Francesco Erspamer

Contro l’omogeneizzazione delle culture

Che spettacolari cazzate stanno circolando sui social usando come pretesto le fake news spacciate dai giornali liberisti sulle scuole di Codroipo, accusate di non essere sufficientemente globaliste, pardon, multiculturaliste. Ma facciamo finta che l’accusa fosse fondata. È servita a intellettuali e sedicenti tali per ricordarci che la scrittura l’hanno inventata i sumeri, la carta i cinesi, la matematica gli arabi: per concludere che i riferimenti a culture diverse sono inevitabili. Ovvio: cosa credevano, che davvero ci si possa chiudere in una bolla, come peraltro molti di loro nei loro quartieri blindati (in America si chiamano gated communities) a parlarsi addosso? Gli scambi e le contaminazioni sono una componente essenziale della vita, a livello umano e di qualsiasi specie animale e vegetale. Ma si tratta di scambi lentissimi, graduali. Anche nella società umana l’evoluzione culturale (pur molto più rapida di quella naturale) ha sempre richiesto secoli; per assimilare un elemento esterno ci volevano generazioni, permettendo così a ciascun popolo di modificarsi restando sé stesso. Se non fosse così al mondo da tempo ci sarebbe una sola cultura, oltre che pochissime specie biologiche.

Che è esattamente quello che il neocapitalismo sta facendo: omogeneizzando le culture, gli usi e costumi, appiattendo tutto su modelli identici ovunque e decisi da gigantesche corporation private. Una lingua muore ogni due settimane e metà di tutte quelle esistenti oggi saranno scomparse entro pochi decenni. Lo stesso sta accadendo per l’ambiente: decine o forse centinaia di specie di piante, insetti, uccelli, pesci e mammiferi si estinguono ogni anno; un ritmo, dicono gli scienziati, molto più alto di quello che sarebbe normale per assicurare appunto gli incroci e trasformazioni proprie della vita. Ma ai terzomondisti non importa assolutamente nulla della varietà e della conseguente ricchezza delle innumerevoli possibili ibridizzazioni. A loro piace l’uguale (più semplice dell’eguaglianza, a cui hanno rinunciato dopo il crollo dell’Unione Sovietica per saltare sul carro dei vincenti). Come scrisse apertamente Eugenio Scalfari, loro vogliono un meticciato obbligatorio e totale, un “popolo unico” (testuale: “Si profila come fenomeno positivo, il meticciato, la tendenza alla nascita di un popolo unico, che ha una ricchezza media, una cultura media, un sangue integrato”); così come da tempo hanno accettato i monopoli globali e le grandi concentrazioni finanziarie ed editoriali. (Su quest’ultimo argomento consiglio il recente libro di Tim Wu, The Curse of Bigness: Antitrust in the New Gilded Age). Sono dei fondamentalisti: la loro utopia la vogliono realizzare sùbito: internet dappertutto (in inglese) e migrazioni incontrollate di massa ad alimentare una crescita economica perpetua. Non hanno idea delle conseguenze ma vanno avanti lo stesso perché sanno di avere ragione e si sentono buoni. Puro imperialismo, che si esprime sia nella colonizzazione commerciale dell’Africa che nella colonizzazione culturale dell’Europa. Che a Nanni Moretti e ai suoi amici radical chic e cosmopoliti sembra tanto cool.

A me invece piacciono le vere diversità, ossia le diversità che includono componenti non conciliabili. Ciò che dobbiamo conquistare è la reciproca tolleranza, non l’appiattimento, imposto da chi ha più soldi e potere, su un singolo modello – il pensiero unico, il mercato globale, la correttezza politica, i valori universali, la cultura media e il popolo unico di Scalfari. Al contrario: se qualcuno vuole chiudersi nel suo provincialismo, fatti suoi; magari ha ragione e l’isolamento gli permetterà di sopravvivere alla prossima peste provocata dalla supponenza e ignoranza della classe dirigente che abbiamo accettato e che molti venerano. A Codroipo devono poter fare quello che gli pare della loro cultura, esattamente come la tribù sentinelese che vive in un’isola dell’Oceano Indiano deve essere lasciata in pace nella sua dimensione pre-neolitica, e se qualcuno va lì indesiderato a cercare di convertirla o portarle la sua idea di progresso e di benessere, mi pare giusto che rischi di essere ammazzato.

Non c’è bisogno di pianificare le ibridazioni: avvengono lo stesso, è una legge naturale e una legge culturale. Ma hanno i loro tempi e sono lenti. Invece l’uniformità e la fretta non sono naturali e non sono culturali, neppure quando si maschera da multiculturalismo da supermercato. L’uniformità è la morte.