Per secoli un’educazione sui classici e sulla Storia consentì a una parte minoritaria della società – coloro che avevano avuto la possibilità di studiare – di paragonare il comportamento dei governanti e dei potenti con modelli a essi estranei, smascherando così i loro tentativi di inventarsi emergenze o soluzioni di comodo e soprattutto di ripetere con successo vecchi trucchi e vecchie menzogne. Per questo uno dei grandi obiettivi dei movimenti di emancipazione sociale dell’ottocento e novecento fu la scolarizzazione: sapere è potere, si diceva. Ed era vero: benché spesso sconfitti elettoralmente (come è inevitabile quando si voglia sovvertire un sistema che controlli l’economia e le istituzioni e non esiti a utilizzare la repressione poliziesca), i partiti comunisti conquistarono la cultura e gli intellettuali e li usarono per incidere profondamente sulla politica. Nei primi anni settanta, in Italia, i sindacati arrivarono a condurre una lotta per garantire agli operai 150 ore da dedicare allo studio.
Ma i ricchi già stavano passando al contrattacco. La loro strategia, dimostratasi vincente, fu quella che allora fu chiamato “riflusso” e che ancor più che un ritorno nel privato fu un ritorno nell’ignoranza. Quando avete tempo leggete il Powell Memorandum, scritto da un avvocato delle peggiori multinazionali americane (a cominciare dalla Philip Morris) e del Tobacco Institute, poi premiato con un posto nella Corte Suprema degli Stati Uniti. Sostanzialmente il memorandum invitava le corporation a smetterla di finanziare (direttamente o attraverso le tasse) la crescita culturale del paese indirizzando invece le loro risorse alla diffusione di una concezione materialista e consumista dell’esistenza. Era la fine di un tipo di capitalismo, quello nazionalista, che aveva scommesso sulla formazione di una classe media sempre subalterna ma più istruita (pensate a Adriano Olivetti e al suo sogno di un’impresa responsabile) e l’inizio del progetto del globalismo liberista, che si sarebbe appieno realizzato (in pochissimi anni proprio grazie a quella partenza anticipata) al crollo dell’Unione Sovietica.
Il liberismo crea intenzionalmente ignoranza e superficialità: vuole lavoratori stupidi e conformisti e vuole consumatori altrettanto conformisti e stupidi. Quanto ai cittadini, ne fa volentieri a meno. L’affrettato e incontrollato sviluppo delle nuove tecnologie e dei nuovi media (uno sviluppo drogato, completamente dissociato da reali esigenze) e il conseguente, programmatico, appiattimento della vita sociale sull’immediata attualità, ha questo fine: impedire che la Storia sia magistra vitae. Per questo in America e buona parte del mondo agli edifici vecchi viene impedito di diventare antichi e li si rade al suolo per saziare un bisogno di novità indotto dalla pubblicità martellante (in Italia sta avvenendo con gli stadi di calcio); per questo i monumenti vengono abbattuti e le tradizioni cancellate (quelle colte e quelle popolari) in nome della correttezza politica (eh sì, parecchie risalivano a un tempo diverso e dunque esecrato dai talebani liberal); per questo la scuola e l’università non insegnano più il passato, per questo le discipline umanistiche sono ovunque boicottate, per questo i giovani vengono convinti a non occuparsene, che tanto di cultura non si mangia, come dicono i leghisti, e la conoscenza in generale è faticosa (quella scientifica inclusa se non traducibile in tecnologie applicate) e sostanzialmente poco cool, meglio chiudersi nella zona di comfort del proprio rassicurante analfabetismo di ritorno. I classici e la Storia rendevano il popolo competente ed esigente, impedendo ai potenti edai loro portavoce di usare una retorica troppo banale, datata, improvvisata, già abusata e fallita in altre epoche; li costringevano alla coerenza, all’originalità, a una certa dose di competenza e di dignità. Poi è arrivata la deregulation, sono arrivati i social, e l’imbecillità è stata sdoganata: quella dei venditori di cazzate e quella dei milioni di psicolabili che si sentono realizzati nel comprarle e che reagiscono con rabbia contro chi li inviti alla logica, alla ricerca, all’attenzione. Chi ignora la Storia è condannato, più che a ripeterne gli errori, a non riconoscere le cazzate se non quando sia troppo tardi e a farsi così fregare dagli stronzi e dai rampanti.
Che fare? Quattro cose: 1) Prendere atto della situazione in modo da poterla affrontare con mezzi adeguati, senza illusioni; in due o tre decenni l’umanità è regredita di secoli ed è tornata valida la cupa valutazione di Machiavelli: “degli uomini si può dire questo, che siano ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno”. 2) Ciò non significa rassegnarsi o deprimersi, però nel breve termine bisogna individuare un linguaggio adatto a comunicare con questo tipo di persone; il che significa assicurarsi il controllo di qualche giornale e televisione e l’appoggio di intellettuali; e significa saper manipolare i media, saper fare controinformazione e non avere scrupoli a fare disinformazione. 3) Contestualmente, bisogna diventare conservatori; la destra fa ancora finta di esserlo ma non vuole conservare niente, le fanno molto più comodo il culto delle novità, le mode, il consumismo ossessivo. Tuttavia ci sono ampi settori della popolazione ai quali l’instabilità non piace e che ancora danno valore alla morale, alla religione, alle tradizioni: vanno aizzati contro il liberismo, senza permettere che se ne approprino i ciarlatani alla Berlusconi, Meloni o Salvini. 4) Nel medio e lungo termine va ricostruita una cultura, anzi tante culture diverse e inconciliabili, l’opposto del multiculturalismo; non il pensiero unico di un unico presente, ma tante esperienze autonome, asincrone, anacronistiche. Perché solo localmente i cittadini hanno una voce e la possibilità di crescere insieme, come collettività, sconfiggendo l’ignoranza di cui la più inetta classe dirigente della Storia si serve per far durare la pacchia finché può, dilapidando irresponsabilmente le ultime risorse naturali e sociali, indifferente al futuro come è indifferente al passato.