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Brindisi, Ecco Dove Eni Ha Seppellito I Suoi Veleni. Parte 4°

Dopo le prime puntate  a tema dedicate  all’Enichem  di  Venezia-Porto Marghera, all’Acna  Chimica  Organica di  Cengio, al  petrolchimico ENI di  Priolo  Gargallo, era  impossibile  non fare  una  capatina  anche  a Brindisi per soffermarsi  un  attimo a  riflettere  sulle  devastazioni  ambientali  operate quì dall’ENI,  in una bella  regione  come  la Puglia, territorio a spiccata vocazione  turistica, dove pare abbia avuto  luogo uno degli scempi  ambientali  più  gravi  della  nostra storia.

A  Brindisi casualmente ritroviamo  una vecchia  conoscenza. Un  manager  storico  dell’ENI, il Dott.  Andrea Mattiussi già  amministratore delegato  della  società Montedipe – azienda poi confluita dalla jv  Enimont all’Enichem del Gruppo ENI. E’ stato pluriindagato per  vari reati  quali  strage colposa, disastro ambientale, lesioni  gravi e   72  morti per malattie (linfomi, mesotelioma, tumori ai polmoni) correlate all’esposizione a sostanze  cancerogene  e sostanze pericolose come l’amianto, diossine, benzene, stirene, butadiene, acrinlonitrile e dicloretano.

Ha rimediato  anche una tenue  condanna per  l’inquinamento  ed avvelenamento del  fiume  Mincio (Mantova). Dopo  i  suoi turbolenti trascorsi  giudiziari (da  cui  uscirà praticamente  indenne grazie a  prescrizioni e  gabole  varie – vedi documento pdf n. 1) il  Manager Eni passerà  poi  alla società   Snia. Una  parentesi: data la  rilevanza delle  tematiche  che lambiscono Mattiussi,  dedicheremo quanto prima  anche  un  articolo  a  Mantova nonché Cesano Maderno. Essendo  dotato di  grande  fantasia  posso già  anticiparvi  il  titolo dell’articolo: “MANTOVA (o Cesano Maderno): Ecco  come l’ENI  ha seppellito i   suoi  vel-ENI”.

Siamo  nel sito  industriale  di Brindisi. In una  Nota  riservata  di  Enichem Anic-Montepolimeri  indirizzata proprio  al  ns. benemerito Dr. Mattiussi, viene riassunta  la  seguente informativa riservata ad  uso  interno (vedi  documento pdf n. 2):

“… la  problematica  dei  residui   mercuriosi sempre  presente  in  Fabbrica andò acuendosi in  modo  rilevante  negli  anni 1976-77 per  la  produzione  di  grossi  volumi di  fanghi  nell’impianto di  trattamento  acque  mercuriose… dopo  la  fermata  del  cloro soda i  vari  residui  mercuriosi (fanghi, terre, materiali  vari inquinati)  presenti  in  Stabilimento rimasero  stoccati in  attesa  di soluzioni  sempre  ventilate e  mai  concretizzate che  si  rivelavano  sempre ipotetiche ed  aleatorie. Si  andava  invece  nel  frattempo   aggravando la  situazione dello  stoccaggio,  creando  reali  pericoli  di  inquinamento,  sia  per  il progressivo  deterioramento dei  contenitori  dei  residui solidi sia per  il  rischio  di  trabocco dei  fanghi siti  sotto il  P.28 nel  collettore  di  scarico  a  mare, a  seguito  di  aumento del  livello  per forti  pioggie. Detto  rischio in  qualche  occasione si  è  concretizzato… Relativamente  ai  rifiuti  mercuriosi il  censimento  indica: n. 740  fusti di  fanghi  inspessiti, 320  fusti di  terra  e  residui vari  inquinati, 100  fusti  di  grafite, 400  mc.  circa  di fanghi  residui parzialmente  inspessiti. Il  tutto  è  stato  coperto  con  scarto  di  cava per  uno  spessore  di  circa  30  cm. Pressato  e livellato… su  di  esso  è  stato  effettuato  uno  stendimento  di sabbia  di  frantoio  rullato con  ottenimento  di  un  piano di  calpestio camminabile… Non  si  è  ritenuto  opportuno né  necessario  denunciare ad  autorità  la  realizzazione dell’opera sia  in  relazione alla  situazione  locale  sia in  considerazione che  non  è  stato  fatto  uno  scarico  sul  terreno che  rientrava  quindi nei  disposti  della legge …”.

Come  potete  ben  riscontrare anche  a  Brindisi (come del resto in  tutti  gli  altri siti  dell’ENI), la  produzione  di  vel-ENI micidiali è arrivata a toccare  livelli da  incubo.  Tanto che  a Brindisi cominciò  a porsi  il  problema  di  come  eliminare  questa imponente  mole di  rifiuti  tossico-nocivi. Anche  nel  caso  specifico venne  in  provvidenziale aiuto la  proverbiale  ed italica  fantasia  degli  uomini da  110 e lode & Master del  “Cane  a  sei  zampe”.

Rispetto  al  modello  adottato in  altri  siti industriali  però (interramento  diretto  dei  rifiuti da  parte degli  uomini  ENI) nel contesto  brindisino  si  pensò  bene  d’adottare  una  variante inedita. Per  una  “bonavota” l’Eni decise di  non  sporcarsi  direttamente le  mani.  Meglio far  fare  ad  altri il  “lavoro sporco”.  Entrò  così  in  scena un  eclettico personaggio,  dotato  di bacchetta  magica, che rivelò  all’ENI  come  far  sparire  2 milioni  di  metri  cubi  di  fanghi  mercuriali.  Il  machiavellico prestigiatore si  chiama   Geom. Giuseppe Bonavota da  Briatico,  classe 1927,  un  vero mago  Zurlì  dei rifiuti, che con le  sue  magie riuscì persino di surclassare l’Eni.

