zona Montenegro e lì rinvenute nel giugno 1989 erano state ivi depositate durante gli anni 1980, 1981, 1982 e 1983, ed erano pari a circa 700 tonn. Le 711 tonn. di rifiuti naftenici, provenienti dalla bonifica della “Zona Montenegro” (di Brindisi) sono stati smaltiti in una discarica controllata di II^ categoria tipo C di proprietà di EniChem Polimeri ed il costo di tali operazioni di smaltimento è stato pari a circa Lire 711 milioni. Per il completamento degli interventi di bonifica della “Zona Montenegro” di Brindisi si dovrà sostenere un costo complessivo pari a circa Lire 412 milioni”.
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