Intervento della Professoressa Maria Martello, Giudice Onorario presso la Corte d’Appello di Milano, all’evento “Falcone Borsellino, morti una volta vivi per sempre” che si è svolto venerdì 19 maggio al Teatro Manzoni di Monza.La Themis & Metis ha ampiamente apprezzato il contributo che è stato offerto dalla Professoressa all’evento patrocinato dal comune con la collaborazione degli istituti :
I.I.S. “Mosè Bianchi” Monza
I.T.I. “P. Hensemberger” Monza
I.I.S. “V. Floriani” Vimercate
I.I.S. “G. Meroni” Lissone
Liceo Frisi Monza
Nell’offrire questa interessante lettura a chi ci segue, ringraziamo ancora una volta il Magistrato Leonardo Guarnotta e il Giornalista Sandro Ruotolo per essere intervenuti all’incontro offrendo importanti e interessanti spunti di riflessione ai giovani spettatori
“Paolo Borsellino soleva ripetere: ”Occorre fare presto”. Ancor più lo diceva dopo la strage di Capaci. Per Lui il tempo era un valore che non si può sprecare!
Come non perdere tempo allora?
Questo il primo Suo insegnamento da cui vorrei partire. Questo dovrebbe essere per tutti il primo indicatore da tener presente, subito per impegnarci ora, oggi, perché il nostro tempo sia ben utilizzato.
Per questo mi sento chiamata a non soffermarmi su commemorazioni, doverose certo ma a rischio di cadute retoriche, di un evento tragico, la morte di più persone, i tre validissimi magistrati, Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e Paolo Borsellino, insieme ai ragazzi delle loro scorte, che sarebbe ingiusto non ricordare: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Fabio Li Muli, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Morinari.
Neanche voglio concentrarmi solo sul dovere della memoria, né invocare la generica speranza che i principi difesi dai due “eroi” diventino, magicamente, realtà.
Preferisco riflettere su cosa oggi concretamente possiamo fare per renderli tali, su come possiamo essere all’altezza di fare nostro il loro modello di valori nel nostro concreto quotidiano.
Ecco, quindi, che vorrei insieme a tutti i presenti, allievi, docenti e dirigenti scolastici, impegnarmi a ricercare le basi affinché lo stile testimoniato dai due giudici divenga il nostro modo di essere
Ho scelto di dare un senso al mio stare al mondo studiando prima e insegnando poi a come risolvere i conflitti interpersonali senza ricorrere ad un terzo, ad una persona estranea, di solito il giudice, o il Dirigente. Per questo ho ideato un modello di Mediazione umanistico-filosofica che può essere appreso sia per gestire le proprie relazioni, sia per svolgere la professione di mediatore.
Ho molto lavoro da fare perché i conflitti sono tanti e soprattutto tanti, si potrebbe quasi dire tutti, non sanno come risolverli pacificamente, senza radicalizzarli ed ingigantirli. Di solito infatti generano danno a sé e al “nemico”, ovvero alla controparte.
I conflitti sono in ogni ambito: tra pari, con gli adulti, degli adulti tra loro, nei rapporti con lo Stato, col datore di lavoro, in ambito familiare.
Sono presenti in ogni momento della vita.
Non vi può essere qualità della vita privata e sociale, nè successo professionale se non si hanno competenze per gestirli e per saperli trasformare in accordi che fanno ripartire le relazioni nuove, sane e costruttive tra quanti coinvolti.
Questa la competenza più alta che, senza distinzione di età o di ruoli, tutti siamo chiamati ad apprendere e sviluppare sempre più.
Questa è la vera sfida per divenire etici, per potersi dire educati alla legalità.
Eppure alla maggior parte degli esseri umani manca la capacità di gestire i conflitti senza “morti e feriti”, senza che uno soccomba all’altro. Senza che ci sia violazione della dignità di uno dei due.
Ma uscire da un conflitto, senza farlo diventare un contenzioso, è possibile come è possibile uscire entrambi, parte e controparte, vincitori.
Questa è una sfida di civiltà a cui vale dedicare ogni sforzo. Dai primi anni di scolarizzazione, lungo tutto il curriculum scolastico, lungo tutta la vita.
Si tratta infatti di qualcosa che nulla ha a che vedere con il buonismo né con caratteristiche caratteriali di cui essere dotati per natura, ma di un innovativo metodo che comporta apprendimenti raffinati, sistematici, sempre in progress.