Far  “svanire”  i  vel-ENI anziché  “seppellirli” o  inviarli  in  Nigeria  è  certamente un’idea  innovativa.  Avviene così che  il Bonavota, unitamente alla  società  Micorosa  Srl  (di  Brindisi)  e la società   Montedipe  Spa  siglano  una  “Scrittura Privata”  che  ha  per oggetto:

“ … la  reindustrializzazione dell’area  di Brindisi”,  con la  nobilissima  finalità del   “…   reimpiego del  personale  attualmente  in  CIGS di Montedipe  … sul  presupposto  che  venga  installata in  un’area  confinante  con  lo  stabilimento  petrolchimico un’azienda  industriale avente  come  attività il  recupero  e  la  lavorazione di  sottoprodotti  fangosi con  esclusivo  reimpiego  di  personale di  Montedipe … Montedipe  riconoscerà  a Micorosa per  ciascun  dipendente  MONTEDIPE in  CIGS  assunto  da  Micorosa …  un  contributo  di 15  milioni …”.

Il progetto Micorosa-Bonavota – che  trovate anche  quì  allegato pdf –   riscosse  immediatamente l’entusiastico  consenso  dei vertici  dell’ENI  (e  lo  credo  bene … dissolvere nel  nulla 2  milioni di  mc di  vel-ENI come  per  incanto) tanto  che il prode Mattiussi si  studiò a  memoria ogni  singolo  passo  del  memorandum incorniciando nel  suo  ufficio la  copertina  del  fantasmagorico dossier che  titolava: “Progetto  di  fattibilità per  l’installazione in  un’area  confinante con lo  stabilimento  petrolchimico di  Brindisi  di  una azienda  industriale avente  come  attività il  recupero e la  lavorazione di  sottoprodotti fangosi”.

Non potete neanche  lontanamente immaginare  i  ritorni  che  potrebbero  esserci in  termini industriali se nel  progetto tutto filerà  liscio senza intoppi. Se  il  Bonavota  non è  un  pazzo  furioso  visionario  ed  il  suo procedimento  alchemico dovesse funzionare sarà come  aver  scoperto il  segreto  della  ‘pietra  filosofale’. Sfruttato  su  larga  scala  consentirà di  smaterializzare come d’incanto  tutti  i  rifiuti  killer  dell’ENI  sparsi  in tutti  gli  stabilimenti d’Italia  e del  mondo.

Così  sul  finire  degli  anni ’80 si  moltiplicano freneticamente i  contatti tra  l’Archimede  pitagorico brindisino, il  prode Mattiussi ed i  vertici dell’Ente  Energetico Idrocarburi per  mettere  a punto le  varie  fasi dell’affaire. Finchè un  giorno Dario  Amodio, dirigente  di  Enichem Anic invia una Nota  riservata  a  Mattiussi per  fare  il  punto della  situazione e riassumere a grandi  linee  i  termini  del  business: “Nota  riservata  per  il  dott.  Mattiussi –  iniziativa Bonavota per il  riutilizzo  di  fanghi  da  carburo”. Scrive il  relatore di Enichem Anic (vedi  documento pdf n. 3):

“…  a  sud  dello  stabilimento  petrolchimico,  fuori  della  recinzione, esiste  un’area  di  circa 44  ettari  denominata “Zona  Fanghi” adibita  a  suo  tempo  a  ricevere i  residui  provenienti dalla  produzione  di  acetilene da  carburo. La  massa  dei  fanghi  depositata  nel  tempo può  essere  valutata  ad un  milione  di  mc…  disponendo  di  una  così  rilevante  massa  di  fanghi  ci  siamo  attivato  da  tempo  per  studiarne  l’utilizzo e  conseguire  contestualmente  la  bonifica  della  zona  eliminando  fonti  di  rischio per  le  persone  che  incautamente vi  si  fossero  inoltrate  e  restituendo  al  verde  l’intera  area.  Proficui  son  stati  i  contatti avviati  con  un  imprenditore locale, che  ha  trovato  la  soluzione  del  problema. Attraverso  opportuni  processi tecnologici (che  di  seguito  sono  indicati) ha  trovato  il  modo di trasformare  i  fanghi ricavandone  prodotti da  utilizzare nell’edilizia  civile … l’imprenditore  di  cui si parla è  il  Geom. Giuseppe  Bonavota socio  e  dirigente  di  alcune  società (Edil Cover, Moviter Sud, Corat  Service) che  operano  a Taranto nel  campo  dell’edilizia e  dell’estrazione e lavorazione  calcarei … Essendo  la  massa  stimata  dei  fanghi clorurati  di  1  milione  di  metri cubi si  prevede  di  dover  trattare in  totale  10  milioni  di  quintali … lavorando 2000  quintali al  giorno,  considerando  ogni  anno 300  giornate   lavorative,  si  prevede che  l’attività  avrà una  durata  di  30 anni”.

Inutile  dirlo l’idea è   semplicemente  geniale. Che dico gENIale.  S’elimina  una  fonte  di  rischio  per  l’uomo  e l’ambiente togliendo i  rifiuti  tossico  nocivi  dai  terrENI contaminati dello  stabilimento ENI  di  brindisi per  spostare i vel-ENI all’esterno dello stabilimento trasformandoli  in tegole,  in mattoni,  piastrelle, malta  da  costruzione, asfalti  per  strade  ed  autostrade  etc  etc.  Era l’aprile del 1987. Segnatevi  bene sul  calendario sta  data nella  quale è  stata  concepita sta  genialata d’idea. Come si  legge  nel  memorandum questa tipologia  di  “smaltimento”  avrebbe richiesto  perlomeno 30  anni di  lavorazioni. Se  non  fosse  stato  per  lui (sempre  l’eclettico e magico  Geom. Bonavota)  a  quest’ora   sarebbero stati  ancora  lì  a trasformare   fanghi  clorurati   imbottiti di mercurio in  malte  bastarde.

