Valentina Vadalà

Il labirinto delle autocertificazioni: storie di ordinaria follia

Da circa due mesi viviamo segregati in casa per contenere la diffusione del Covid-19, e finalmente domani, 4 maggio, passiamo alla fase 2 delle misure di prevenzione, degna di una solennizzazione tipo quella del 25 aprile, appena trascorso, con tutte le precisazioni del caso, ma vissuto dagli italiani come una vera e propria giornata della liberazione, anche se il nostro premier ha sottolineato che non si tratta di un “Liberi Tutti”, ma di un graduale avvicinamento alla normalità.
Ma siamo sicuri che si tratti proprio di questo?
Sostanzialmente, rispetto a quanto è stato consentito fino ad oggi, con gradualità vedremo allargarsi il numero e il tipo di esercizi commerciali in cui è possibile recarsi, naturalmente rispettando la distanza sociale, indossando guanti e mascherina e aspettando pazientemente il nostro turno. Così deve essere per rimettere in moto la macchina dell’economia.
Ma le attese più forti sono state rivolte alle nuove concessioni nei rapporti sociali: finalmente si incontreranno i nuclei familiari separati, cioè nonni, figli, nipoti, fratelli, zii e cugini, fino al sesto grado di parentela, ma per fare questo, naturalmente, occorrerà rispettare la distanza canonica e munirsi di guanti, mascherina e l’immancabile autocertificazione del caso.
Si rivedranno pure i compagni, i fidanzati, gli amanti.
Ma non gli amici.
Il che non significa certamente che il virus sia uno di quegli esasperati, convinti che il valore della famiglia stia al di sopra di ogni altro tipo di rapporto, ma semplicemente che è stata operata una scelta in tal senso, pur di limitare gli incontri.
Quindi io, per potere vedere il mio fidanzato dovrò dichiarare che “stiamo insieme”, e altrettanto dovrà fare lui, con tutte le implicazioni che comporta, dall’intimità a distanza decisamente “non sociale”, all’ufficializzazione di un rapporto riservato, che tale voleva restare, e così via. Ma il mio diritto alla Privacy, sancito da una legge dello Stato italiano, regolarmente approvata dal Parlamento e promulgata dal presidente della Repubblica, che fine ha fatto?
Se invece fossi una vecchia zitella convinta, o una madre single con i figli in altre regioni, dovrei continuare a non avere rapporti umani con chicchessia, perché gli incontri tra amici non sono contemplati. Non so per quanti sia così, ma in questo frangente non ho alcun desiderio di incontrare mio fratello, con il quale non ho contatti da tempo, piuttosto mi mancano quelle due o tre care amiche con le quali ho un rapporto molto più intenso e gratificante.
Che sia giunto il momento di fare pace con mio fratello?
E fin qui abbiamo ipotizzato scenari semplici, nell’ambito di una stessa città, o di una regione. Ma se provassimo ad allargare l’ambito di applicazione, il nostro orizzonte si colorerebbe di tinte fosche e drammatiche. Se alle spalle di tutto ciò non ci fosse il dramma di tante vittime e il dolore delle loro famiglie, ci sarebbe da ridere, per non piangere.
Ho due figlie che vivono altrove, circostanza che mi accomuna a non so quanti altri milioni di persone, e precisamente una in Veneto, e l’altra in Emilia Romagna. Due regioni da evitare assolutamente, ma nelle quali la vita continua a scorrere lo stesso, perché a differenza del Corona Virus che riconosce i limiti regionali, le circostanze della vita non riescono a fare altrettanto.
La prima delle due deve affrontare un intervento presso una clinica oncologica che si trova in Friuli Venezia Giulia. A parte la presenza consolatoria di parenti e amici, avrà bisogno di un minimo di assistenza. Io sto in Sicilia e quindi non avrei come arrivare, quindi sono esclusa. La sorella sta in Emilia e il compagno in Toscana. Tutti fuori gioco, stando al decreto e alle disposizioni delle singole regioni. Bene, cosa fare allora?
Dopo avere consultato la prefettura di Venezia, funzionari molto gentili, comprensivi e dispiaciuti, che hanno chiesto qualche ora di tempo per la disamina puntuale del caso, le hanno detto che lei ha il diritto di andare a farsi operare, ma solo al ritorno scatterebbe quello di ottenere che qualcuno la venga a prendere per riportarla a casa. E chi potrebbe essere il fortunato, senza incappare in una denunzia penale per avere varcato i confini regionali?
L’altra figlia, per fortuna non ha problemi di salute, ma deve recuperare i figli, due adolescenti che in seguito alla fortuita coincidenza della chiusura delle scuole e alla presenza del padre, venuto a trovarli, lo hanno seguito in Sicilia. Potere ritornare alla propria residenza è un diritto riconosciuto anche nella fase 1, ma resta il problema di come poterlo soddisfare.
La soluzione più salomonica sarebbe stato un incontro a metà strada, una Teano familiare, diciamo super giù a Salerno: un’equa spartizione di chilometri, tempo e fatica. Ma il mio ex genero se arriva a mettere un piede fuori dalla Sicilia, al suo rientro sarebbe costretto alla quarantena e, per motivi di lavoro e personali non lo può fare.
Mia figlia, pur di rivedere i figli è disposta a sobbarcarsi il maggior tragitto, ma neanche così il problema è di facile attuazione.
Questa volta è stata la prefettura di Palermo a ipotizzare lo scenario possibile da seguire. Dunque, i ragazzi dovrebbero arrivare fino a Messina con il padre che deve restare (non so se avrebbe bisogno anche di testimonianze giurate) ben piantato sul suolo siciliano. Da parte sua, mia figlia dovrebbe arrivare a Villa San Giovanni, lasciare la macchina ed imbarcarsi sul traghetto diretto a Messina. Anche per lei divieto assoluto di scendere a terra, perché altrimenti rischierebbe, essendo sbarcata, di incorrere nella quarantena prevista dal governatore Musumeci, e quindi dovrebbe limitarsi a prendere i figli al volo non appena entrano nel targhetto.
Dopo di che può ritornare in Emilia, un viaggetto di circa dieci ore, più le dieci per arrivare … perché non è detto che strada facendo possa trovare dove dormire. La Campania è blindata e se strada facendo, si blindassero anche le altre regioni da attraversare?

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