Luca Saltalamacchia

Introduzione alle problematiche connesse al cambiamento climatico

Il cambiamento climatico è un tema che negli ultimi mesi ha iniziato a conquistare sempre più l’attenzione dell’opinione pubblica, soprattutto grazie ad una adolescente svedese: Greta Thunberg.

In realtà, la preoccupazione legata alle conseguenze del cambiamento climatico sono molto più datate, e risalgono quanto meno al 1969 (istituzione del cosiddetto Club di Roma) con riferimento alla comunità scientifica ed al 1972 (prima conferenza ONU sul clima, tenutasi a Stoccolma) con riferimento alle istituzioni politiche internazionali.

Se lo guardiamo dal punto di vista dell’evoluzione geologica, il clima del nostro pianeta è sempre stato in costante cambiamento, con significative fluttuazioni delle temperature medie globali che, tuttavia, nel passato si sono sempre verificate in periodi di migliaia di anni.

La storia del pianeta Terra è piena di alternanze tra periodi dove le temperature sono state più alte di quelle attuali e periodi di glaciazione; il tutto, però, per effetto di evoluzioni naturali durate, appunto, migliaia di anni.

L’attuale incremento delle temperature si sta verificando con una rapidità mai vista prima e, soprattutto, non è tanto il frutto di una evoluzione naturale del pianeta, quanto la conseguenza dell’attività umana.

Il cambiamento climatico non comporta solo l’aumento delle temperature, ma anche l’aumento vertiginoso di eventi meteorologici estremi e l’innalzamento dei mari, con conseguenze che possono essere devastanti.

Per anni, il cambiamento climatico è stato avversato da scettici e negazionisti, il cui numero in realtà si è ultimamente drasticamente ridotto, quanto meno tra le fila degli scienziati. Restano ancora diversi scettici tra gli appartenenti ai partiti politici, ma le loro argomentazioni sono di tipo utilitaristico e non suffragate dai dati reali elaborati dagli scienziati.

Alcune delle ragioni poste a base dai negazionisti traggono spunto dal fatto che il cambiamento climatico è una questione molto complessa, che pone problemi che gli esseri umani non hanno mai affrontato prima, problemi che peraltro si muovono su una scala che va ben oltre l’immaginario comune.

Per contro, il cambiamento climatico esiste ed ha un quotidiano impatto su tutti gli aspetti della nostra società, sugli ecosistemi di questo pianeta in cui viviamo e di cui abbiamo bisogno.

Il cambiamento climatico è causato – per effetto di una causalità lineare e diretta – dalle emissioni antropogeniche di “gas serra” che stanno danneggiando la composizione dell’atmosfera e quindi la funzione che essa aveva nell’equilibrio della temperatura e del clima della terra. Tali emissioni vengono definite “climalteranti” proprio a causa della loro attitudine ad alterare il clima.

L’uso di combustibili fossili è la principale causa di produzione dei gas serra (soprattutto anidride carbonica e metano);  una enorme produzione di metano è dovuta anche agli allevamenti di bestiame (suini e bovini) ed alle colture a sommersione (quali il riso). Peraltro, l’efficacia della natura climalterante dei gas serra è amplificata dalla costante deforestazione del pianeta.

Quindi, l’emissione antropogenica di gas serra sta alterando la composizione dell’atmosfera. La concentrazione di gas a effetto serra nell’atmosfera è indicata dagli scienziati con l’unità/sigla “ppm” (parti per milione). L’abbreviazione “ppm CO2-eq” (parti per milione di CO2 equivalenti) viene utilizzata per indicare la concentrazione di tutti i gas ad effetto serra, dove la quantità di gas diversi dalla CO2 vengono convertiti in CO2 in termini di capacità di surriscaldamento.

Tale accelerazione del surriscaldamento è un fatto nuovo per gli esseri umani. Infatti, il clima della Terra è stato eccezionalmente stabile negli ultimi 12.000 anni. Questo equilibrio viene ora perturbato dagli esseri umani a causa delle emissioni su larga scala di gas serra nell’atmosfera, per cui la concentrazione di CO2 – che funge da “termostato” della temperatura terrestre – sta cambiando ad un ritmo senza precedenti in termini di scala temporale geologica.

Negli ultimi 400.000 anni la concentrazione di CO2 in atmosfera si è mantenuta entro un limite relativamente stabile compreso tra 180 e 300 parti per milione, con cambiamenti nel livello di concentrazione che hanno richiesto diversi millenni.

L’attuale livello di concentrazione di anidride carbonica ed altri gas serra nell’atmosfera è pari a circa 415 ppm, il che costituisce un fatto totalmente nuovo per gli esseri umani moderni (apparsi circa 200.000 anni fa).

Per rintracciare un era geologica in cui le concentrazioni di CO2 in atmosfera erano simili a quelle attuali dobbiamo ritornare al Pliocene (circa da 5 milioni sino a 2,5 milioni di anni fa), periodo in cui il clima era mediamente di 2-3° C più caldo rispetto a quello attuale ed i livelli dei mari erano circa 10-20 metri più alti di quelli odierni.

Ciò significa che in questo periodo geologico simile alla nostra era per quanto riguarda la concentrazione di CO2, il clima aveva trovato un equilibrio con una temperatura mediamente superiore di 2-3 gradi ed un livello di mari più alto di 10-20 metri.

Secondo la comunità scientifica, in particolare il Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico dell’IPCC (gruppo di scienziati indipendenti che sotto l’egida dell’ONU raccolgono ed elaborano informazioni basate sulla pubblicazioni delle ricerche scientifiche prodotte nel mondo sulle varie tematiche connesse al cambiamento climatico), questo scenario costituisce una minaccia gravissima per la sopravvivenza di molte specie, compresa quella umana.

Se l’incremento della temperatura media dovesse superare una certa soglia, il pianeta così come lo conosciamo non esisterà più, ma sarà destinato ad entrare in una situazione di cambiamenti irreversibili che porteranno a sconvolgimenti e perdite di vita umane nell’ordine delle centinaia di milioni di unità.

La soglia indicata come limite invalicabile è quella di 2° C rispetto all’era preindustriale (fine ‘800). Ultimamente, si sta affacciando la convinzione che l’aumento della temperature medie dovrebbe essere contenuto in 1,5° C.

Per inciso, queste “categorie” si esprimono in valori medi. L’Italia si è riscaldata più velocemente di altri paesi, ed ha già praticamente raggiunto un aumento medio di 1,5° C. La media mondiale si attesta sugli 1,2° C e secondo le previsioni della Banca Mondiale continuando di questo passo, entro il 2100 l’aumento delle temperature medie sarà di 4° C.

Questo perché gli Stati, pur essendo consapevoli di quanto sopra, non hanno ancora “preso sul serio” la lotta ai cambiamenti climatici.

Di fronte a tale scenario, ci si chiede se uno Stato abbia o meno l’obbligo di intervenire per contrastare il cambiamento climatico, atteso che il singolo individuo non ha la possibilità di incidervi.

Più precisamente, la questione di fondo è questa: uno Stato ha il dovere di prendersi cura dei propri cittadini, o comunque delle persone che risiedono sul suo territorio, rispetto ai pericoli derivanti dal cambiamento climatico?