Valentina Vadalà

Lei è una donna con le palle! Mi dispiace, tutt’al più con le tette!

Prometto, e la prima con cui mi impegno sono proprio io, che passerà molto tempo prima che torni sull’argomento della violenza e della discriminazione contro la donna. Promettere di non farlo più … è proprio impossibile, perché appena cerchi di rimuovere l’angoscia, ecco nuovi fatti di cronaca pronti a reclamare qualche goccia di inchiostro per cercare di sottolineare le migliaia di gocce di sangue femminile versato, che continua a contraddistinguere la nostra cronaca quotidiana.
Pochi giorni fa ho letto un commento postato ad un pezzo in cui riferivo le mie considerazioni sul sistema maschilista e sessista su cui si basa in molti ambienti la valutazione di una donna.

Venivo tacciata di eccessivo moralismo “su battute che non offendono nemmeno la donna cui sono rivolte anzi la riempiono di autostima”. Chiaramente si tratta di punti di vista diametralmente opposti perché provenienti dalle due fazioni in causa, e che non avrebbe meritato alcuna risposta se non un sentito ringraziamento ad un lettore che ha perso circa dieci minuti del suo tempo per leggere argomentazioni che riteneva poco interessanti, e altri cinque minuti per formulare il suo commento. Inutile ribattere che l’autostima di una donna dovrebbe essere alimentata dal riconoscimento delle sue capacità e non per le grazie di cui Madre Natura l’ha dotata, capaci di assicurarle l’attenzione di grandi uomini.
Ieri mattina, però, l’edizione del giornale radio che ascoltavo facendo colazione, riferiva di tre nuovi atti di violenza perpetrati contro donne e da persone del loro stesso ambito familiare.
“Eccessivo moralismo” …?
E’ questo che dobbiamo ripetere di fronte la reiterata violenza?
Non credo proprio.
Nel mio testo, prendendo spunto da due aneddoti di cronaca, fortunatamente non cruenti, e cercavo di evidenziare il mio disappunto sulla connivenza di molte donne ad un tipo di approccio che le considera a livello, di deficienti, di soprammobili, di oggetti del piacere. Il mio fastidio è rivolto a quelle madri che hanno inculcato nei figli maschi il concetto di essere i signori e padroni indiscussi del loro mondo e, di contro, nelle figlie la sudditanza verso i fratelli, primo passo verso una incondizionata sottomissione a 360° nei confronti del genere maschile. La mia ex suocera, fin da bambina veniva costretta dalla propria madre a soccombere in favore dei due fratelli (tra l’altro più piccoli) pur avendo ragione, perché così si abituava a cedere al marito…!
La mia ira è indirizzata a tutte quelle fidanzate, compagne, mogli che pur di tenersi un uomo fanno finta di credere a qualsiasi fandonia viene loro raccontata per giustificare mancanze e tradimenti, e che concedono ai propri uomini ogni privilegio, sobbarcandosi il doppio della fatica e del lavoro.
Se poi affrontiamo il tema del lavoro, gli stereotipi e le ingiustizie da segnalare sono talmente tante che non basterebbero queste righe a raccontarli tutti… Sono stata un pubblico funzionario e ho rivestito anche ruoli di una certa rilevanza, ma ho sempre dovuto fare il doppio della fatica, rispetto ai miei colleghi maschi, perché la mia professionalità venisse presa in considerazione e poi rispettata. E tutto per cosa? … per sentirmi dire, nella migliore delle ipotesi: “architetto, lei è una donna con le palle!” Ho sempre pateticamente risposto, pur creando un certo scompiglio: “Mi dispiace, non ho le palle, tutt’al più le tette!”
Mi viene in mente Marisa Belisario, penalizzata dalla lobby Fiat nella sua ascesa alla direzione della TELIT, perché il suo successo avrebbe aperto le porte a molte altre donne altrettanto capaci, mettendo in discussione posizioni da secoli monopolio del genere “forte”.
E vogliamo parlare di queste benedette quote rosa? Tenetevele pure, non abbiamo bisogno dell’elemosina di poche briciole, mi piacerebbe che si fosse risposto dopo qualche tempo, avendo constatato il fallimento di una procedura comunque concessa e gestita dall’universo maschile. L’assistenzialismo finisce con il mortificare (forse, per restare in tema, avrei dovuto scrivere “castrare”) soprattutto la categoria che si vorrebbe emancipare e consolidare.
Sono una donna, una donna del sud e ho assistito a decenni di progetti, leggi ed istituzioni pubbliche apparentemente a sostegno della parte debole, ma in realtà con il solo proposito di mantenere uno “statu quo” a favore di chi il potere e la ricchezza l’ha di già. Prima fra tutti, la Cassa per il Mezzogiorno, l’ente figlio di uno dei tanti governi De Gasperi, nato per finanziare attività industriali tese ad incentivare lo sviluppo economico del meridione e che, invece, dopo avere devastato le nostre coste, ingombrato i nostri territori con mostruosi scheletri, non ha fatto altro che aumentare il gap finanziario con il nord. E prima che lo commenti qualcuno, lo dico io: cosa pretendiamo? Dopo tutto, 160 anni fa siamo stati conquistati proprio per fare arricchire i potentati piemontesi e lombardi!
Protestare contro la violenza e la prevaricazione sulle donne non è un pruriginoso moralismo, ma la necessità di non essere sopraffatte da logiche e modelli che vorrebbero ricacciare le donne ai tempi in cui si discuteva se avessero un’anima.

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