Ed  anche  stronze, se  posso  aggiungere. Perché Zurlì aveva ben  altri  progetti  di  smaltimento.  Che  prevedevano  comunque   sempre la  pronuncia  della  fatidica   frase  “sim-sala-bim”. Come  per  incanto tutti i  vel’ENI  sparirono per davvero.  Ancor  tutt’oggi  non si  sa  bene  dove  siano  finiti, è un  ENI-gma.  Si  sa  solo  che imponenti  concentrazioni  proprio di quegli   inquinanti e  vel’ENI  che doveva trasformare son  stati  riscontrati sottoterra   nell’area che  doveva  servire  per la  realizzazzione del  progetto. Oggi  quell’area  brindisina,  è  diventata una  “death valley”  e  vien da  tutti  chiamata  “discarica  Micorosa”.  Sin’oltre i  5  mt  di  profondità son  stati trovati sepolti nelle viscere della terra, tonnellate e tonnellate  di  vel-ENI fra cui dicloroetilene, il famigerato cloruro di vinile, benzene, arsenico, e altri contaminanti per volumi complessivi che superano di 4 milioni di  volte  i limiti consentiti dalla legge.

Una  bomba  nucleare  ecologica  mai disinnescata proprio alle  spalle  dell’Oasi Naturale delle  Saline (e  lì sti vel-ENI   ci  sono  ancora tutti). Non  è  un caso che  a Brindisi  dalla fine  degli  anni  ’80  in  poi  siano registrate stranissime  morti  probabilmente  riconducibili  agli  agenti chimici killer, in  primis  il cloruro  di  vinile. Voi  direte: tranquilli  perché tanto in  questo  paese c’è l’obbligatorietà dell’azione  penale. Infatti per tutto  questo  non ha mai  pagato nessuno (e  forse  mai  nessuno pagherà).

Però  finalmente, dopo oltre  50  anni,  qualcosa  di concreto  si sta  facendo per  porre  rimedio.  E’  stato affidato l’appalto  da  milioni di  euro per la  (pseudo) bonifica ad una  ditta  in  odore  di  ‘ndrangheta e Mafia molto vicina  alla  cosca del boss  Nitto Santapaola. Quindi  tornando a  bomba (quella  ecologica), dopo  l’intervento della  DDA  di  Catania nella Discarica  Micorosa   nulla  è  cambiato. I velENI – quelli  che nel  frattempo non  si  son  ancora  dispersi  nell’ambiente – son  sempre  sottoterra dov’erano, che  attendono  l’impresa  che dovrà rimuoverli fisicamente, infustarli e  poi  riseppellirli nuovamente sempre lì, nel  sottosuolo della  Valle della Morte. Tombati  per  sempre nelle  viscere  della Madre Terra.

Questo  il  nuovo  fantasmagorico progetto di  lavoro.  Dopo  mezzo secolo un grande  piano, non c’è  che  dire. Fate schifo.

Tornando  agli  anni ’70, alcuni  dicono  che  quelli erano  altri  tempi. Erano  tempi  in  cui tutti  facevano  “i  cazzi  che  volevano”. A  Brindisi  inquinava  pure   la  Guardia  di  Finanza pensate  un  pò. Si  legge  in una  nota di  Enichem  Anic (vedi  documento pdf n. 4).

Lo stabilimento Montedipe  di Brindisi “non è  mai  stato  dotato di  un  impianto di trattamento centralizzato delle  acque di  processo  di  scarico dei  vari  impianti  produttivi, e  nemmeno  di  impianti di trattamenti  specifici, e quindi  tali  acque di  processo confluivano direttamente  nei  collettori di  raccolta  delle  acque di  raffreddamento che  scaricavano a mare…  attualmente  son  stoccati  in  stabilimento 82.000  metri cubi di  soluzione  acquosa di  Sali  sodici (provenienti  dallo  stabilimento  Enichem  Agricoltura  di M.  Sant’Angelo) che  occorre  smaltire  sia per  liberare  i  serbatoi che  su  sollecitazione  dell’Amministrazione Provinciale  di  Brindisi… con l’acquisizione  della  proprietà  Montedipe è  stato riscontrato che  gli  scarichi  civili della  Caserma della  G. d F. e  degli  alloggi  sociali confluiscono  a mare,  a cielo  aperto attraverso una  spiaggia. Pertanto  è  opportuno  convogliare tale  scarico al  trattamento  biologico…  tale  scarico è  causa  di  esalazioni  maleodoranti  in particolare  durante  il  periodo  estivo quando  si  registra  una  notevole presenza  di persone  sulla  spiaggia.  Per  tali  motivi  e onde  evitare coinvolgimenti e strumentalizzazioni  esterne  è  opportuno convogliare  tale  scarico all’impianto  biologico  dello  stabilimento…”.

Avvertenza: se  capitate  nei  pressi  di  Brindisi  e  avete proprio voglia  di  farvi  una  nuotatina  da  quelle parti,  occhio  a  non  farvi  un   pieno di  colifecali.  Se  invece  siete indigeni  del  luogo ed  avvertite  strane  patologie,  ringraziate  l’ENI. E  potete  esprimere  un  ringraziamento anche all’On.le Stefania Prestigiacomo (illustre ex ministro  dell’Ambiente) che è   rimasta  così profondamente  toccata  dall’emozionante  storia ambientale  dell’ENI che  aveva quasi deciso  di  condonarle, con  apposito  decreto,  tutti i  più gravi  disastri  ambientali della  sua storia. Area Brindisina  inclusa. Una  cosa  così  vergognosa  che  più  vergognosa  di  così non  si  può. Senza  offesa, proporrei due “Brindisi” una per la nostra ex ministra dell’ambiente e  uno anche per Eni e  Montedison.