Oggi siamo chiamati da due “grandi”, Falcone e Borsellino, non tanto perché morti, ma perché “vivi per sempre” nel loro essere ancora eloquenti nell’insegnarci, se noi vogliamo impararlo, a come diventare noi stessi “grandi”.
Come fare quindi per diventare degni di essere ricordati come noi oggi stiamo facendo nei loro confronti?
Personalità, impegno, coerenza come loro hanno testimoniato per tutta la vita, non si improvvisano. Hanno radici lontane e le si costruiscono fin da giovani.
Io colgo due direttrici.
La prima: come si è stati da studenti?
La preparazione culturale è un dovere e un privilegio. La scuola infatti promuove la migliore offerta possibile, sempre perfettibile, ma che è compito di ogni allievo ottimizzare questo apporto con l’impegno e lo sforzo personale.
Ogni banalizzazione dell’impegno scolastico è uno spreco, una illegalità. E’ un torto che si fa a sé stessi, alla società tutta. Una ipoteca sul futuro.
In questo senso, fin dal loro periodo di studi, Falcone e Borsellino sono stati impegnati a dare il massimo si sé.
L’attenzione, in particolare, deve sempre essere esercitata per poter essere efficace: “Tutto è messaggio, tutto è carico di significato nel mondo di Cosa Nostra, non esistono particolari trascurabili. E’ un esercizio affascinante che esige tuttavia un’attenzione sempre vigile”: cosi si espresse Falcone in quello che è forse, il suo libro-testamento (Cose di Cosa nostra).
La seconda: la legalità e il rispetto delle regole sono valori per cui vale offrire una vita. Quindi occorre un presupposto da tener presente: la regola serve per vivere meglio tutti. Non va seguita in modo formale né tantomeno per paura delle sanzioni che seguono le sue violazioni.
Paolo Borsellino soleva ripetere “a fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l’esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato”: rispettare rigorosamente le regole è la condizione per essere liberi e lasciar essere libero l’altro, mio concittadino.
Due livelli quindi, l’Io e l’Altro, che si potenziano reciprocamente.
Ogni persona ha una dignità, un valore: riconoscerlo all’altro è la via nel contempo per svilupparla in sé, per riconoscerla a sé.
Ecco perché non ci accontentiamo, e penso che chi è presente ad eventi come quello di oggi, non si accontenti, che il proprio compagno, il proprio collega, il proprio superiore, lo Stato segue le regole solo per paura delle punizioni.
Noi vogliamo che l’altro si comporti secondo le buone norme per il rispetto profondo che ci deve, che deve al rispetto della nostra dignità.
Tutti lo vogliamo.
Tutti dobbiamo garantirlo al nostro “vicino”.
Ciò lo si impara, con impegno e rigore, ogni giorno, fin da piccoli.
Pensate ad una delle prime norme che al bambino si insegna: rispettare il semaforo. Perché? Un primo livello è perché altrimenti si corre pericolo, qualcuno può investirlo o, quando
diventa più grade, può investire qualcuno; o\e perché il vigile può dare la multa…?
Certo ma non basta!
Perché chiunque ha il diritto di passare così come l’altro ha il diritto di farlo nella direzione opposta!
Ci possono essere “direzioni opposte” (metafora della diversità) ma tutte hanno legittimità di esistere.
Ognuno in questo mondo deve avere il suo posto, il suo tempo, il suo spazio.
Così come ognuno nella relazione interpersonale ha un suo bisogno, un suo punto di vista che lo differenzia dall’altro. E’ solo l’analfabetismo emotivo e relazionale che fa diventare la diversità contrasto che si trasforma in conflitto, contrapposizione, lite, lotta tra bande…
Non c’è quindi seria educazione alla legalità, alla cittadinanza senza una buona educazione ai principi della Mediazione dei conflitti, aiutati da percorsi educativi specifici, ad hoc predisposti e attuati in modo ricorrente.
Una via salda questa per sconfiggere ogni sopruso. Ogni Mafia.
Un modo per onorare il ricordo di Falcone e Borsellino.
Per completarne l’opera.
Maria Martello
Mediatrice e formatrice. Giudice onorario presso la Corte d’Appello di Milano.Ha insegnato Psicologia dei rapporti interpersonali nell’Università Cà Foscari a Venezia e in molti Master di prestigiose Università. Tiene il corso La composizione negoziata dei conflitti presso l’Università degli studi di Milano-Bicocca.La sua opera più recente è La formazione del mediatore. Comprendere le ragioni dei conflitti per trovare le soluzioni, Utet, 2015, ove presenta il modello filosofico-umanistico ed il percorso di formazione idoneo ad apprenderlo.