Francesco Erspamer

Il fardello dell’uomo bianco

Coloro che attaccano o addirittura insultano la giovane donna italiana rapita in Kenya (non penso sia necessario ripeterne il nome e trasformarla in una delle tante instant celebrity con cui i media ci svuotano la vita riempiendola dei volti e delle storie che gli fanno comodo) dovrebbero piuttosto attaccare e insultare sé stessi. Perché la ragazza è semplicemente il prodotto della società che abbiamo voluto o perlomeno accettato e di cui siamo dunque responsabili. Cos’altro insegnano la scuola, i giornali, i genitori, fin dalle elementari e con crescente intensità, se non che bisogna andare all’estero almeno in vacanza e possibilmente a studiare, che se non si parla un’altra lingua non si è nessuno, che per trovare un lavoro decente giovano stage in paesi stranieri?

D’altra parte solo per questo tipo di attività ci sono finanziamenti: non per lavorare, imparare o aiutare nel proprio paese ma da qualche altra parte. I poteri forti sono globalisti e fanno di tutto per sradicare la gente dalle proprie comunità, puntano ad allentare i vincoli di appartenenza e solidarietà, a formare cittadini del mondo che non siano cittadini di alcuno Stato e che dunque, incapaci di organizzarsi, siano inermi di fronte allo strapotere delle multinazionali. Per non parlare della pubblicità, delle catene commerciali, dell’industria dello spettacolo, che promuovono a tempo pieno l’individualismo, la meritocrazia e un multiculturalismo da supermercato, in cui la straordinaria varietà delle culture locali, contraddittorie e inassimilabili, viene sostituita da una molteplicità programmata e identica dappertutto, un sistema planetario di manipolazione e omogeneizzazione delle menti e delle coscienze che non ha precedenti nella Storia umana per pervasività.

Ovvio che i giovani, e i migliori fra loro, quelli che non si accontentano dello stordimento della movida o dello shopping all’Oriocenter, cerchino l’autenticità altrove; ovvio che pensino che sia bello andare in Africa: cosa c’è di più gratificante che fare del bene, sentirsi utili, e al tempo stesso arricchire il proprio portfolio? Purtroppo il colonialismo e l’imperialismo hanno sempre spacciato le loro invasioni e i loro soprusi come una lotta contro la miseria e per il progresso e la conoscenza: prima arrivano i missionari, gli esploratori e gli antropologhi, gli idealisti, gli aiuti umanitari; poi, per restare, gli speculatori, i turisti e i venditori di sviluppo e consumismo, armi incluse.

Forse è per questo che oggi nessuno menziona The White Man’s Burden, la poesia con cui nel 1899 Kipling teorizzò la necessità da parte degli Stati Uniti di sostituirsi al declinante impero britannico per portare a qualunque prezzo e con qualunque mezzo la civiltà ai selvaggi e ai barbari; ne trovate il testo e la traduzione anche su Wikipedia, leggetela. Fino a qualche decennio fa era citata per denunciare l’imperialismo occidentale, oggi è piuttosto una profezia pienamente realizzata, un inno alla globalizzazione: “Raccogli il fardello dell’uomo bianco… / obbliga i tuoi figli all’esilio… / Le barbare guerre della pace: / riempi la bocca della carestia / e fai cessare la malattia… / E ricevi… il biasimo di coloro che fai progredire, / l’odio di coloro su cui vigili, / il pianto delle moltitudini che indirizzi / (ah, lentamente!) verso la luce…”.

 

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