Sì perché  la storia di  quest’ecatombe nasce  da molto lontano. Se  ne  rinviene traccia già  dai primi  anni  ’80. Quando  comincia  a prendere  forma l’idea di un matrimonio mortale, quello  conosciuto dai  più come la  famosa  joint  venture  Enimont  tra le  società Eni e Montedison. Inquinare  da soli   è   bello ma farlo  insieme è  meglio. Una  storia  d’“amore  criminale” che sfocia in  un  matrimonio alquanto travagliato e di breve  durata.

Funestato da “Mani  Pulite” e dalle mega  tangenti Enimont imbrattate  di  sangue.  Inoltre non  dimentichiamoci  il  tragico  epilogo che  colpì i due  rivali  delle nozze  Enimont, il Presidente di Eni, Gabriele  Cagliari e quello di  Motedison, Raoul Gardini,  suicidi entrambi  a 3  giorni  di  distanza  l’uno  dall’altro  (puro  caso). Il primo soffocato  con  un  sacchetto  di  plastica il  20  luglio 1993   il secondo con  un  colpo  di  rivoltella  alla  tempia il  23  luglio 1993.

Ma  questa  non è  solo una storia  di velENI sepolti. C’è un  documento  inedito rimasto anch’egli  sin’oggi  occultato (come  i velENI di cui si parla), in  un cosiddetto  “armadio  della  vergogna” che   racconta  gli obbrobri che  sarebbero  dovuti  rimanere  sopiti  per  molto  tempo  ancora. Per  la prima volta oggi,  per  voi, lo riesumiamo.

E’  una  bozza  del Collegio Arbitrale di Enimont,  tra  le  parti Eni e Montedison dove son  allegati “Fascicoli riservati” e quelle  che  vengono denominate “schede  ecologiche” (alcune di  queste le  abbiamo già  pubblicate  in  precedenti  articoli  quì sul  sito  di Themis & Metis). Se  volete  dargli  un’occhiata  e leggerlo  per  intero armatevi  di  santa  pazienza. Sono  619 pagine fitte  di date, luoghi, fatti, interramenti, inquinamenti, disastri  ecologici e chi  più ne  ha più  ne  metta,  venuti a  galla a  seguito  della  “due diligence” ambientale (ma di  cui tutti gli ‘addetti ai lavori’ erano  al  corrente  da oltre  mezzo secolo).

Anche  questo dimostra,  se  mai  ce  ne  fosse  ancora  bisogno, come le situazioni di  scempio perpetrate  nei  vari stabilimenti  chimici e petrolchimici  fossero  cosa  nota e tenuta  ben  nascosta. Incredibile, l’ ENI  ha  sepolto per  decenni i  suoi velENI  ed ha  avuto il  buon  gusto di contestare a  Montedison d’aver  fatto  altrettanto. Le  comiche: il  bue  che  dice  cornuto  al  Toro, pardon  all’asino.

Se  ci  pensate  bene   quello  dell’Arbitrato  è lo  strumento  perfetto, essendo  una forma di ‘giustizia’ privata molto  discreta, ideale  per  esporre certi  fattacci lontano dai  riflettori della  giustizia  ordinaria.  La ratio dell’operazione è  quella di  litigare potendo sviscerare in  tutta tranquillità le varie  criticità   tributarie e contabili (dei  quali  non  ce  ne  può  fregar  de  meno),  ricostruendo meticolosamente in tutta comodità  le  porcate  atomiche perpetrate  nei vari  stabilimenti  oggetti  di  apporto nella  joint  venture Enimont.

Porcherie  che  da  sole han  prodotto (e  continueranno  a  causare) decine  di  migliaia  di  vittime. Più  dei  narcos  messicani/colombiani e della  Mafia  italiana  messi  insieme.  Tra le aziende coinvolte vengono citati gli Stabilimenti  di Acerra (Montefibre),  Acna Chimica Organica (Enichem), di  Mantova (Montedipe),  di Ferrara (Agrimont), di Porto Marghera (Montedipe, Enichem, Agrimont, Montefibre), Vercelli (Montefibre), Villadossola (Montedipe), Viguzzolo (Auschem), Novara (Montedipe), Margherita  di Savoia (Saibi), Castellanza (Alchemia), Crotone (Ausidet), Priolo Gargallo (Montedipe), Cesano Maderno (Acna Spa), Coleraine (Irlanda  del  Nord), Miranda De  Ebro (Spagna), Nichols (Florida), Enichem France, Montefibre Hispania, Montefibre UK, Nippon Montedison KK, etc  etc  e naturalmente dulcis  in fundo anche il  nostro insediamento industriale  killer di Brindisi (Montedipe).

Io  che  ho  avuto lo  stomaco di  leggere  tutto  il  dossier, vorrei poter  stendere  un  velo  pietoso sulle  schifezze  perpetrate in  tutti questi  stabilimenti  industriali. Per  cui se  siete  incuriositi e proprio volete  arrischiarvi a fare  altrettanto,  mettetevi  comodi  e  leggete cosa  si scrive in  queste  619 pagine. Non  crederete ai  vostri  occhi. Intanto per  il  momento mi  rassegno a  sintetizzarvi,  già  che  siamo in argomento, quanto  rivelato sullo stabilimento di  Brindisi.

Prima di  lasciarvi però concludo  con  un’ultima garbata  polemica: potrà forse  sembrare  eccessivo ma  per  me inquinare  ed  uccidere  l’ambiente equivale ad avvelenare la  popolazione  mondiale. E’ come uno  sterminio di  massa  a tutti  gli  effetti. E’ un  crimine contro  l’umanità!

