Francesco Erspamer

Black friday: becera celebrazione del peggior consumismo

Le tradizioni non sono soltanto abitudini o memorie collettive; sono ciò che definisce un popolo e ciò che consente la solidarietà al di là delle personali inclinazioni e idiosincrasie. Per questo i movimenti indipendentisti o anticoloniali le rafforzano o addirittura se ne inventano di nuove e per questo l’imperialismo le indebolisce o distrugge nei paesi sottomessi per sostituirle con quelle dei paesi dominanti, a rendere i sudditi facilmente manipolabili.

È ciò che sta accadendo in Italia: la rapida cancellazione delle nostre tradizioni per sostiturle con altre d’importazione. Con la complicità di una casta di mediocri e pavidi imprenditori e nel totale disinteresse degli intellettuali, ossia proprio di coloro che dovrebbero difendere la loro cultura, e che se non lo fanno diventano inutili, semplici portavoce o portaborse dei prìncipi, dei padroni, delle lobby.

Ultimo esempio, il black Friday. Oggi. Anche negli Stati Uniti è diventata una becera celebrazione del peggior consumismo ma almeno ha una sua logica: è il giorno successivo alla maggiore festa nazionale, Thanksgiving, e parte dunque di quello che per molti americani è l’unico periodo di vacanza più lungo di un weekend (forse non lo sapevate ma l’America è il solo paese al mondo che non prevede per legge neanche un giorno di ferie pagate; ricordatevelo quando votate per i partiti stelle e strisce tipo Pd o FI). Il nome fu introdotto nei primissimi anni sessanta per indicare una giornata di traffico e confusione.

Ma in Italia? Capisco che l’idea di un giorno di svendite intensive potesse attrarre i maniaci dello shopping e le grandi catene globali che a forza di sconti e di aperture festive e continuate stanno massacrando il piccolo commercio e la classe media (con la complicità di quest’ultima). Ma perché utilizzare un nome inglese e una data che da noi non significa assolutamente niente? Non si poteva usare, chessò, il 13 dicembre, santa Lucia, oppure il 6 gennaio, la Befana, o il giovedì grasso? Non ci si poteva inventare una tradizione nostra?

Aveva ragione Gramsci: la tragedia dell’Italia è che troppo spesso i suoi intellettuali sono cosmopoliti e non nazionali, degli snob che per giustificare il loro servilismo e la loro inettitudine si riempiono la bocca di valori universali e dunque astratti, inverificabili. Per questo disprezzano il populismo e per questo le tante e ricche culture popolari del nostro paese non le hanno mai apprezzate mentre si sono istantaneamente infatuati del pop anglosassone. Ma la soluzione non è l’anti-intellettualismo, tipico della destra sociale e in Italia della Lega e del berlusconismo; la soluzione è un intellettualismo organico. Il Pd lo ha rinnegato da decenni ed è ormai ben oltre la possibilità di un ripensamento. In attesa di una nuova sinistra (ancora neppure concepita) tocca al M5S: ma deve agire in fretta e con abilità.