Ma questo lo  penso solo io  che  son  un  cretino. Non  troverete uno straccio  di  politico disposto a darmi  ragione  (o   proporre delle  leggi in  tal  senso). Viste  le dimensioni e  le  proporzioni titaniche  di  queste  devastazioni ambientali, in  linea  puramente teorica,  dovrebbero rimanere solo 2 alternative per  sperare nella  sopravvivenza: emigrare  su  un  altro  pianeta o varare  un’ imponente  “Piano  Marshall” per  risanare l’habitat devastato nel quale  viviamo (fantascienza).

In  questa  seconda  ipotesi  opterei  per   la  scelta  fatta  dagli alleati dopo  il secondo  conflitto  mondiale: fare  sfilare tutti i  cittadini  davanti  ai  siti industriali  responsabili dell’assassinio di  massa  dell’ecosistema. Come  gli abitanti di Weimar (Germania) che  son  stati fatti  sfilare davanti  ai  corpi  senza  vita  degli  esseri umani sterminati dai  Nazisti nei  forni  crematori di  Buchenwald.

Una  sorta di  pellegrinaggio attraverso questa “mostra degli orrori”,  per  dare  consapevolezza dei crimini perpetuati dalle  multinazionali e perchè  in  futuro nessuno  osi più ripetere questi  genocidi. Un’olocausto di  cui  io  non voglio  esser  corresponsabile.

Un popolo  che accetta  silente queste  mostruosità, non è vittima, è complice.

 

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Bozza Riservata  del Verbale  di Collegio Arbitrale Eni-Montedison che  è composto dal  Presidente, Prof. Avv. Franzo Grande Stevens, mitico consulente legale  dell’Aga  Khan  e di tutta tutta  la  cremè dell’imprenditoria  italiana (la Fam. Agnelli/Fiat, Carlo De  Benedetti,   Ferrero, Lavazza  etc  etc). Gli Arbitri sono il Dott. Angelo Casò, l’Avv. Bruno Elia, il Prof. Mario Massari, l’ Avv. Alessandro Pedersoli.

Circa  lo  Stabilimento Montedipe  di  Brindisi si  dice, sintetizzo (vedi  documento pdf n. 5):

 

Scarico abusivo sul suolo dello stabilimento, causato dal rigurgito della fognatura ostruita per l’accumulo nella stessa di sostanze anche tossico-nocive formatesi nel tempo. La fognatura in oggetto è infrastruttura conferita da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l. le cui quote sono state apportate ad Enimont. La rete fognaria dell’impianto MDI (Difenilmetandiisocianato), ubicato nello stabilimento di Brindisi, negli anni 1985, 1986, 1987, e 1988, si era ostruita più volte, e si erano verificate perdite di refluo fognario. Nella rete fognaria dell’impianto MDI dello stabilimento di Brindisi confluivano, negli anni 1985, 1986, 1987 e 1988, le acque reflue di processo del medesimo impianto (anilina, difenilmetandiisocianato, e MCB). Negli anni 1985, 1986, 1987 e 1988 circa 700 mc. del terreno circostante l’impianto MDI erano stati oggetto di allagamenti e spanti di refluo fognario proveniente dal medesimo impianto e  successivamente al 15/12/1988, si è provveduto ad effettuare più operazioni di pulizia della rete fognaria dell’impianto M.D.I., ubicato nello stabilimento di Brindisi, dalle quali è derivata una quantità di rifiuti pari a 300 ton…. Mantenimento in due serbatoi di uno stoccaggio, non autorizzato, di rifiuti tossici e nocivi derivanti dalla produzione di diamminodifenilmetano (DADPM). I serbatoi e gli impianti del reparto “MDI”, nel quale il rifiuto è prodotto, sono stati conferiti dalla Montedipe S.p.A. alla Montedipe S.r.l. le cui quote sono state apportate ad Enimont. Alla data del 15/12/88, circa 200 ton. di residuo solido di diamminodifenilmetano (DADPM), fuori specifica e provenienti dalle lavorazioni effettuate nell’impianto “MDI” ubicato nello stabilimento di Brindisi,  erano stoccate da tempo in due serbatoi siglati F101 e F102.  Dal 1985, le 200 ton. di residuo solido di diamminodifenilmetano (DADPM) fuori specifica e provenienti dalle lavorazioni effettuate nell’impianto “MDI” dello stabilimento di Brindisi, stoccate nei serbatoi siglati F101 e F102, non sono state più utilizzate nel processo produttivo.Il residuo solido di diamminodifenilmetano (DADPM) fuori specifica, è il residuo dei processi di lavorazione di sostanze contenenti anilina, effettuati nell’impianto MDI al 15/12/1988. Alla data del 15/12/1988, non esistevano provvedimenti di autorizzazione allo stoccaggio del residuo solido di diamminodifenilmetano (DADPM) fuori specifica e presente nei due serbatoi siglati F101 e F102, siti nello stabilimento di Brindisi…  Accumulo, non denunciato né autorizzato, in una vasca interrata dello stabilimento, di rifiuti di varia natura, anche tossici e nocivi, contenenti tra l’altro metalli tossici, in particolare mercurio. Tale accumulo privo di autorizzazione costituisce pertanto una discarica abusiva di rifiuti tossico-nocivi. L’area interessata da tale discarica è stata conferita da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l, le cui quote sono state apportate ad Enimont. Alla data del 15.12.88, in una vasca interrata, profonda circa 3 mt., ubicata nello stabilimento di Brindisi, ed in particolare nell’area denominata “ex P22” e ricoperta con terra, erano depositati (in parte sfusi ed in parte raccolti in fusti) fanghi e residui mercuriosi. L’accumulo di rifiuti, depositato negli anni 1980-1982 nella vasca ubicata in area dello stabilimento di Brindisi denominata “ex P22” ed esistente alla data del 15/12/1988, alla stessa data era sprovvisto di autorizzazione né alcuna domanda al riguardo era stata presentata all’Autorità competente… Accumuli, non autorizzati e privi di sistemi di protezione del suolo, in N. 10 vasche a cielo aperto, di rifiuti tossici e nocivi con infiltrazione di inquinanti nel sottosuolo e nella falda sottostante. Tali accumuli privi di autorizzazione costituiscono pertanto discariche abusive di rifiuti tossico-nocivi.L’area interessata da tali discariche è stata conferita da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l., le cui quote sono state apportate ad Enimont. Nello stabilimento di Brindisi, negli anni antecedenti al 15/12/1988, le melme ed i fanghi oleosi derivanti dalle pulizie dei serbatoi delle apparecchiature degli impianti petroliferi e dei fondi delle vasche “API”, venivano depositati in dieci vasche a cielo aperto contigue fra loro, di capacità di circa 1000 mc. ciascuna. Le sostanze di rifiuto (melme e fanghi oleosi) accumulate nel tempo in dieci vasche contigue fra loro, site nello stabilimento di Brindisi, erano costituite, tra l’altro, da residui bituminosi e naftenici. Il deposito e l’accumulo di sostanze di rifiuto (residui bituminosi e naftenici) derivanti dalle produzioni e da serbatoi dello stabilimento di Brindisi nonché lo stoccaggio delle stesse in dieci vasche a cielo aperto, contigue fra loro, erano privi di autorizzazione alla data del 15/12/1988. Le dieci vasche a cielo aperto, site nello stabilimento di Brindisi, in cui erano stati depositati rifiuti bituminosi e naftenici, erano prive, alla data del 15/12/1988, di sistemi di protezione del fondo e delle sponde. Le sostanze (melme e fanghi oleosi) depositate nelle dieci vasche sono state chiuse con terreno da riporto nel 1983. Le sostanze (melme e fanghi oleosi) depositate nelle dieci vasche sono state ivi abbandonate dal 1962 al 1983 ed erano residui delle lavorazioni svolte nello stabilimento di Brindisi… Stoccaggio in 4 vasche, non autorizzato, di fanghi contenenti sostanze tossiche e nocive, provenienti da operazioni di pretrattamento di reflui dell’impianto M.D.I. nonché dalla pulizia di fogne/apparecchiature dello stesso. Spandimento nel suolo, con percolazione nel sottosuolo e nella falda, di sostanze inquinanti a causa di una fessurazione prodottasi in una delle quattro vasche di stoccaggio dei suddetti fanghi. Le vasche sono state conferite da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l., le cui quote sono state apportate ad Enimont. In data anteriore al 15/12/1988, nello stabilimento di Brindisi, i fanghi derivanti dalle operazioni di pretrattamento dei reflui, dalle pulizie di fognature e di apparecchiature dell’impianto M.D.I., venivano depositati in quattro vasche da circa 300 mc. ciascuna, ubicate presso l’impianto M.D.I. stesso.  La Starec ha prelevato un campione delle sostanze depositate nelle quattro vasche ubicate presso l’impianto M.D.I. dello stabilimento di Brindisi, e  dal Rapporto Starec al quale si riferisce l’analisi dei campioni risulta la qualità di rifiuti di rifiuti tossico nocivi delle sostanze analizzate. Le quattro vasche, site presso l’impianto M.D.I. dello stabilimento di Brindisi ed utilizzate per il deposito di fanghi ed altre sostanze di rifiuto, non erano, alla data del 15/12/1988, autorizzate allo stoccaggio di rifiuti. Alla data del 15/12/1988, il volume di fanghi accumulati in quattro vasche site presso l’impianto M.D.I. di Brindisi, ammontava a circa 1000 mc., ed  in una delle quattro vasche, site presso l’impianto M.D.I. di Brindisi, nelle quali Montedison, in data anteriore al 15/12/1988, aveva depositato fanghi derivanti dalle operazioni di pretrattamento dei reflui dell’impianto stesso, si è prodotta una fessurazione e parte del contenuto della vasca si è infiltrato nel suolo sottostante. In una zona posta a circa 100 metri dalle quattro vasche di stoccaggio dei fanghi dell’impianto M.D.I. di Brindisi, a sud delle stesse ed in prossimità del muro di cinta dello stabilimento (lato mare), è stato riscontrato un affioramento di acque, la cui analisi (come risulta dai bollettini prodotti dalla Parte ENI sub Fascicolo 16, all. a.6-1) ha rilevato la presenza di sostanze inquinanti di natura tossico-nociva con le stesse caratteristiche delle sostanze contenute nelle quattro vasche site presso l’impianto MDI di Brindisi… Omesso smaltimento di rifiuti abbandonati all’interno dei componenti dell’impianto anidride ftalica, dismesso da parte Montedison. I componenti dell’impianto in oggetto e, conseguentemente i rifiuti ivi abbandonati sono stati conferiti da Montedipe S.p.A. (che aveva ceduto a terzi, prima del 15/12/1988, alcuni di tali componenti) a Montedipe S.r.l.. L’impianto di produzione di anidride ftalica, sito nello stabilimento di Brindisi, fu definitivamente fermato dalla parte Montedison nell’anno 1983 ed alcune apparecchiature residuate dopo lo smantellamento dell’impianto anidride ftalica dello stabilimento di Brindisi, fermato definitivamente nel corso dell’anno 1983, furono vendute a terzi da parte di Montedipe S.p.A., anteriormente al 15/12/1988. Nel corso delle operazioni di smantellamento aventi ad oggetto le restanti strutture dell’impianto di anidride ftalica, non cedute a terzi dalla Montedipe S.p.A., furono rinvenuti abbandonati (nell’area in cui era ubicato l’impianto stesso) rifiuti derivanti dalle operazioni di pulizia di apparecchiature e di altre parti dell’impianto. I rifiuti  derivanti dalle operazioni di pulizia delle apparecchiature e dell’impianto anidride ftalica, ubicato nello stabilimento di Brindisi e fermato definitivamente nel 1983, erano esistenti nello stabilimento stesso alla data del 15/12/1988 ed ammontavano a circa 500 ton. Lo stabilimento di Brindisi non aveva alcuna autorizzazione per la discarica di rifiuti derivanti dalle operazioni di pulizia delle apparecchiature e dell’impianto anidride ftalica del medesimo stabilimento. Per il completamento degli interventi si deve ancora sostenere un costo pari a lire 193,2 milioni…  Omessa denuncia di detenzione ed omesso smaltimento di trasformatori provenienti dallo smantellamento di impianti dismessi. Si tratta di 3 trasformatori contenenti PCB (policlorobifenile), sostanza altamente tossica e cancerogena. Tali apparecchiature appartengono ai beni aziendali apportati da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l., le cui quote sono state apportate in Enimont. Nel corso degli anni 1989-1990, nello stabilimento di Brindisi, fu provveduto allo smantellamento delle sezioni di sintesi e distillazione dell’impianto di produzione di Metanolo e, durante tali operazioni, furono rinvenuti tre trasformatori contenenti PCB (policlorobifenile) da tempo inutilizzati e abbandonati. Il policlorobifenile (PCB) è sostanza altamente tossica e cancerogena. I tre trasformatori contenenti PCB, rinvenuti durante lo smantellamento dell’impianto Metanolo di Brindisi, erano esistenti nello stabilimento stesso, già alla data del 15/12/1988. La detenzione dei tre trasformatori, rinvenuti durante lo smantellamento di sezioni dell’impianto Metanolo di Brindisi, non era stata notificata né risultava autorizzata alla data del 15/12/1988. Per le operazioni di smaltimento per termodistruzione dei tre trasformatori a PCB siti nello stabilimento di Brindisi è stato concluso un contratto con la Matra col quale è stato fissato in Lire 76.160.000 il prezzo complessivo delle operazioni di smaltimento per termodistruzione dei tre trasformatori a PCB… Smaltimento di rifiuti provenienti dalle lavorazioni industriali di Brindisi, depositati senza protezioni del suolo in bacini limitrofi allo stabilimento su aree poi cedute a Terzi. Lo stabilimento di Brindisi è stato conferito da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l. le cui quote sono state apportate ad Enimont. Negli anni dal 1962 al 1969, lo Stabilimento Polymer di Brindisi (facente parte del Gruppo Montedison) ha prodotto acetilene da carburo di calcio con residui di lavorazione, costituiti da idrato di calcio, in quantità pari a circa 800.000 mc. Nel periodo intercorrente tra il 1962 ed il 1969, i residui costituiti da idrato di calcio venivano scaricati in sospensione acquosa in una serie di bacini siti nella  zona sud dello stabilimento di Brindisi, vicino al mare, realizzati con argini in terra intorno ad invasi naturali. I residui di lavorazione costituiti da idrato di calcio e pari a circa 800.000 mc, a seguito del drenaggio e della evaporazione della componente acquosa, a partire dal 1969, si sono progressivamente inspessiti nello strato superficiale consentendone il calpestio. Negli anni dal 1969 al 1975, Montedison scaricò nel bacino più adiacente al muro di cinta dello stabilimento di Brindisi, code clorurate, provenienti dell’impianto “DCE/OXY” sito in detto stabilimento, in quantità pari a circa 20.000 mc.  Successivamente al 1975, si sono evidenziate infiltrazioni delle code clorurate, depositate nel bacino più adiacente al muro di cinta, nella zona sud dello stabilimento di Brindisi verso un rigagnolo che corre lungo i bacini e che venne quindi spostato il punto di versamento di dette code nel bacino attiguo. A partire dal 1973, in uno dei bacini situati nella zona sud dello stabilimento di Brindisi, furono convogliati anche reflui acquosi dell’impianto anidride ftalica, situato nello stabilimento di Brindisi. I reflui acquosi, provenienti dall’impianto anidride ftalica e depositati in uno dei bacini situati nella zona sud dello stabilimento di Brindisi, avendo componente acida, hanno reagito con il calcio idrato, precedentemente depositato in detto bacino, creando una serie di cunicoli sotterranei. Sul fondo dei bacini, situati nella zona sud dello stabilimento di Brindisi, si riscontrano sacche di prodotto liquido (percolato attraverso le crepe nel fango) e ricoperte da uno strato di prodotto polimerizzato. Lo Studio redatto da Aquater nel luglio del 1991 ha evidenziato la presenza di clorurati anche sulle acque di falda superficiale. Tutta l’area era stata promessa in vendita dalla Parte Montedison alla Micorosa srl perchè la stessa vi esercitasse attività di recupero dei fanghi depositati nei bacini; che Enichem, prima di dar corso alla cessione, ha disposto una serie di accertamenti a tutela della sua posizione di temporanea proprietà, anche in relazione alle situazioni di compromissione ambientale sopra descritte; che di ciò ha fatto espressa menzione alla Montedison con lettera del 25.5.91, esprimendo riserve di rivalsa per ogni pregiudizio derivante dalla situazione sopra descritta. Acquisite le necessarie garanzie, Enichem, in adempimento degli impegni assunti da Montedison, con atto datato 30.1.92, ha venduto l’area di cui sopra alla società Micorosa srl, che ivi sta installando uno stabilimento industriale per la produzione di calce (e recuperando i fanghi industriali di Montedison per farne mattoni!)… Smaltimento improprio di rifiuti speciali in zona “Oasi protetta”, presso lo stabilimento di Brindisi. Lo stabilimento di Brindisi è stato conferito da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l. le cui quote sono state apportate ad Enimont. In data  15.3.83 la Montepolimeri, poi Montedipe spa, presentava alla Regione Puglia istanza di autorizzazione per attività di smaltimento rifiuti speciali in discarica alla quale l’Amministrazione dava seguito con la richiesta di ulteriori informazioni. Successivamente Montedipe spa, con lettera del 15.3.85, indirizzata alla Regione Puglia, dichiarava di aver sospeso l’utilizzo della discarica. In particolare trattasi di discarica di rifiuti speciali effettuata con caratteristiche e modalità di sistemazione non adeguate che comportano obblighi di messa in sicurezza o di bonifica in capo ad Enichem.  La discarica in zona Oasi Protetta era anche denominata negli anni 1983, 1984 e 1985 come discarica in zona Saline della Contessa… Discarica di rifiuti speciali (assimilabili agli urbani e provenienti dallo stabilimento di Brindisi) sita in area venduta dalla parte Montedison alla ditta D’Antona prima della data degli apporti (30/6/1989). Richiesta di eventuale risarcimento danni avanzata dalla ditta Dantona con riferimento alla discarica in oggetto. Lo stabilimento di Brindisi è stato conferito da Montedipe S.p.A. a Montedipe s.r.l. le cui quote sono state apportate ad Enimont. In data anteriore al 30.6.1989, Montedison ha realizzato una discarica non autorizzata mediante deposito su un terreno, senza sistemi di protezione, di rifiuti provenienti dallo stabilimento di Brindisi e derivanti da demolizioni di parti murarie dello stabilimento, di capannoni, ecc. L’area esterna allo stabilimento di Brindisi, nella quale insiste la discarica non autorizzata, è stata ceduta dalla parte Montedison alla ditta D’Antona in data anteriore al 30.6.1989. La  ditta D’Antona, dopo il 30/6/1989, ha chiesto a funzionari dello stabilimento di Brindisi il risarcimento dei danni (per un importo pari a 3000 milioni) conseguenti all’esistenza sul terreno compravenduto di una discarica non autorizzata di rifiuti, provenienti dallo stabilimento di Brindisi. Su tale discarica, esterna allo stabilimento di Brindisi, nessuna operazione di bonifica è stata intrapresa da Enichem, la quale non è né il produttore di tali rifiuti, nè il cedente dell’area in oggetto… Danno a terreno di proprietà di Terzi (sito in Brindisi, “zona Montenegro”) e  compromesso dal deposito, negli anni 1980-1983, di rifiuti provenienti dalle lavorazioni dello stabilimento. I rifiuti sono stati prodotti nello stabilimento di Brindisi a seguito di attività industriali ivi svolte dalla Montedipe S.p.A. Lo stabilimento di Brindisi è stato conferito da Montedipe S.p.A. a Montedipe S.r.l. A seguito di un incendio verificatosi nel giugno del 1989 in un terreno di proprietà di terzi (sito in zona Montegro, all’esterno dello stabilimento di Brindisi), e adibito a discarica senza autorizzazione, l’Amministrazione Provinciale di Brindisi verificò l’esistenza di rifiuti (in particolare residui ftalici e naftenici) la cui tipologia era riconducibile a scarti delle lavorazioni svolte nello stabilimento Montedipe di Brindisi. Seguì un’indagine, svolta dalla Provincia con il supporto tecnico ed operativo dell’ENEA e successivamente, l’Amministrazione Provinciale, in data 1.3.91, anche nell’interesse della proprietaria del terreno Sig.ra Anna Rizzi, richiese a Montedipe, quale responsabile dei rifiuti ivi rinvenuti, di provvedere alla bonifica del sito mediante asporto e idoneo smaltimento. La Montedipe srl, in data 24.5.91, si impegnava con l’Amministrazione Provinciale a bonificare tutto il terreno ed, in pari data, sottoscriveva la convenzione con la ditta BrinCalce per lo smaltimento (mediante combustione) di parte dei residui ftalici, provenienti dalle operazioni di bonifica. L’Amministrazione Provinciale di Brindisi, con nota dell’1.3.91, n. 832, chiedeva a Montedipe srl il rimborso di lire 284 milioni, pari alle spese sopportate dall’ENEA per l’intervento di bonifica del terreno in questione.   EniChem inoltre, ha già iniziato lo smaltimento presso le fornaci della BrinCalce dei residui ftalici provenienti dalle operazioni di bonifica del terreno di proprietà di Terzi sito in “Zona Montenegro”. Il recupero ambientale del terreno di proprietà di Terzi e sito in “Zona Montenegro” è stato eseguito con: 1) lo smaltimento (mediante combustione) presso la ditta BrinCalce dei residui ftalici, previi recupero, triturazione, raccolta in cassoni scarrabili (n. 32), trasferimento del materiale in sacconi da 1 mc. e deposito provvisorio di questi ultimi in area protetta dello stabilimento di Brindisi; 2) lo smaltimento in discarica di categoria 2C, interna allo stabilimento di Brindisi dei rifiuti naftenici (716 ton. di sostanze classificate tossico-nocive dall’E.N.E.A.) previa raccolta in cassoni scarrabili. Il  terreno sito nella zona Montenegro dall’inizio delle operazioni di bonifica (24/9/1990) e sino al 15/7/92 è stato sorvegliato da un servizio continuo di guardiania richiesto dalle Autorità preposte. Le sostanze presenti nella zona Montenegro e lì rinvenute nel giugno 1989 erano state ivi depositate durante gli anni 1980, 1981, 1982 e 1983, ed erano pari a circa 700 tonn. Le  711 tonn. di rifiuti naftenici, provenienti dalla bonifica della “Zona Montenegro” (di Brindisi) sono stati smaltiti in una discarica controllata di II^ categoria tipo C di proprietà di EniChem Polimeri ed il costo di tali operazioni di smaltimento è stato pari a circa Lire 711 milioni. Per il completamento degli interventi di bonifica della “Zona Montenegro” di Brindisi si dovrà sostenere un costo complessivo pari a circa Lire 412 milioni”.

 

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